Ciro Ferrara NapoliGetty Images

Ciro Ferrara calciatore: da 'scugnizzo' nel Napoli di Maradona a pilastro della Juventus di Lippi

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"Mi sento napoletano, felicemente ambientato a Torino. Direi che Napoli è la mia casa, Torino il mio ufficio, ma suona un po' riduttivo, perché a Torino ho anche amici veri". - Ciro Ferrara, intervistato da Gianni Mura per 'La Repubblica

Fra i grandi difensori della scuola italiana va annoverato senza dubbio anche Ciro Ferrara. Partenopeo doc, ha scritto pagine indelebili con il Napoli di Maradona prima e la Juventus di Lippi poi, diventando uno dei calciatori più vincenti dagli anni Ottanta del secolo scorso ad oggi.

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Specialista della marcatura a uomo ma capace di adattarsi nel corso della sua carriera anche al gioco a zona, fra i molti trofei che ha conquistato in carriera spiccano i 7 Scudetti, di cui 2 vinti in maglia azzurra e ben 5 in maglia bianconera.

Meno fortunata la sua avventura Nazionale, condizionata da due infortuni e dalla concorrenza di altri grandi giocatori, pur prendendo parte ai Mondiali di Italia '90 e alle edizioni degli Europei del 1988 e del 2000.

DALLA MALATTIA ALL'ESORDIO IN SERIE A

Ferrara nasce a Napoli, nel quartiere Posillipo, l'11 febbraio 1967. Come molti ragazzi della sua città pratica il calcio fin dalla tenera età, ma non trascura gli studi.

"Non ho meriti - dirà in un'intervista a Gianni Mura per il quotidiano 'La Repubblica' nel 2009 -. La mia famiglia semmai. Sono cresciuto in via Manzoni, sulla collina di Posillipo. Lì non si giocava a palla in strada, ma per fortuna c'era un cortile. In casa Ferrara il lavoro è sempre stato una cosa seria, come il rispetto degli altri, il rispetto degli impegni presi, lo studio".

Piccoletto e non particolarmente abile tecnicamente, da bambino viene spesso messo in porta dai suoi amici, essendo anche il più giovane del gruppo.

"Nei ricordi mi rivedo portiere, non perché fossi scarso, ma perché ero il più giovane. Il mio idolo era Dino Zoff".

Ciro ha voglia di emergere nel calcio come nella vita e a tredici anni fa il primo provino per il Salvator Rosa, la squadra del Vomero.

"Faccio un provino da centrocampista - ricorda - ma il mister Sergio Palmieri, colui che sarà il mio primo allenatore, per mia fortuna capisce che è meglio impostarmi da difensore".

Ferrara può giocare solo grazie ad un accordo che il presidente Varriale riesce a strappare ai suoi genitori: un giorno di allenamento in meno rispetto agli altri per avere più tempo da dedicare allo studio.

"Ero convinto di dover continuare l’attività di mio padre - dirà in un'intervista a 'Hurrà Juventus' nel giugno 2005 - . Lui era un tecnico ortopedico e aveva il suo studio dove ogni tanto andavo per iniziare a conoscere il mestiere. Pensavo che quello sarebbe stato il mio lavoro, poi è capitato talmente tutto in fretta che non mi sono neanche reso conto di avere per le mani una grossa opportunità".

Ma a un certo punto deve fermarsi ed è costretto su una carrozzina per il morbo di Osgood-Schlatter, una malattia che colpisce gli adolescenti che fanno sport e consiste in un processo degenerativo a carico della tibia. Quasi sempre evolve positivamente e anche Ferrara, dopo essersi sottoposto alle cure, si ristabilisce e riprende a giocare.

"Così potete tenermi sotto controllo - scherza con i suoi genitori, molto preoccupati, durante il periodo della malattia - visto che quando sono sano non ci riuscite mai".

