Vicenza Coppa Italia 1997Wikipedia

"I migliori anni della nostra vita": il Vicenza che trionfò in Coppa Italia

Ma che ne sanno del Vicenza della Coppa Italia. Ma che ne sanno del Vicenza in Coppa delle Coppe. Il riferimento a una delle imprese di sport più memorabili della fine del secolo scorso, nelle mille e mille pagine di culto dei Novanta calcistici che affollano il web, non manca mai. Ma davvero mai. Neppure ora – o magari soprattutto ora – che i biancorossi languono da ormai due decenni nei bassifondi del pallone italiano, rinvigoriti solo negli ultimi anni da un progetto che - pur tra alti e bassi continui - consente di guardare al futuro con speranza e ottimismo.

Qualche cinico dice che alle favole non ci si dovrebbe credere, perché può mancare il lieto fine e si rischia di rimanere disillusi, ma non ditelo ai vicentini. Loro una favola l'hanno vissuta davvero, a mille all'ora, magari senza un lieto fine pieno – quello che avrebbe stravolto la storia, ribaltandola e sostituendola con l'epica – ma con una trama difficilmente dimenticabile. Il Vicenza di fine anni 90 è l'impensabile che diventa realtà, è il piccolo che si fa grande e lascia la propria impronta su uno status quo un pochino meno solido rispetto a prima. Dopo il Verona di metà anni 80, prima della Grecia e del Leicester.

Il trionfo in Coppa Italia del maggio 1997 rimane a oggi l'unico trofeo – assieme all'altra Coppa Italia, quella di C, conquistata nel 1982 e martedì sera contro la Juventus Next Gen – presente nella bacheca del Vicenza. Una commovente reliquia da accarezzare e da coccolare, ripensando ai tempi belli con un misto di nostalgia e malinconia. E il Vicenza che si arrampica su su, a un centimetro dalla finale di Coppa delle Coppe, rappresenta uno degli ultimi sussulti di gloria di un calcio che, pur non sapendolo ancora, si avvia lentamente quanto inesorabilmente a diventare la ruota di scorta d'Europa.

L'articolo prosegue qui sotto

PROLOGO: IL CAPPOTTO DI ULIVIERI E IL PATRON IN PANCHINA

Il Vicenza dei miracoli, che non è ancora il Vicenza-di-Guidolin, nasce e prende forma nel 1992-93. Sono anni bui, gli anni della Serie C1, dove la squadra è confinata ormai da sei campionati. Con tanto di spareggio thriller per evitare la C2 vinto contro il Prato nel 1990. Ma al sesto tentativo la promozione in B arriva. A tre giornate dalla fine il Vicenza pareggia in casa contro l'Alessandria e ottiene la matematica: chiuderà dietro al Ravenna, che in porta ha un giovanissimo Francesco Toldo, e davanti all'Empoli, battuto per 2-1 due turni prima in uno scontro diretto che nessuno ha mai dimenticato. Anche per un episodio potenzialmente tragico accaduto all'andata: dopo la gara persa per 1-0 al Castellani la Polizia e i tifosi vicentini si fronteggiano, partono due colpi d'arma da fuoco e due sostenitori rimangono feriti.

In panchina c'è Renzo Ulivieri, che qualche anno dopo diventerà celebre (anche) per il complicato rapporto con Roberto Baggio al Bologna. Ha il carattere non semplice dei toscanacci duri e puri e pure qualche mania scaramantica, come quella di indossare sempre lo stesso cappotto, anche sotto il sole di maggio. Il presidente è Pieraldo Dalle Carbonare, imprenditore del ramo tessile. Ha rilevato il Vicenza nel 1989, ma i primi anni sono stati difficoltosi e privi di soddisfazioni. È un tipo particolare, eccentrico: le partite le segue in panchina, ma con una gestualità un filino esagerata, tanto che non di rado gli arbitri sono costretti ad allontanarlo.

