Fra i grandi interpreti del ruolo del portiere, è stato l'unico fra gli italiani a vincere tutte le competizioni nazionali e internazionali per club. Iconico anche nel look, che lo ha visto spesso sfoggiare a un certo punto della sua carriera i baffoni stile Tom Selleck di Magnum P.I., mai banale nelle dichiarazioni che rilasciava alla stampa, Stefano Tacconi ha avuto al contempo la sfortuna e la fortuna di giocare in un'epoca, quella che va dagli anni '70 agli anni '90 del secolo scorso, ricca di campioni.
Grande rivale ma anche amico di Walter Zenga, del quale è stato il dodicesimo nella Nazionale di Vicini anche ai Mondiali del 1990, dopo essere esploso nell'Avellino ha raccolto l'eredità di Dino Zoff nella Juventus, vincendo tutto con i bianconeri. Simbolo della Vecchia Signora, di cui indossa anche la fascia da capitano, dopo le polemiche con Maifredi, perde il posto da titolare e nella sua ultima stagione a Torino, con Trapattoni in panchina, fa da chioccia all'emergente Angelo Peruzzi.
Chiude con il Genoa, tornando poi in campo per vincere fra i Dilettanti superati i 50 anni. Tenta anche la carriera politica, e in tv lo si vede come attore, opinionista sportivo e nel reality show 'L'Isola dei famosi'.
Negli ultimi anni seri problemi alla schiena lo hanno costretto a un delicato intervento chirurgico prima di combattere la sua partita più importante, quella per la vita, dopo essere stato colpito da una seria emorragia cerebrale nel 2022.
DALLA PRIMAVERA DELL'INTER ALL'AVELLINO
Tacconi nasce a Perugia il 13 maggio 1957. Originario del paesino di Ponte Felcino, è figlio di due operai, Arsenio e Giannina, che lavorano in un lanificio. Superato l'esame di terza media, Stefano si iscrive all'Istituto alberghiero, dove impara a cucinare: dagli spaghetti all'amatriciana all'anatra all'arancia, passando per i piatti tipici umbri.
Intanto però il calcio lo appassiona: in porta ci finisce per caso. A piazzarlo fra i pali sono infatti i suoi fratelli maggiori, Giuseppe e Piero, che giocano come centrocampisti. Non possono immaginare che ad attenderlo c'era una grande carriera.
Le prime esperienze calcistiche le ha a 16 anni nella squadra del suo paese: fisicamente è molto magro ma ha mezzi atletici importanti. Un osservatore lo nota e lo porta allo Spoleto. Il giovane Tacconi inizia a sognare di poter fare il calciatore e si impegna al massimo per emergere. Finché un giorno Sergio Brighenti e Franco Manni, rispettivamente osservatore e general manager dell'Inter, non piombano ad osservare un giocatore della formazione umbra.
Si tratta di un giovane di nome Roselli, ma piace anche Tacconi e così per il portiere arriva la svolta. I nerazzurri chiudono una doppia operazione e Stefano sbarca a Milano, dove il club nerazzurro lo affida ad Arcadio Venturi e a Giancarlo Cella. Inizia la sua trafila con la formazione Berretti, poi passa in Primavera, con cui vince la Coppa Italia di categoria nella stagione 1975-76.
A quel punto l'Inter, come usava in quegli anni, lo manda a 'farsi le ossa' nelle categorie inferiori. Torna così in prestito allo Spoleto, disputando da titolare, a 19 anni, il campionato di Serie D 1976/77. Successivamente approda, a causa del servizio militare, a Busto Arsizio, dove difende la porta della Pro Patria, guidata da Paolo Barison.
Con i lombardi, tuttavia, riporta la frattura dell'ulna in uno scontro con Vendrame, e deve fermarsi, collezionando appena 7 presenze nel suo primo anno fra i professionisti.
