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Paolo Poggi: il Venezia nell'anima, il record soffiato da Leão e l'introvabile figurina

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Fino al giugno del 2022 è stato uno dei dirigenti più importanti del Venezia, il club che per lui rappresenta come una seconda pelle, e con il quale ha portato avanti uno dei progetti più ambiziosi del calcio italiano, culminato nella promozione in Serie A. Prima di diventarlo, però, Paolo Poggi è stato innanzi tutto un buon calciatore.

Non un bomber, il classico centravanti d'area, ma un attaccante mobile, una seconda punta che faceva del dinamismo il suo punto di forza con in quale riusciva a mandare in tilt le difese avversarie.

Con il mancino, poi,era capace di grandi giocate: sapeva mandare in goal i compagni di reparto o concludere personalmente a rete con micidiali conclusioni. Generoso e portato al sacrificio, della sua presenza spesso beneficiavano i suoi compagni di reparto, che imparavano a sfruttare gli spazi da lui creati.

GLI ESORDI IN SERIE C

Poggi nasce a Venezia il 16 febbraio 1971 e inizia a giocare a calcio nelle Giovanili della squadra della sua città.

"Ho capito che avrei fatto il calciatore attorno ai 16-17 anni. - racconta in esclusiva a Goal - Prima non ci pensavo neanche, il calcio per me era solo un divertimento. Arrivato a un certo punto, invece, percepisci che può diventare qualcosa di più. È un momento non facile, anche perché sei ancora un bambino, sostanzialmente, e una decisione che può condizionare 20-25 anni di vita e ti porta a lasciar perdere altre cose che a quell'età sono priorità".

"I sacrifici che ho fatto per diventare calciatore - sottolinea - sono stati significativi, soprattutto a quell'età. A cominciare dalla scuola. Quando ho deciso di diventare calciatore ho dovuto interrompere gli studi e lasciare il Liceo tecnico-turistico. Abbinare entrambe le cose era difficile".

Il passaggio dalle Giovanili alla Prima squadra arriva a metà del 1989, in Serie C. Nel 1990/91 il Venezia, dopo essersi unito al Mestre e aver aggiunto il colore arancione al neroverde, conquista la promozione in Serie B vincendo il campionato.

"Le prime stagioni a Venezia sono state abbastanza fortunate, - sostiene - con il vantaggio che giocavo a casa mia. Nessuno mi aveva tolto dalla mia zona di comfort, c'era da faticare ma fuori dal campo avevo la mia famiglia e i miei amici e sono stato molto facilitato. Dopo un anno e mezzo da professionista abbiamo vinto il campionato di Serie C e ho avuto la possibilità di giocare in Serie B con la stessa squadra con cui ero cresciuto. Ho degli ottimi ricordi di quelli anni".

Paolo Poggi Torino Serie A 09121993Getty Images

LA SERIE A CON IL TORINO

Dopo 7 goal in 31 presenze in Serie B, Poggi nel 1992 passa al Torino, che per il suo cartellino investe 5 miliardi di Lire.

"Quando mi comprò il Torino - ricorda - per me non è stato semplice, per un motivo particolare: io facevo anche il militare. Il mio primo anno fuori di casa coincise con l'anno del servizio di leva, per cui avevo tre diversi domicili: Torino perché giocavo lì, Venezia perché era casa mia e Napoli per giocare con la Nazionale militare. Quell'anno è stato anche faticoso dal punto di vista fisico, perché ero sempre in viaggio. Fu una stagione molto difficile ma positiva dal punto di vista professionale, perché vincemmo la Coppa Italia".

"I ricordi più belli - prosegue Poggi - sono i primi goal in Serie A e soprattutto la doppietta alla Juventus in semifinale di Coppa Italia, che ci consentì di raggiungere la finale. La maglia del Toro è una maglia con una storia molto pesante, carica di significati, e per me fu una bella responsabilità. Ho potuto toccare con mano quel sentimento, mister Mondonico seppe darmi quel che meritavo, sapendo dosare le presenze e l'emotività di un giovane in una squadra molto forte. Alla fine, benché non fossi un titolare, ho avuto comunque la possibilità di giocare abbastanza".

In due stagioni con il Torino, Poggi totalizza in tutto 8 goal in 55 gare, ma nell'estate 1994 si trasferisce in comproprietà all'Udinese.

IL BOOM NELL'UDINESE DI ZACCHERONI

Gli anni in Friuli rappresentano per Poggi quelli più importanti e positivi della sua carriera. In panchina l'attaccante ritrova Alberto Zaccheroni, il tecnico con cui aveva conquistato la promozione dalla Serie C alla Serie B nel 1990/91.

"L'Udinese per me è stata una bella sfida. Dopo 2 stagioni in Serie A avevo fatto la scelta, che a me sembrava logica, di usare l'esperienza maturata in granata per fare un passo indietro e ripartire, in una squadra comunque ambiziosa che appena retrocessa puntava a risalire subito in Serie A. Ed è stata una scelta fortunata, perché abbiam vinto subito il campionato e nei successivi tre anni per me e l'Udinese è stato un crescendo di risultati, posizioni in classifica, nuove esperienze". 