Ulivieri rimane anche l'anno dopo, in Serie B. È il torneo dei grandi nomi, Gabriel Batistuta e la sua Fiorentina in primis. Il Vicenza si salva soffrendo, con due soli punti di vantaggio sul quartultimo posto, e si toglie la soddisfazione di strappare il pareggio sia all'andata che al ritorno ai dominanti viola, destinati a un rapido ritorno ai piani alti. Il proposito per l'annata successiva è chiaro nella mente di tutti: salvarsi, ma stavolta senza troppi patemi. Il problema è che si dovrà farlo senza Ulivieri, che ha accettato di tornare in C1 per dare una mano al Bologna, altra nobile decaduta del pallone italiano. Così in panchina arriva un giovane Francesco Guidolin. E nulla sarà più come prima.

Guidolin Vicenza

"NOI VOGLIAMO TANTO BENE A GUIDOLIN"

Solo un anno prima, Guidolin era alla guida del Ravenna diretta concorrente del Vicenza. Ma nel '94 torna in Veneto, lui che da giocatore aveva indossato la maglia del Verona, un po' abbacchiato: la prima esperienza da allenatore in A si è conclusa con un esonero dopo 10 giornate da parte dell'Atalanta, poi retrocessa. Un tecnico anonimo per una squadra anonima da parte destra della classifica di B: è questo che pensano in tanti. Il nuovo centravanti, per dire, è Roberto Murgita, che l'anno prima al Genoa il professore Scoglio avrebbe voluto utilizzare da... centrale difensivo: non il massimo dell'allegria.

Eppure. Eppure il Vicenza, pian piano, si rende conto di poter ambire a qualcosa di più rispetto a una semplice salvezza. Inizialmente, se la difesa regge splendidamente l'urto, l'attacco non punge. E Murgita non segna nemmeno sotto tortura. Così la squadra di Guidolin infila una sfilza impressionante di 0-0 (a fine campionato saranno 12), tra cui uno contestatissimo contro l'Ancona a novembre: l'ex genoano finalmente segna, ma la palla passa proprio dentro un buco nella rete ed esce, ingannando il direttore di gara. Che non concede il goal. A fine gara Viviani, giusto per stemperare la delusione, prende in giro il compagno con le polveri bagnate:

“Si vede che il signor Arena, quando ha visto che ha segnato lui, ha pensato bene di non darglielo buono...”.

La musica cambia nel girone di ritorno, quando il Vicenza cambia completamente marcia. Murgita inizia improvvisamente a segnare a raffica e arrivano le goleade: 4-1 al Palermo, al Pescara e al Chievo, 4-0 all'Atalanta, 6-3 al Cesena. La promozione è realtà con 90 minuti d'anticipo. Terzo posto finale, dietro al Piacenza di Pippo Inzaghi e all'Udinese. I biancorossi riabbracciano quella Serie A che, con Paolo Rossi in rosa, avevano perso a Bergamo 16 anni prima. E il coro "Guidolin, Guidolin, noi vogliamo tanto bene a Guidolin" risuona festoso al Menti.

Ad affrontare il 1995/96 nella massima serie è più di un elemento che due anni prima sgobbava in C: Mimmo Di Carlo, Fabio Viviani, Giovanni Lopez, ma anche Gilberto D'Ignazio (D'Ignazio Pulpito, come recitano gli almanacchi). In rosa ci sono pure Jimmy Maini, celebre per la liaison con la showgirl Alessia Merz, e Maurizio Rossi, compagno della pallavolista Maurizia Cacciatori. Più un manipolo di sconosciuti (o quasi) pescati dal mercato estero: Joachim Bjorklund, che un anno più tardi opporrà uno sdegnato 'no' alla Juventus, ma soprattutto Marcelo Otero, che in breve tempo diventerà un beniamino assoluto, e il connazionale Gustavo Mendez, che saprà farsi ampiamente perdonare in campo dopo essersi presentato con un rabbrividente “sono felice di essere a Verona”.