WikipediaNel frattempo Tacconi completa gli studi conseguendo il diploma di cuoco all'Istituto alberghiero di Spoleto. Nel 1978/79 l'Inter lo gira, sempre in prestito al Livorno di Tarcisio Burgnich, che disputa il neonato campionato di Serie C1. L'ex difensore gli dà fiducia, schierandolo titolare, ed è ripagato con prestazioni di buon livello, che contribuiscono a far chiudere agli amaranto il torneo a metà classifica con una delle difese meno battute. Tacconi approda anche nella Nazionale di Serie C.
"Quando io ho cominciato la mia carriera, negli anni '70 - racconta nel 2020 a 'Che tempo che fa', su 'Rai Uno' - i portieri giocavano senza guanti, con i palloni cuciti in cuoio".
Nonostante il buon campionato, Tacconi non riesce a convincere l'Inter a tenerlo, e così il club milanese lo cede a titolo definitivo alla Sambenedettese, che disputa il campionato di Serie B.
"Io ero tifoso interista e felice di giocare lì. - dirà - Poi non hanno capito nulla e mi hanno mandato via...".
Nelle Marche il portiere umbro, seguito dal preparatore Piero Persico, dimostra di meritare fiducia ad alti livelli. Nonostante la retrocessione della squadra in Serie C1, 'L'Angelo di Ponte Felcino', come lo chiamano per gli occhi azzurri e i capelli biondissimi, spicca il volo definitivo verso il grande calcio. Su di lui punta infatti l'Avellino del commendatore Antonio Sibilia, che ha appena conquistato la promozione nel massimo campionato.
FRA I RAGAZZI DI SIBILIA
Tacconi nel 1980/81 approda dunque in Serie A con l'Avellino di Luís Vinicio. Quella della squadra irpina, capace di conquistare salvezze in sequenza e di fare lo scalpo a diverse big, è un'autentica favola. Oltre a Tacconi indossano in quegli anni la divisa biancoverde, fra gli altri, calciatori come Fernando De Napoli, Luciano Favero, Beniamino Vignola, Barbadillo e Juary.
"Abbiamo fatto uscire sangue a tanti, - ricorda di recente in un'intervista su Instagram - c'era la Legge del Partenio, anche grazie ai tifosi. Quando arrivai, dopo due mesi, ci fu il Terremoto che sconvolse tutto. Poi però ci siamo uniti e abbiamo ottenuti grandi risultati. Quell'Avellino rimarrà per sempre nella storia".
L'esperienza con i Lupi gli resterà nel cuore, tanto che Tacconi continuerà a indossare spesso maglie verdi durante la sua carriera.
Wikipedia"Era un colore che mi portava bene. - afferma a 'Che tempo che fa' - L'Avellino mi ha dato l'opportunità di emergere, anche per questo, in segno di riconoscenza, ho continuato a portare spesso maglie verdi".
IL PASSAGGIO ALLA JUVENTUS E I GRANDI TRIONFI
Dopo 3 stagioni in cui colleziona 105 presenze in biancoverde fra campionato e Coppa Italia, su Tacconi mette gli occhi la Juventus, che individua nel portiere umbro l'erede ideale del grande Dino Zoff. Il suo nome inizia a circolare già nel corso dell'inverno della stagione 1983/83, quando ancora il ritiro del grande estremo difensore non era certo.
"Reagii a modo mio. - ricorda Tacconi - Dissi a Boniperti: 'O io o lui'. Io la riserva non l'avrei fatta a nessuno".
Un ruolo che avrebbe creato a chiunque gravi difficoltà, non al portiere umbro. Si impone nell'ambiente bianconero con il suo carattere e la grande personalità.
In campo fa valere la sua fisicità e il grande atletismo, che lo rendono spesso decisivo nell'uno contro uno e gli consentono con voli plastici e spettacolari di coprire la porta con grande efficacia.
"Ad Avellino dovevo fare anche da libero, - dichiara - figuriamoci se mi spavento per il fatto di giocare in una squadra come la Juventus che al portiere è in grado di assicurare adeguata protezione. Non mi spaventa nemmeno il paragone con Dino. Io sono Tacconi e a Zoff guardo come al maestro".