Poggi segna 11 goal in 36 gare in Serie B, poi disputa in Serie A tre grandi stagioni. Gioca in un tridente da sogno con Bierhoff e Amoroso, arrivano soddisfazioni personali e di squadra.

"Con Oliver e Marcio diciamo che ci siamo trovati. Il segreto è stato mettere le persone nel posto giusto al momento giusto. Siamo andati in Coppa UEFA e giocavamo un bel calcio, nel 1998 siamo arrivati terzi in Serie A dietro Juventus e Inter. Quella squadra aveva un suo perché, c'erano tanti bravi giocatori che non erano ancora arrivati al massimo ma erano in una crescita esponenziale. Abbiamo ottenuto tanto, certo, perché c'erano una bella squadra e un bravissimo allenatore, ma anche perché singolarmente i giocatori erano forti".

In 5 stagioni e mezza vissute con la maglia bianconera, Poggi segna 54 goal in 198 presenze riuscendo a mettersi in luce anche in Coppa UEFA.

"Non c'era posto migliore per fare il calciatore dell'Italia di quelli anni. - dice Poggi - Fra i tanti campioni affrontati, quello che mi ha colpito di più è stato sicuramente Ronaldo 'Il Fenomeno': un vero extraterrestre".

Nonostate l'elevato rendimento, per l'attaccante lagunare non si sono aperte le porte della Nazionale azzurra.

"La Nazionale? Sicuramente qualche tentazione c'è stata da parte del Commissario tecnico di turno. Ma poi vai a vedere chi indossava la maglia azzurra in quegli anni e ti dai una risposta. Non veniva convocato Zola..."

Udinese lineups Serie A 1997/98

IL FLOP ALLA ROMA

Nel gennaio del 2000, per l'attaccante di Venezia si aprono le porte di un grande club: Poggi passa infatti alla Roma con Fabio Capello.

"Anche se mi sono trovato a lavorare con una società splendida, che mi ha messo a disposizione tutto perché facessi bene, la Roma è stata per me un'occasione persa. - ammette Paolo - I motivi non so esattamente quali siano stati, di sicuro non dipendevano né dalla società, né dall'allenatore. Devo solo ricercarli dentro di me. È stata un'opportunità che mi hanno dato e che io non sono riuscito a sfruttare a dovere".

In un anno colleziona appena 11 presenze senza incidere, preludio di un nuovo cambio di maglia nel gennaio 2001. Mentre i suoi ex compagni giallorossi vincono lo Scudetto, Paolo lotta per la salvezza e retrocede con il Bari.

LE ULTIME STAGIONI

L'esperienza negativa in giallorosso condiziona le scelte successive di Poggi, che inizia a girare diverse squadre. In mezzo anche due ritorni a Venezia.

"Dopo un anno a Roma in cui giocai poco, sono stato molto contento di andare al Bari, perché ho potuto giocare in maniera continuativa. - sottolinea - A livello personale è stato molto utile. Poi ho fatto un'anno a Piacenza, anch'esso molto positivo, dopo di che ho iniziato a fare scelte diverse".

"Avevo iniziato a fare considerazioni non più basate sulla categoria e sui soldi ma sul significato della scelta, per cui sono andato al Mantova, anche se era in C, perché mi sembrava un progetto molto bello".

"Sapevo che se avessimo vinto la C sarebbe lì sarebbe stata una cosa trionfale, perché i virgiliani non salivano in B da qualche decade, e così è stato. Mi interessava più lasciare un segno tangibile del mio passaggio in squadra piuttosto che andare a inseguire presenze in categorie superiori che ormai effettivamente non mi appartenevano più".

Dice basta al calcio giocato ritirandosi all'età di 38 anni, nel 2009.

"Ho chiuso con il ritorno a casa, spendendo gli ultimi 3 anni della mia carriera da calciatore con il Venezia".

IL RECORD STRAPPATO DA LEÂO

Il 2 dicembre 2001 al Franchi si gioca Fiorentina-Piacenza. I viola battono il calcio d'inizio, ma Hubner fa pressing, i toscani perdono palla e quest'ultima piomba sulla destra dell'area, dove si infila Poggi che col destro, nemmeno il suo piede, insacca sotto la traversa. Dal fischio d'inizio sono passati soltanto 8 secondi, e quello del giocatore veneziano è il goal più veloce di sempre della Serie A.

Il primato dura quasi due decenni, ma il 20 dicembre 2020 Rafael Leão del Milan, trovando la rete dopo soli 6’’76 contro il Sassuolo, glielo soffia.

