Marcelo Otero Vicenza

Marcelo Otero e il Vicenza: tanti "peri" e un rapporto simbiotico

"Vola, Marcelo Otero vola, la curva s'innamora" (coro dei tifosi del Vicenza negli anni Novanta)

Per farsi un'idea di cosa rappresenti Marcelo Otero per Vicenza e il Vicenza, e Vicenza e il Vicenza per Marcelo Otero, basta ascoltare una qualsiasi delle (rare) interviste dell'uruguaiano: quando parla, un orecchio locale può riuscire a scorgere nel suo accento una chiara inflessione dialettale veneta. Eppure Otero non è vicentino, non è nemmeno italiano e ha abbandonato la Serie A più di 20 anni fa. Ma la sua immagine, un'icona della nostalgia per i cultori dei Novanta, è difficilmente scindibile da quella del club biancorosso.

Non è un'esagerazione: quando pensi a Otero, pensi al Vicenza. Un rapporto strettissimo, simbiotico, sincero. In una parola: vero. Anche due decenni dopo. Vicentino d'adozione, nel 2012 Marcelo partecipò alla trasferta di Empoli per lo spareggio (perso) per rimanere in B, tifoso tra i tifosi, a cantare e a soffrire. Lo faceva già ai tempi in cui giocava, come qualcuno ricorderà: quand'era squalificato si camuffava in curva per sostenere i compagni, invece di vedersi comodamente la partita dalla tribuna o dal divano di casa.

Otero sarebbe volentieri tornato al Vicenza anche in un'altra veste. Rientrato da Empoli a testa bassa, e ancora inconsapevole che qualche settimana dopo la squadra sarebbe stata ripescata in B, nel luglio di quel 2012 si propose su Facebook per diventare il nuovo allenatore biancorosso, ruolo rimasto vacante tra l'addio di Gigi Cagni e l'arrivo di Roberto Breda. Una boutade, in fondo, ma da è anche da qui che si capiscono molte cose.

Eppure, il rapporto tra Otero e il Vicenza era cominciato in maniera tutto sommato strana. Anche perché, diciamocelo, come può sapere dove sia questa Vicenza un uruguaiano che non ha mai messo piede fuori dal proprio paese? Mica c'era la tecnologia di oggi, al tempo.

"Del Vicenza non sapevo assolutamente niente, solo che era un club del Nord Italia. Ma Paco Casal, il mio procuratore, mi disse di fare le valigie e così partimmo".

Era l'estate del 1995. Il Vicenza, che tre stagioni prima languiva nel mare melmoso della Serie C, era stato appena promosso in A. E aveva deciso di puntare, assieme a Gustavo Mendez, su questo attaccante uruguaiano di 24 anni, sconosciuto sì, ma solo fino a un certo punto: il calcio internazionale lo conoscevano in pochi rispetto a oggi, ma poche settimane prima Marcelo aveva conquistato da protagonista la Copa America - trasmessa da TMC per l'Italia - con l'Uruguay, prendendo il posto dell'acciaccato Ruben Sosa e firmando tre reti, come Abel Balbo e una in meno di Gabriel Batistuta. Il costo? Due miliardi e mezzo di lire. Un affare.

Il resto è storia piuttosto nota: nel 1995/96 il Vicenza di Guidolin, tutto attaccato, arriva nono dopo aver addirittura sognato l'ingresso in UEFA, nel 1996/97 alza la Coppa Italia dopo avere assaporato pure l'ebbrezza di un effimero quanto strepitoso primo posto in A, nel 1997/98 arriva a un passo dalla finale di Coppa delle Coppe, fatto fuori solo dal Chelsea degli italiani, di Vialli, di Zola. Con le telecamere Mediaset posizionate non in tribuna ma nei Distinti, il settore dirimpettaio, per evitare che l'inquadratura venga "inquinata" dal celeberrimo palo del Menti.

Sono anni in cui, a turno, tutte le grandi si inchinano al Vicenza. La banda di Giò Lopez, di Mimmo di Carlo, di Fabio Viviani e di Roberto Murgita si prende il lusso di battere sia l'Inter che il Milan a San Siro, di eliminare i rossoneri dalla Coppa Italia, di fare la festa alla Juve. A proposito di Juve: dal 1995 al 1999 i bianconeri, che nel frattempo conquistano l'Italia, l'Europa e il Mondo sotto la guida di Marcello Lippi, il Menti non lo espugnano mai. Quattro partite, due vittorie del Vicenza, due pareggi. Giusto per rendere l'idea.

Otero, di quella squadra, è uno dei simboli. Si inserisce nel calcio italiano che è un piacere, gioca spesso in coppia con Murgita e qualche volta largo a destra in un 4-5-1. E segna: 12 goal la prima stagione, 13 la seconda. E poi via con l'esultanza a braccia aperte che gli vale il soprannome di Falco o, ancor meglio, di Avioncito, aeroplanino, proprio quando l'Aeroplanino vero, Vincenzo Montella, si sta affacciando alle più grandi ribalte.

Il momento migliore in assoluto della propria esperienza italiana, Otero lo vive l'8 settembre, alla prima giornata del 1996/97. Fiorentina-Vicenza 2-4, tutti e quattro le reti sono sue. Indimenticabile. Al ritorno, un girone dopo, in Sud compare uno striscione con la raffigurazione di quattro pere. Perché anche "Dai Otero facci un pero" (ovvero un goal nel linguaggio goliardico del tifoso vicentino) è un mantra che si trasmette di stagione in stagione.

A chi non piace Otero, dunque? Magari a Erminio Boso, parlamentare leghista scomparso un anno fa, che nel novembre del 1995 chiede la sua espulsione dall'Italia. Il motivo? La patente internazionale di Marcelo, fermato per eccesso di velocità e pescato in stato d'ebbrezza dopo una cena in famiglia al ristorante, risulta scaduta. "Proprio quel giorno", giura l'ex bomber. Sta di fatto che Boso chiede addirittura alla Lazio di non giocare contro il Vicenza la domenica successiva. Rimanendo inascoltato, naturalmente. E, sempre a proposito di goliardia, dopo quell'episodio il tifo vicentino s'inventa un nuovo coro: da "Dai Otero facci un pero" a "Dai Otero bevi un nero". Ovvero un vino rosso.

Otero lascia Vicenza e l'Italia nel 1999, dopo un'annata tutto sommato positiva per lui (10 reti) ma non per il Vicenza, retrocesso in B. Va a Siviglia, ma non è la stessa cosa. E poi chiude tra Argentina e Uruguay. Oggi si divide tra vari interessi: ha fatto l'allenatore e pure il procuratore, tanto da aver proposto il figlio proprio ai biancorossi. Senza arrivare a un contratto, nonostante il ragazzo nel 2016 sia pure sceso in campo in amichevole.

Timido, modesto, mai troppo a proprio agio davanti alle telecamere, ma tremendo in campo: ecco cos'era Otero. Un vicentino acquisito, ormai, tanto che non è raro vederlo in città, oppure sui social con tanto di maglia biancorossa sulle spalle. Domenica 14 aprile Marcelo compirà 53 anni: per chi ha vissuto quegli anni difficilmente ripetibili, è quasi Natale.

Pubblicità