Quando approda a Torino con Vignola nel 1983, c'è una Juventus stellare, guidata da Giovanni Trapattoni, con Dino Zoff come suo preparatore.
"Erano 7 campioni del Mondo, più Platini e Boniek e noi: la squadra era già fatta. Scirea era il leader, ma c'erano tanti allenatori in campo, penso che Trapattoni abbia dovuto faticare poco per guidarla".
La prima in campionato è contro l'Ascoli, a Torino, e Tacconi è subito protagonista con un rigore parato a De Vecchi.
"Quel giorno vincemmo 7-0. E poi, con quella gente che stava davanti a me, mi sentivo molto tranquillo. Il rigore è stato la ciliegina sulla torta. Mancava solo l'esordio in Coppa delle Coppe il mercoledì successivo, e ripetemmo il 7-0 anche lì. Se non altro portavo fortuna. Avere Zoff come preparatore mi dava grande sicurezza".
Davanti a lui gioca una grande linea difensiva, composta da Gentile, Brio, Scirea e Cabrini. Nella sua prima stagione in bianconero Stefano gioca ad alti livelli e conquista subito il double: vince lo Scudetto e la Coppa delle Coppe, esaltandosi spesso nelle serate europee.
Nel 1984/85 arrivano quindi la Coppa dei Campioni nella tragica serata dell'Heysel e la Supercoppa Europea (da riserva), conquistata anche quella contro il Liverpool.
Ma per Tacconi il secondo anno all'ombra della Mole è una stagione travagliata. La crisi inizia con gli errori commessi in un sonoro 0-4 contro l'Inter, e in un'uscita fuori tempo che propizia la vittoria del Torino nel Derby della Mole la domenica successiva. Trapattoni lo spedisce in panchina e schiera titolare al suo posto l'eterna riserva, Luciano Bodini.
Stefano però è uno senza peli sulla lingua, non accetta la panchina e viene multato dalla società per le sue dichiarazioni pungenti, alimentate dalla stampa.
"Tacconi sfida la Juventus!", titolano i giornali.
I vizi, del resto se li è sempre concessi, come lui stesso ammetterà.
"Con Platinì fumavo due sigarette fra il primo e il secondo tempo. Poi bevevo la China Martini, però stavo bene. Ognuno ha il suo stile di vita, fumando e bevendo stavo bene a differenza di Galli che indossava il pantalone lungo anche a Ferragosto e aveva paura anche della pioggia e dell’influenza".
Devono passare diversi mesi prima che il portiere arrivato da Avellino riconquisti la maglia da titolare, giusto in tempo per giocare la finale di Coppa dei Campioni all'Heysel. Nella gara che si disputa in un clima surreale a Bruxelles per la tragedia accaduta sugli spalti, Tacconi è comunque decisivo con alcuni interventi che impediscono al Liverpool di trovare il goal.
Il 1985 è anche l'anno in cui Stefano subisce goal sul suo palo da Maradona, che trasforma alla perfezione un calcio di punizione a due su appoggio di Pecci. Un goal impossibile per molti, non per Diego.
"Se lo avessi parato, probabilmente mi avrebbero dato una medaglia. - dirà Tacconi - A parte tutto, è un onore aver preso gol da Diego Maradona, non la considero una sconfitta personale come portiere. Quando prendi gol da certi campioni, puoi anche ricordarlo per tutta la vita e puoi raccontarlo ai nipoti. Mica hai preso gol da Cinciripini...".
L'apoteosi della sua militanza in bianconero è tuttavia la Coppa Intercontinentale, che l'8 dicembre 1985 lo vede come assoluto protagonista contro gli argentini dell'Argentinos Juniors: Tacconi neutralizza infatti due calci di rigore degli avversari, mettendo la sua firma personale sul trionfo.
