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La benedizione di "Pablito" Rossi e il Catania: Orazio Russo, senso di appartenenza

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“Non c’era più il giocatore, quel giorno: c’era il catanese”.

È una questione complessa, quella dell’appartenenza: trascende i limiti della comprensione schietta e semplice e abbraccia i più remoti aspetti del puro sentire. Quando Sinisa Mihajlovic si gira verso la panchina, all’85’ di una gara contro il Genoa utile solo per le statistiche, viene a conoscenza di due cose, soprattutto. La prima è che la sua avventura al Catania sta effettivamente per finire, dopo poco più di un girone, quello di ritorno, che lo ricorderà per sempre come l’allenatore di una squadra che a dicembre era spacciata, destinata a retrocedere in Serie B. La seconda non lo riguarda.

Allo stadio "Angelo Massimino", allo stesso tempo, i tifosi hanno più di un motivo per essere presenti in una calda giornata di metà maggio che vede volgere al termine un campionato che consegnerà alla storia, soprattutto, le vittorie contro la Juventus e l’Inter, che proprio in quel 16 maggio si giocava il secondo dei tre titoli del Triplete di José Mourinho. Non è questo, ovviamente, il punto: a Catania da qualche mese era accaduto un fatto inaspettato. La tranquillità ottenuta dai goal di Maxi Lopez e dalla migliore stagione in carriera del “Malaka” Jorge Martinez aveva restituito alla città Orazio Russo. E non è un modo di dire.

Orazio è nato a Misterbianco, una città che costeggia la tangenziale che “taglia” di fatto Catania, offrendo una via più semplice tra l’aeroporto e i paesi etnei. Questione relativa, in questo caso: a essere protagonista nella sua vita, in verità, è Barriera del Bosco, un piccolo centro abitato che crea un perfetto divisorio tra passato e presente. Più o meno nei pressi del “Duemila”, punto di riferimento quasi assoluto, sorgono due obelischi: una “porta” ottocentesca per la città, nascosta dal cavalcavia. Esiste, però: crescere lì vuol dire essenzialmente essere “catanese” in senso di “cittadino” e non più “paesano”. Ma non è solo questo, ovviamente, Orazio.

“Sui campi di calcio non se ne vedono molti come lui: farà certamente strada”.

Al termine della stagione sorta nel 1992 e tramontata nel 1993, ovvero più o meno quando Paolo Rossi, “quel” Paolo Rossi, ha “benedetto” Russo, il Catania incontra per la prima vera volta la possibilità concreta di scomparire. Costretto a ripartire dal fondo delle serie calcistiche italiane, nonostante il tentativo di Massimino di salvare il club dalla radiazione, il club rossazzurro si trova senza tutto il parco giocatori, compreso Orazio che, tra l’altro, è a detta di tutti uno dei migliori talenti catanesi della storia. E in Serie A lo sanno: a 20 anni passa dalla Serie C1 al massimo campionato. Lo vuole il Lecce: lo vuole Nedo Sonetti.

“Sì, entrai a mezz’ora dalla fine: mi marcava Paolo Maldini. Qualche palla, devo dire, sono riuscito a toccarla: solo qualcuna, però”: sorride, Russo, mentre ripercorre il giorno del suo debutto insieme a GOAL Italia.

Il suo esordio con i salentini avviene praticamente subito: alla prima giornata, contro il Milan di Fabio Capello, entrando al posto di Barollo in un 29 agosto che ricorderà per sempre. Senza timore reverenziale, tra l’altro: il fatto è questo. Se ti trovi a dover affrontare una grande sfida, devi essere temprato a tal punto da non tirarti indietro. Orazio lo è sempre stato. E, infatti, la prima gioia arriva a fine ottobre.

Al “Via del Mare” (oggi ”Ettore Giardiniero”) il Lecce ospita l’Atalanta di Francesco Guidolin: in difesa c’è Montero, in attacco c’è Ganz. Tra i salentini di Sonetti giocano Baldieri e Russo in attacco. Ganz ci mette un quarto d’ora a segnare la rete del vantaggio, prima del cartellino rosso a Paolo Montero per un fallo da dietro al 40’. Strada spianata: Russo segna il primo goal della sua carriera in Serie A al rientro dagli spogliatoi, completando l’opera all’80’, con una doppietta che fissa il punteggio sul 5-1. È un sogno: sia per lui che per i giallorossi, che da Rai Sport vennero definiti “risorti dalle proprie ceneri”. Mica un caso da poco, questo, considerando la provenienza di Russo e la storia di Catania.