"Quello del goal più veloce in Serie A era un record che mi ha reso orgoglioso per 19 anni - spiega Poggi - e che mi sono goduto per tantissimi anni. Allo stesso tempo, soprattutto recentemente, vista l'evoluzione del calcio, era auspicabile che qualcuno ci arrivasse e me lo togliesse. Se no sarebbe stato un problema (ride, ndr)". 

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NEL MITO PER UNA FIGURINA

Uno degli episodi più curiosi legati a Poggi è quello della celebre figurina introvabile dell'album Dolber 1997/98. Si tratta di una raccolta alternativa della Topps: a sole 100 Lire, assieme ad un chewing gum gusto fragola, i collezionisti, soprattutto giovani e ragazzi, trovavano tre figurine dei loro idoli calcistici. Tuttavia di Poggi e Volpi, regista del Bari, nessuna traccia e ne nasce un incredibile caso.

"Era una raccolta di figurine dedicata particolarmente ai nati di fine anni Ottanta e primi anni Novanta. Sinceramente non so perché la mia figurina fosse così introvabile. Si è scritto tanto e la storia ha fatto un giro incredibile. La vicenda è approdata in tv e addirittura è stata oggetto di un'interrogazione parlamentare".

"Col tempo è diventata una leggenda ma è una storia che va ancora avanti, con l'avvento dei social e la nostalgia degli anni Novanta negli ultimi tempi è ritornata in auge prepotentemente. Qualcuno ha fatto anche magliette e capellini con la mia figurina stampata".

"Come l'ho vissuta? Sicuramente ha aumentato la mia popolarità e mi ha dato celebrità, ma per quella figurina mi sono preso anche tanti vaffanculo (ride, ndr). Adesso magari me lo dicono in modo ironico e scherzoso, ma chi non trovava la mia figurina all'epoca non era mica tanto contento: alla raccolta erano legati infatti dei premi, si vincevano una maglia o dei palloni".

POGGI DIRIGENTE: IL PROGETTO VENEZIA

Scartata l'ipotesi di intraprendere la carriera da allenatore, Poggi ha intrapreso una carriera da dirigente sportivo, e ha ricoperto, come detto, il ruolo di Responsabile dell'area tecnica del Venezia, il club della sua città, con cui ha realizzato un sogno.

"Dopo il ritiro ho cercato di soppesare più cose e valutare quale fosse la strada più adatta per me. - spiega - L'unica certezza era che non avrei fatto l'allenatore, forse perché non la sentivo una cosa mia. Ho aperto una Scuola calcio con Nicola Marangon e Mattia Collauto, esperienza che per un po' di anni mi ha permesso di conoscere la realtà dilettantistica. Poi sono stato all'Udinese a lavorare con il settore giovanile per, alla fine, tornare ancora una volta a casa mia, a Venezia, e fare quello che in un certo senso mi piace di più".

"Ho potuto rappresentare la squadra della mia città e mi sono reso conto che questa opportunità ce l'avevo talmente tanto vicina che non la vedevo. È stata la cosa più naturale che potesse succedermi. Siamo partiti dalla Serie D, quando Joe Tacopina ha rilevato la società con i suoi soci e l'ha fatta crescere, portandola fino alla semifinale playoff in Serie B. Soltanto gli ultimi due anni sono stati un po' pericolosi, si è corso il rischio di una retrocessione in Serie C che avrebbe significato la fine del progetto".

​"Tacopina è stata una persona molto importante per il Venezia, molto carismatica. Ha alzato il livello della società quando è arrivato, aprendo le menti e dandole un profilo di livello più internazionale. L'immagine del club è cambiata, in primis attraverso il nuovo logo. In generale ha fatto molto bene, coadiuvato dagli attuali proprietari, che lo hanno affiancato in questa sua avventura. I suoi, a prescindere da come è finita, sono stati anni positivi". 

"Da gennaio 2020 c'è stata un'ulteriore svolta che ha ricominciato a portare un certo tipo di mentalità. La proprietà è cambiata, pur restando in capo al gruppo americano, ed è stata fatta la scelta di portare me e Mattia in Prima squadra, con un ruolo più diretto dal punto di vista tecnico. Io sono diventato il Responsabile dell'area tecnica, mentre Mattia Collauto è il Direttore sportivo della società. Per me è molto gratificante". 

"Oggi c'è un allenatore molto bravo, Paolo Zanetti, e siamo riusciti a portare anche qualche buon giovane. C'è stato un cambio di marcia. L'obiettivo nostro, al di là del risultato fine a se stessi, è quello di creare una mentalità, un'identità che possa rimanere a prescindere da chi saranno gli allenatori, i giocatori e i presidenti del Venezia. Il club appartiene a tutti e non appartiene a nessuno. La cosa più importante è che si mantenga l'identità".

A giugno del 2022 ha salutato tutti: il Venezia e i tifosi. Comunque, ci è riuscito: è riuscito a riportare il Venezia in Serie A (retrocedendo, però, dopo una stagione". Il resto finisce dritto nel cassetto dei ricordi.

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