"Il ricordo più bello è quello di Tokyo. - conferma a 'Che tempo che fa' - Quando vinci parando due rigori e ti laurei campione del Mondo puoi avere soltanto bellissimi ricordi. Non mi è mai piaciuto l'anonimato, ma essere protagonista".
Batista e Pavoni devono inchinarsi ai suoi riflessi, e dopo il secondo e decisivo intervento la sua gioia è incontenibile: salti di felicità e pugni al cielo a far esultare tutti i tifosi bianconeri che seguono la partita in tv. All'origine del trionfo giapponese anche un aneddoto 'hot', raccontato dal portiere al 'Guerin Sportivo' nel 2012.
Getty"La città era un casino, stava aspettando da mesi l’evento. Eravamo sempre imbottigliati nel traffico. Trapattoni, poi, era una belva perché avevano messo sia noi che gli argentini nello stesso albergo. La tensione saliva a vista d’occhio. Non c’era altro che allenamento, mangiare e dormire. Io ho resistito fino al quinto giorno. Poi sono scappato e sono andato a cercarmi una geisha. La trovai e posso dire che dopo sono stato parecchio meglio. Nessuno mi ha detto niente. Mancavano due giorni alla partita. Erano tutti stressati. Io no".
A fine anno ottiene anche il secondo e ultimo Scudetto della sua carriera, poi, dopo qualche stagione di transizione per la squadra, con Zoff in panchina conquista Coppa Italia e Coppa UEFA nel 1990 con la fascia da capitano sul braccio.
"Avevamo un grande spogliatoio, - ricorda Stefano - ci siamo stretti attorno al dolore per la morte di Gaetano. E l'anno prima ci hanno 'rubato' a Napoli la possibilità di vincere un'altra Coppa UEFA (i partenopei ribaltano fra le polemiche il k.o. per 2-0 a Torino, con annullamento di un goal regolare di Laudrup, ndr)".
La finale di ritorno della Coppa UEFA del 1990 contro la Fiorentina si gioca, segno del destino, nella sua Avellino, e Tacconi interpreta un'altra partita da incorniciare, dando un apporto decisivo alla vittoria della Vecchia Signora. In quel momento è con Walter Zenga, grande rivale ma anche stimato amico, il più forte portiere italiano in circolazione.
"Io e Walter abbiamo avuto una esaltazione in quel periodo che ha creato l'era del portiere italiano. - ha detto di recente in un'intervista a 'Rai Radio 2' - La rivalità? Meno male che esiste".
E in una dichiarazione del 2011 c'era andato più pesante: "Lui è stato sempre sfigato, - disse - perché non ha vinto niente, io ho vinto tutto. Anche in Nazionale non ha vinto niente. Io ho avuto la fortuna nel ’90 di vincere due Coppe e lui a Coverciano si incavolava perché io festeggiavo. Era una vera goduria".
La rivalità è reale, ma in campo i due sono amici e scherzano spesso su un dualismo ingigantito dai giornali.
Wikipedia"Nel calcio di oggi non vedo più uno Zenga e un Tacconi. - afferma Stefano a 'Che tempo che fa' - Oggi i portieri sono tutti un po' moscetti. Noi invece avevamo personalità ed eravamo un po' pazzerelli. Eravamo protagonisti in campo e andavamo a parlare in tv e a ballare. Abbiamo sconvolto la categoria dei portieri".
VICE-ZENGA IN NAZIONALE E A ITALIA '90
La rivalità con Zenga si presenta per Tacconi soprattutto a livello di Nazionale maggiore. Stefano, dopo aver militato da giovane nella Nazionale di Serie C, è il titolare dell'Olimpica che a Seul, nel 1988, prova a competere per l'oro. Ma la squadra di Francesco Rocca, dopo esser stata umiliata dallo Zambia nella fase a gironi (con un 4-0 che passerà alla storia) cede in semifinale all'URSS e perde la finale per il 3° posto con la Germania Ovest.