“È stata la sensazione più strana della mia vita: dopo la partita abbiamo aspettato 90° Minuto sulla Rai, alle 18:30. Vedere la copertina con scritto ‘Russo’ è stata una grande emozione”, racconta a GOAL Italia.

Sono passati circa 30 anni da quel giorno e la quotidianità di Orazio Russo si chiama ancora Catania, pur con un altro ruolo, quello di responsabile del settore giovanile della nuova società di Ross Pelligra. Ci era già tornato nel 1996, poi nel 2004, con la nuova proprietà Pulvirenti che lo ha fortemente voluto di nuovo in rossazzurro. E qui va aperta una parentesi: perché nella squadra che guadagna la Serie A tra il 2005 e il 2006 Orazio Russo c’è e, anzi, è anche fondamentale.

“Quello contro il Vicenza è stato il goal più bello della mia carriera: ma la cosa più importante è aver fatto parte di quel gruppo”, ammette a GOAL Italia.

Contestualizzando brevemente: se il Catania di Pasquale Marino ha conquistato l’accesso in massima serie all’ultima giornata contro l’AlbinoLeffe, evitando i playoff, è anche merito della rete che Russo ha messo a segno in un match contro il Vicenza che, fino all’ultima azione, vedeva i rossazzurri sconfitti. Prima di quel goal, s’intende. L’anno successivo, in Serie A, non c’è, però. E no, non meritava certo di non esserci.

Ha semplicemente scelto un’altra via: una meno convenzionale, per entrare nella storia. Ritorna in Serie B, al Padova allenato da Maurizio Pellegrino, altra figura che trova il suo posto nella storia del club etneo. Due anni in Veneto, poi veste le maglie di Perugia e Gela. Ed eccoci arrivati al 2010: a Sinisa e a quella gara contro il Genoa.

In verità Orazio Russo aveva già espresso l’intenzione di ritirarsi dal calcio giocato per entrare nello staff dirigenziale del Catania (sarà team manager fino alla retrocessione in Serie B del 2014), ma a qualcuno venne un’idea. Aggregarlo alla rosa della prima squadra e farlo esordire in Serie A con i rossazzurri, a 36 anni: d’altra parte, era l’unica categoria professionistica che mancava all’appello con gli etnei. La perfetta chiusura del cerchio.

“È stato il giorno più bello della mia carriera: smettere giocando una partita in A con il Catania… altre squadre mi chiamarono, dopo, perché comunque avrei potuto continuare, ma dopo aver chiuso in quel modo non avrei potuto scegliere nessun’altra destinazione”, spiega a GOAL Italia.

Come detto, quella dell’appartenenza è una questione complessa: nel 2010 sono passati 4 anni dall’ultima apparizione di Orazio Russo con la maglia del Catania. Insomma, al Massimino, in quella giornata di metà maggio a seguire la partita contro il Genoa ci sono tanti, tantissimi giovani tifosi che nel 2006 non avevano abbastanza consapevolezza da poter immagazzinare il ricordo di Orazio. Ciò non gli ha impedito, comunque, di emozionarsi quando lo stesso, subentrando a Maxi Lopez (autore del goal decisivo), ha ereditato la fascia da capitano da Giuseppe Mascara. Questa, in breve, è l’appartenenza.

“Il Catania è stato la mia vita: a 3 anni andavo allo stadio, vivendo la passione che ho ereditato da mio padre”.

La stessa che ha provato a trasmettere ai giovani che ha incontrato nel corso della seconda parte della sua carriera, quella vissuta da allenatore delle formazioni giovanili e adesso, come accennato, da responsabile del settore giovanile.

“La prima cosa che mi ha chiesto la nuova società è stata quella di trasferire ai giovani il senso di appartenenza che ho avuto nei confronti del Catania”, racconta a GOAL Italia.

Replicabile fino a un certo punto: slegato totalmente dal concetto di opportunismo, se non “sottoporta”. Una della tante: quella del Massimino o quella metaforica dei “due obelischi”, tra i paesi etnei e la città di Catania. La sua città. La sua vita.

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