Facile indicare il Vicenza come una delle grandi favorite per un rapido ritorno in Serie B. E invece, il ritorno in A è quanto di più entusiasmante si possa immaginare. La banda Guidolin chiude nona, senza rischiare mai davvero di essere risucchiata nelle parti basse della classifica. Gioca spesso bene, a volte dà spettacolo col suo 4-4-2 fatto di fraseggi rapidi e ricerca costante della verticalità. E ha nel Menti il proprio fortino. Lì pareggia col Milan futuro campione e con l'Inter, fa la festa alla Juve in una gara chiusa da un bisticcio tra Dalle Carbonare (rieccolo) e Vialli, supera Lazio, Roma e Parma. A un certo punto s'illude perfino di andare in UEFA, prima di tornare serenamente alla realtà.

IL 29 MAGGIO 1997

Già, ma se l'esordio è tutto entusiasmo, è alla seconda stagione che si vedono i veri valori. E alla seconda stagione in A, ovvero il 1996/97, il Vicenza si prende le copertine. Inizia con un formidabile 4-2 a Firenze con poker di Otero, e a novembre è addirittura primo in classifica da solo grazie a un 2-0 alla Reggiana (doppietta di Speedy Ambrosetti): mai accaduto prima, neppure nell'anno del secondo posto finale (1977/78). Nei mesi successivi si prenderà lo scalpo della Juve, del Milan e dell'Inter. E intanto, senza troppi clamori, prosegue parallelamente anche l'avventura in Coppa Italia: sotto i colpi del 'Lane' cadono la Lucchese, il Genoa e soprattutto il disastrato Milan di Baggio, di Weah e di Savicevic, eliminato ai quarti di finale dopo un doppio pareggio per la regola dei goal fuori casa.

A corroborare ulteriormente convinzioni già altissime, a proposito, è proprio la gara di ritorno giocata al Menti contro i rossoneri. Dopo l'1-1 dell'andata firmato Ambrosetti-Baggio, i biancorossi danno spettacolo e solo per puro caso non bucano la rete di Seba Rossi. Colpiscono un palo, si vedono annullare il goal del vantaggio per fuorigioco, costruiscono altre occasioni da rete. Al resto pensa Gigi Brivio, il portiere di notte (titolare in campionato è Luca Mondini) che sbarra la strada al 'Genio' Savicevic. Lo 0-0 basta e avanza: è semifinale.

"Alcuni di noi dissero: 'Se passiamo contro il Milan vinciamo la Coppa Italia' - ha ricordato Guidolin - A Milano disputammo una partita molto buona, ma la seconda fu ancora più bella. Io ero squalificato, la vidi dalla tribuna. La squadra giocò una partita entusiasmante. Lì cominciammo a capire che la coppa poteva essere nostra".

Milan Vicenza Coppa Italia 1997Wikipedia

Ora c'è il Bologna. Sulla cui panchina, ironia del destino, siede quel Renzo Ulivieri da cui tutto è partito. Il Vicenza si impone per 1-0 al Menti grazie a Murgita, replicando il contestato 2-0 in campionato segnato dall'espulsione nel primo tempo di Kennet Andersson, reo di essersi recato dal proprio allenatore per protestare nei confronti di qualche decisione arbitrale. Nel ritorno del Dall'Ara i felsinei passano con Scapolo a fine primo tempo, colpiscono un palo, sembrano poter portare la sfida ai supplementari. Ma a un minuto dal 90' appare Giovanni Cornacchini, che molti conoscono come ex allenatore del Bari ma ai tempi è un trentenne con un'esperienza irrisoria in A: sinistro vincente da pochi passi e 1-1. "Cornacchini, proprio lui!", urla il bordocampista Rai Gianni Cerqueti. Perché, ironia della sorte, Guidolin era già pronto a richiamarlo in panchina. Da non crederci: il Vicenza, che in campionato si avvia verso l'ottavo posto sfiorando per il secondo anno di fila la zona UEFA, è in finale di Coppa Italia.