Gli Azzurri devono dunque accontentarsi della quarta piazza. Intanto il 10 giugno 1987 Tacconi aveva già esordito anche con la Nazionale A di Azeglio Vicini nel successo per 3-1 a Zurigo contro i campioni del Mondo dell'Argentina. Il Ct. gli parla chiaro e gli ritaglia il ruolo di vice Zenga. Per una volta, seppure non sia d'accordo con lui, Tacconi dice di sì.
Come vice-Zenga partecipa alle spedizioni azzurre per Euro '88 e Italia '90, in entrambe vede le partite sempre dalla panchina. Anche nella sfida decisiva dei Mondiali contro l'Argentina, che avrebbe voluto giocarsi da titolare.
"Se avessi giocato io, - dichiarerà più volte - avremmo vinto. L'errore ci può stare, ma quell'anno io ero molto più in forma di Walter".
Il pensiero va anche agli sfortunati rigori, con Tacconi che avrebbe voluto ripetere quanto fatto 5 anni prima a Tokyo.
"Soltanto un Ct. ha avuto il coraggio di cambiare il portiere per i rigori in un Mondiale. - dirà - Van Gaal con l'Olanda nei Mondiali in Brasile, e gli è andata bene".
L'esperienza in Nazionale di Tacconi si chiude nel 1991, quando Gianluca Pagliuca lo sopravanza nel ruolo di vice-Zenga, dopo 7 presenze in 4 anni.
LE POLEMICHE CON MAIFREDI E L'ADDIO NEL 1992
Il rapporto fra Tacconi e la Juventus inizia a incrinarsi in maniera significativa nel 1990, quando sulla panchina bianconera approda Gigi Maifredi. Già dopo il pesante rovescio di Napoli (sconfitta per 5-1 al San Paolo). A fine gara il portiere chiede al vicepresidente esecutivo Montezemolo l'esonero dell'allenatore, ma si sentirà rispondere da quest'ultimo che non vuole passare alla storia come il primo ad aver esonerato un allenatore alla Juventus.
Ne nasce una stagione travagliata, che culmina con l'esclusione dei bianconeri dalle Coppe europee.
"Maifredi è stato boicottato da tutti. - rivelerà - Riuscì a rovinare uno spogliatoio perfetto. L'impegno c'è stato da parte di tutti, ma lui non si è comportato bene. Forse nemmeno io mi comportai benissimo da capitano. Quando Maifredi parlava di tattica e schemi, andavo a giocare a tennis con Sorrentino, il preparatore dei portieri".
La stagione successiva è quella della 'restaurazione' della vecchia dirigenza. Tacconi parte titolare e fa da chioccia all'emergente Angelo Peruzzi, destinato a raccogliere la sua eredità a partire dalla stagione successiva. Nell'estate del 1992 Tacconi saluta la Juventus, con cui ha raccolto ben 382 presenze in tutte le competizioni.
"Nei miei 9 anni di Juve - affermerà - ho avuto due grandi allenatori: Zoff e Trapattoni. Con Zoff ci avevo prima giocato contro e a Torino l'ho avuto prima come preparatore, poi come allenatore. Per me è stato come un secondo papà. Trapattoni invece era un rompipalle".
IL GENOA, IL RITIRO E IL RITORNO IN CAMPO DOPO I 50 ANNI
Tacconi si trasferisce al Genoa, dove parte titolare con Bruno Giorgi. È però quella un'epoca in cui il ruolo del portiere sta cambiando, e agli estremi difensori si chiede anche di giocare la palla con i piedi. Tacconi ha qualche difficoltà e commette alcuni errori, finendo poi per essere estromesso quando sulla panchina del Grifone arriva Gigi Maifredi.
Con Claudio Maselli i rossoblù si salvano, e il portiere umbro ritrova la maglia da titolare nel 1993/94 con Franco Scoglio allenatore. Resta anche nel 1994/95, ma quando arriva Marchioro e viene relegato nuovamente in panchina, decide di dire basta. È il dicembre del 1994, e Tacconi appende i guanti al chiodo all'età di 37 anni.
