Pubblicità
Pubblicità
Vicenza fansGetty Images

Affondo Rosso, the Braves are Back: il Vicenza è tornato di moda

Pubblicità

The Braves are Back. Rigorosamente con le B maiuscole. I coraggiosi sono tornati. Il Vicenza abbandona l'inferno della Serie C e torna nel purgatorio della B, e purgatorio non è un termine scorretto se associato a un club che nella propria storia può vantare 30 campionati in A, un secondo posto, un primo posto momentaneo, una Coppa Italia, due futuri Palloni d'Oro, un catino come stadio. La Nobile Provinciale, lo hanno sempre chiamato.

Il Vicenza riconquista la Serie B dopo tre campionati in terza serie. Vi era crollato nel 2017, retrocedendo – sul campo – per la quarta volta in 13 anni. Stagioni sofferte, dure, amare. Iniziate nel 2004 con il passaggio di proprietà dalla finanziaria inglese ENIC, mal sopportata dal tifo, alla Finalfa di Sergio Cassingena, e proseguite tra umiliazioni, cadute, ripescaggi, riammissioni e la tremenda sensazione di non avere una strada da percorrere. Fino alle due date della svolta. La prima: il 18 gennaio 2018, quando il Tribunale di Vicenza decreta il fallimento del club biancorosso. La seconda: il 31 maggio dello stesso anno, il giorno storico in cui Renzo Rosso, patron della holding di moda OTB (acronimo di 'Only The Brave'), uno degli uomini più ricchi d'Italia, tende la propria mano per salvare una realtà morente.

“Voglio che Vicenza e Bassano diventino una sola grande squadra vicentina – annuncia “Mister Diesel” in un'intervista al 'Giornale di Vicenza' - che indossi la maglia biancorossa e che giochi al mitico stadio Menti”.

Rosso è, appunto, già proprietario del Bassano. Che come il Vicenza, che grazie a un esercizio provvisorio ha concluso il campionato salvandosi allo spareggio contro il Santarcangelo, milita in C. Non può gestire contemporaneamente due realtà nella stessa categoria. E così opta per il trasferimento del titolo sportivo giallorosso, con tanto di cambio di nome: L.R. Vicenza Virtus. Dove L.R. sta per Lanerossi, storico marchio tessile del territorio già legato ai momenti più belli del club berico. Qualcuno storce il naso, tanti celebrano la rinascita. Il futuro è alle porte.

Renzo Rosso

Il nuovo Vicenza nasce così, dalle ceneri di una morte sportiva a cui è giunto al culmine di una gestione scellerata. Da Finalfa a Vi.Fin, passando per la finanziaria arabo-lussemburghese Boreas, che entra in co-gestione nei primi mesi del 2017/18 senza mai completare l'acquisto integrale delle quote, e una serie infinita di trattative – vere o fasulle – per la cessione della società, oberata nel corso degli anni da una montagna di debiti. L'unica stagione positiva è il 2014/15, quando, da ripescato a sorpresa al posto del Pisa, il Vicenza di Pasquale Marino si inerpica a un passo dalla finale playoff per la Serie A. Ma è uno sprazzo di luce nel buio.

L'apice dell'umiliazione, più che il giorno del fallimento, viene toccato il 13 gennaio del 2018, 5 giorni prima. Il Vicenza dovrebbe disputare gli ottavi della Coppa Italia di Serie C a Padova, ma la rosa è in sciopero per protestare contro il mancato pagamento degli stipendi. La società decide così di mandare la formazione Berretti, che però all'Euganeo non arriverà mai: il pullman viene bloccato all'uscita dal Menti da 400 persone, con l'intenzione di non giocare la partita. Risultato: 0-3 a tavolino.

Necessario partire da qui, ricordarsi cos'era il Vicenza ieri, per capire che cosa sia oggi: un club che sa cosa vuole fare e dove vuole andare. Rosso è un istrionico, la prima conferenza stampa la fa in ciabatte e seduto sul tavolo, si inventa le giovani raccattapalle in shorts per dare un tocco di colore, ma ha ben chiaro il percorso da seguire. Ha un approccio manageriale in tutto ciò che fa, è un visionario. Chiama a raccolta gli imprenditori vicentini, forma una base solida – presente anche Paolo Scaroni, ex presidente del Vicenza e attuale numero uno del Milan –, a livello giovanile crea collaborazioni fruttuose con altre realtà locali. Richiama Paolo Rossi, a cui affida il ruolo di uomo immagine. Ed è ambizioso. Il progetto? Il ritorno in Serie A in cinque anni. Sempre con i piedi per terra.