L'avversario è il Napoli, che ha appena esonerato Gigi Simoni, promessosi all'Inter per la stagione successiva, affidando la panchina all'allenatore della Primavera Vincenzo Montefusco. Andata al San Paolo, ritorno al Menti. L'8 maggio, un goal di Fabio Pecchia regala l'1-0 che pone gli azzurri in una condizione di leggero vantaggio. Non è il solito Vicenza. Un po' impaurito, forse. O, più più probabilmente, deciso a giocarsi le proprie carte nel catino del Menti. Dove, il 29 maggio, scrive la storia: Maini porta la gara ai supplementari, Caccia si fa espellere per una gomitata a Viviani. E dal 118' al 120' la storia prende compimento. Maurizio Rossi, quello che ha sempre sbagliato i goal facili e segnato quelli più complicati, batte Taglialatela in tap-in. Palla al centro ed è Alessandro Iannuzzi, romano e laziale doc, a fuggire indisturbato verso la porta di 'Batman' e depositare in rete la palla del 3-0. La Coppa è del Vicenza. Giò Lopez, il capitano, la alza al cielo. Il sogno è realtà.

Giovanni Lopez Vicenza Coppa Italia 1997Wikipedia

I MIGLIORI ANNI DELLA NOSTRA VITA

Coppa delle Coppe, quindi. 19 anni dopo Praga, quando senza Paolo Rossi, azzoppato dal centrale Macela – nomen omen – il Vicenza era uscito dalla Coppa UEFA per mano del Dukla. Questa volta l'avventura sarà più lunga, molto più lunga. Ma nessuno lo sa ancora. Il mercato, intanto, porta volti nuovi destinati a lasciare un segno: su tutti Lamberto Zauli, che a Palermo diventerà lo Zidane della Serie B (Zamparini dixit) e a Vicenza tornerà in un secondo momento per allenare il Real, e il “Toro di Sora” Pasquale Luiso, quello che “crossatemi una lavatrice e colpirò anche quella” e intanto, in rovesciata, qualche mese prima ribaltava la panchina del Milan segnando l'addio di Tabarez e riportando in auge Arrigo Sacchi.

Mimmo Di Carlo sogna e confessa di sperare in un incrocio col “Cèlsea” – nominato proprio così, all'italiana – ma il sorteggio è meno affascinante: Legia Varsavia. La cui stella è la futura meteora veneziana Kenneth Zeigbo. Al Menti la squadra di Guidolin offre un primo assaggio delle proprie potenzialità: 2-0 dipinto già nel primo tempo da Luiso e ad Ambrosetti. È tempo di un viaggetto in Polonia. Parafrasando Carlo Verdone: “'Na cosa favolosa, guarda!”. A Varsavia il Vicenza rischia qualcosa, va sotto, ma nel finale Zauli, con un diagonale imprendibile, firma l'1-1 che vale la qualificazione al secondo turno.

L'emozione dell'esordio è superata e il resto del percorso sarà ancor più entusiasmante. E pieno di reti. Il Vicenza ne fa 5 allo Shakhtar (3-1 fuori, 2-1 in casa), che non è lo Shakhtar odierno pieno zeppo di brasiliani ma un manipolo di giocatori senza troppo da raccontare, e addirittura 9 agli olandesi del Roda (4-1 a Kerkrade, 5-0 al Menti con tanto di goal in rovesciata di Mendez). È semifinale. Contro il “Cèlsea”, ovvero il Chelsea, come si augurava Di Carlo. Tutto visto e trasmesso in tv: le trasferte se le prende la Rai, le gare casalinghe Mediaset, che posiziona le proprie telecamere non in tribuna ma nel settore dirimpettaio, i distinti, per evitare che le immagini vengano impallate dal celebre palo del Menti.