C'è però un sorprendente ritorno: nel 2008, infatti, superati i 50 anni, torna in campo fra i Dilettanti con l'Arquata di Arquata del Tronto. Con la formazione marchigiana, che milita in Prima Categoria, vince il campionato e ottiene l'approdo in Promozione.
I PROBLEMI ALLA SCHIENA E IL DELICATO INTERVENTO
Nella vita privata, dopo esser stato sposato in prime nozze con Paola Vincenzoni, Stefano si è follemente innamorato della bella modella Laura Speranza. La coppia ha convissuto per 18 lunghi anni, ed è convolata a nozze nel 2011. Dalla loro relazione sono nati 4 figli: Andrea, che per un breve periodo ha inseguito anche il sogno di diventare un calciatore professionista, dopo gli esordi con i Giovanissimi della Lazio, guidato da Simone Inzaghi, Virginia, Vittoria Maria e Alberto.
Ritiratosi dal calcio giocato, l'ex numero uno bianconero si è dedicato a molteplici attività. Ha inseguito il sogno di una carriera politica, venendo anche candidato da Alleanza Nazionale per le Elezioni europee del 1999, ha fatto l'attore, con l'interpretazione di se stesso nel mediometraggio autobiografico a scopo benefico 'Ho parato la luna', di Ornella Barreca, e spesso è stato opinionista calcistico in tv. Nel 2003 ha anche partecipato al reality show 'L'Isola dei Famosi'.
I tifosi lo hanno potuto rivedere anche in campo con le Leggende bianconere e della Nazionale. Negli ultimi anni ha tuttavia avuto seri problemi alla schiena, che lo hanno costretto a finire sotto i ferri nel 2019. Tacconi, come lui stesso ha rivelato in tv, si è sottoposto ad un delicato intervento.
"Avevo problemi a due vertebre, - ha raccontato a 'Pomeriggio 5' su 'Canale 5' - mi hanno detto: 'O ti operi o resti sulla sedie a rotelle'. È stato allora che ho iniziato ad avere una serie di paure".
"In pratica - spiega a 'Che tempo che fa' su 'Rai Uno' - non avevo più il disco. Così mi hanno messo un perno in acciaio, con 4 viti. Il calcio ti dà, il calcio ti toglie".
Superato un periodo difficile, che complice la pandemia, lo ha fatto a lungo riflettere sulla vita e dire: "Non so quanto ancora mi resti", e valutare una proposta proveniente dalla Cina, alla fine ha deciso di restare in Italia per amore della famiglia.
"Non voglio perdere mia moglie. Laura e i miei figli sono tutta la mia vita. - ha dichiarato al settimanale 'Di Più' - Sono in trattative per entrare nella dirigenza di una squadra piemontese, il Verbania. Giocano in Serie D ma hanno grande qualità. Inoltre l'estate prossima prenderemo in gestione un hotel di mare con annesso ristorante, sarà un modo per ritrovarci e stare insieme con i nostri figli".
La cucina è rimasta sempre, del resto, la sua grande passione.
"Mi ha sempre appassionato cucinare, le penne alla norcina sono il mio piatto, con salsiccia umbra, peperoncino e panna. Con mio figlio Andrea abbiamo anche aperto una cantina di vini".
Stefano si pone nuovi obiettivi per il futuro, mentre guarda al suo passato con il sorriso.
"Ho giocato negli anni migliori - sottolinea - Quando io paravo nel calcio italiano c'erano tutti i migliori: ho giocato con Michel, e affrontato Maradona, Falcão, Zico, Passarella, Bertoni, Cerezo...".
E ai giovani che non l'hanno mai visto in azione ama sempre ricordare:
"Non sono io secondo a Buffon, ma Gigi secondo a me. A parte il Mondiale, con la Juventus in Europa lui non ha vinto nulla. Io invece sono l'unico portiere italiano che ha vinto tutte le competizioni nazionali e internazionali".