“Vogliamo riportare la squadra e la città dove meritano di stare, non lo nascondo – dice il figlio Stefano, presidente del club, alla 'Gazzetta dello Sport' – puntiamo la A e guardiamo ai modelli di riferimento, l’Atalanta, ad esempio. Conosco la famiglia Percassi e la loro idea di sviluppo del calcio è affine alla nostra. Ci vorranno anni per seguire quel percorso, ma tutti insieme ce la possiamo fare".

Gli inizi non sono semplici: nel 2018/19 il Vicenza chiude la stagione regolare all'ottavo posto e viene eliminato dal Ravenna al primo turno dei playoff. In rosa ci sono tanti ex Bassano, probabilmente inadatti a un contesto così impegnativo. È l'anno zero, difficile pretendere di più. Qualcuno mugugna, vorrebbe tutto e subito, e viene accontentato. L'estate successiva è quella in cui la società inizia a osare: in panchina torna Mimmo Di Carlo, uno dei pilastri della squadra che negli anni Novanta partì dalla C e arrivò a un soffio dalla finale di Coppa delle Coppe, a cui viene affiancato il ds Giuseppe Magalini, già conosciuto a Mantova. E in campo ecco un altro vicentino doc come Luca Rigoni. Affiancato da califfi della categoria come Cappelletti, Padella, Marotta, più il ventiquattrenne belga Vandeputte, uno che in A, in un modo o nell'altro, sembra destinato ad arrivarci.

Domenico Di Carlo ChievoGetty Images

Di Carlo inizia con il 4-3-1-2, con Giacomelli tra le linee, poi passa al 4-4-2. E il Vicenza, dopo una partenza... Diesel come lo sponsor sulla maglia, ingrana. In Coppa Italia viene eliminato subito dalla Reggina, in campionato inizia con uno scialbo 0-0 a Modena, a inizio novembre perde in casa derby e primo posto contro il Padova. Ma non si abbatte. E con una striscia di 9 successi nelle successive 10 partite fa il vuoto. Chiuderà con 6 punti di vantaggio sulla Reggiana seconda – potenzialmente 5, considerando che il Carpi ha disputato una gara in meno –, il margine più risicato dei tre raggruppamenti della Serie C.

È un'orchestra senza un vero solista, una squadra senza un vero bomber: il miglior marcatore della rosa è l'ex catanese Marotta, con 7 reti, uno che quando segna si prende pure il lusso di raccogliere una lattina di birra dai tifosi e farsi un sorso (è accaduto a Trieste). La difesa è il vero punto di forza: appena 12 goal al passivo, primato assoluto in tutte le serie professionistiche. Merito in particolare della coppia centrale formata da Daniel Cappelletti, arrivato da Padova, e dell'ex ascolano Emanuele Padella, alla terza promozione in carriera dopo le due di fila, dalla C alla A, col Benevento.

Non gioca granché bene, il Vicenza, anche se il bel gioco in Serie C è un concetto relativo. Il terreno di gioco costantemente pessimo del Menti non aiuta. Però è sorretto da un'esperienza che in pochi possono vantare: 9 giocatori della rosa biancorossa, compreso Padella, l'attuale capitano, hanno già indossato la fascia nelle loro precedenti esperienze in altri club. Ed è qualcosa che, alla lunga, pesa nella gestione dei momenti bui (pochi) e di quelli euforici (tanti).

La risalita in Serie B viene considerata un punto di partenza, non certo d'arrivo. L'obiettivo a medio termine è quella Serie A che in Veneto hanno assaggiato per l'ultima volta nel lontano 2001, con Edy Reja in panchina e un giovane Luca Toni in attacco. Più che i risultati in sé, a confortare è una sensazione di solida fiducia che a Vicenza mancava da tanto, troppo tempo. In campo e fuori. La Nobile Provinciale, la squadra di Paolo Rossi e Roberto Baggio, is back.

Pubblicità
0