In campionato, intanto, il Vicenza sbanda pericolosamente. Partita discretamente, con tanto di colpo in casa del Milan firmato su punizione da “Re Artù” Di Napoli, la banda Guidolin viene risucchiata ben presto nella lotta per non retrocedere. Ne prende 4 dalla Lazio all'Olimpico, addirittura 5 in casa dalla Fiorentina. Il doppio impegno pesa sulle gambe e sulla mente, l'entusiasmo dell'Europa toglie energie e concentrazione in vista della domenica successiva. Il tecnico veneto minaccia di togliere il disturbo, infastidito da qualche critica di troppo. Ma in qualche modo i biancorossi, che intanto da qualche mese battono bandiera (societaria) inglese, restano a galla.

Vicenza Chelsea 1998Getty

La doppia semifinale col Chelsea degli italiani (Vialli, Zola, Di Matteo) entra di diritto nelle pagine indimenticabili del calcio italiano. A Vicenza la definiscono ancor oggi “la partita della storia”, con tanto di targa per ricordare il punto più alto in 100 e passa anni di vita. L'andata del 2 aprile 1998 è un piccolo capolavoro: Luiso e soci meriterebbero ben più dell'1-0 finale, ma segnano solo con Zauli, che con un incredibile movimento da ballerino legnoso fa fuori Leboeuf e Duberry infilando una biliardata mancina nell'angolo di de Goey. Il ritorno è a Londra due settimane più tardi. Luiso illude tutti, trovando il vantaggio e portandosi l'indice alla bocca per zittire lo Stamford Bridge, ma il Chelsea è troppa roba: pareggia con Poyet, trova il raddoppio con Zola (di testa!) e il 3-1 finale con Mark Hughes. Addio finale contro lo Stoccarda. E tanti rimpianti per un goal ingiustamente annullato a Luiso che Guidolin non ha mai digerito.

“Se all'epoca ci fosse stato il VAR saremo passati noi e non il Chelsea: Luiso non era in fuorigioco”.

Lo sconforto iniziale, la sensazione di non essere riusciti a salire sul treno della Storia, lasciano ben presto il passo alla riconoscenza. All'ultima giornata di campionato l'Udinese passa per 3-1 al Menti, ma quasi nessuno ci fa caso: è una giornata di festa, col pubblico impegnato soltanto a rendere omaggio ai propri giocatori e a salutare Francesco Guidolin, diretto proprio verso Udine dopo un quadriennio irripetibile. In Curva Sud campeggia uno striscione chilometrico: “I migliori anni della nostra vita”.

IL DECLINO, IL FALLIMENTO, LA SPERANZA

A proposito di favole e di lieto fine: quella del Vicenza, in pratica, si esaurisce in quel 1998. Il ciclo magico è fatalmente finito. Al posto di Guidolin arriva Franco Colomba dalla Reggina, ma non è aria: nonostante il cambio in corsa con Edy Reja la squadra chiude al penultimo posto e retrocede mestamente in Serie B. Avrà un sussulto l'anno successivo, vincendo il campionato con uno squadrone (Schenardi, Zauli, Luiso, gente che 24 mesi prima sfiorava la finale di Coppa delle Coppe), prima di un ventennio di dolori e sofferenze: tanta B, solo un paio di annate di vertice, retrocessioni e ripescaggi a pioggia, il fallimento del gennaio 2018.

La luce torna a splendere su Vicenza quando Renzo Rosso decide di tendere la propria mano verso un club morente, centrando un nuovo trionfo in Coppa a 26 anni di distanza, più in piccolo ma comunque importante per la crescita del club. Con un sogno nemmeno troppo nascosto: provare a ripercorrere il cammino di una squadra che, al tramonto del secolo scorso, faceva la voce grossa in Italia e in Europa. Il Vicenza di Guidolin. Con un condottiero, il tecnico di Castelfranco Veneto, che a distanza di più di 20 anni e con tante altre esperienze nel proprio curriculum non può infilare in un cassetto qualsiasi quelle stagioni difficilmente ripetibili:

“Sono stati quattro anni favolosi. Anni stupendi, meravigliosi. Come dicono loro, i migliori della vita del Vicenza”.

Pubblicità