La leggerezza abbinata alla serietà sarà una costante che caratterizzerà la sua vita come la sua carriera calcistica. Nel 1981 è ceduto alla Grumese, che tuttavia lascerà dopo un solo allenamento per la troppa lontananza da casa. Fa così un provino per il Napoli, il giudizio è positivo ed entra a far parte degli Allievi 'B' del club partenopeo.

Quando approda nelle Giovanili azzurre c'è però un problema di omonimia: in squadra c'è già infatti un altro Ciro Ferrara, classe 1967 come lui, ma di 6 mesi più giovani (è nato il 7 agosto).

"Per i compagni eravamo un problema - ricorderà il Ferrara più famoso - così per non confondersi decisero di usare i soprannomi: io ero Stielike e lui Totò".

L'accostamento è con l'arcigno difensore tedesco, duro nei contrasti e fama da cattivo.

"Forse mi chiamarono così per il rigore quasi tedesco con cui prendevo il calcio e perché allora giocavo duro anch'io, poi per fortuna mi sono calmato (ride, ndr)".

Nel 1983/84 passa agli Allievi 'A' e inizia quella che sarà la sua rapida ascesa nel calcio professionistico. La formazione partenopea, infatti, guidata da Riccardo De Lella, un vero maestro di calcio, conquista lo Scudetto di categoria.

"Quante sedute con lui al Due Palme di Agnano per migliorarmi il sinistro - ricorderà Ciro -... Col sinistro poi qualche goal l'avrei fatto, ma non credo di essere migliorato molto (ride, ndr)".

Parallelamente prosegue il suo percorso di studi.

"Mia mamma da ragazzo mi veniva a prendere a scuola per portarmi all’allenamento. Io da parte mia ho mantenuto la promessa e ho proseguito gli studi. Quando ho iniziato a giocare non ci sono stati grossi problemi, almeno nei primi tempi. Poi, verso i sedici, diciassette anni, quando ero già al Napoli, gli impegni diventavano per così dire più importanti, visto che iniziavo a entrare nel giro della prima squadra, e naturalmente avevo meno tempo. Diciamo che comunque sono stato un allievo scaltro, mi facevo interrogare solo quando ero preparato".

Ferrara è fra i prospetti migliori di quella squadra di scugnizzi napoletani che si laureano campioni d'Italia nella categoria Allievi. Il tecnico del Napoli, Rino Marchesi, decide allora di premiarlo, assieme ad altri tre compagni, e lo porta in ritiro con la Prima squadra.

"Lì ho capito che sarei diventato un calciatore professionista - rivelerà Ferrara a 'La Repubblica' -. L’allenatore, Marchesi, durante le amichevoli mi metteva in campo, mi buttava nella mischia e allora cominciavo a dirmi: 'Oh, Ciro, guarda che il treno non passa tanto spesso'. Non volevo lasciarmi sfuggire l’occasione anche se non pensavo di poter arrivare a certi livelli".
"Essere in squadra con Bruscolotti, con Bagni, con Maradona per me era già un sogno - sottolinea -. Quello era il primo ritiro di Diego con il Napoli. Li guardavo mentre si allenavano e mi chiedevo: 'Ma che ci faccio io qui?'. Cercavo di rubargli qualche segreto, di capire da loro come ci si doveva comportare, avevo profondo rispetto per i compagni più grandi".
"Ora invece mi pare che le cose siano un po’ cambiate: sarà che ci sono più possibilità di allenarsi con la prima squadra, sarà che è più facile finire sui giornali, ma credo che oggi i ragazzi perdano un po’ di umiltà. Il primo giorno di ritiro, io ero in imbarazzo: non sapevo se dare del lei o del tu; poi sono stati gli stessi compagni a mettermi a mio agio, però di borse ne ho portate tante. Oggi è un po’ più difficile che accada".

Nella stagione 1984/85 Ferrara è spesso aggregato alla Prima squadra e va diverse volte in panchina fin dall'inizio della stagione. Nell'anno dell'arrivo in Italia di Diego Armando Maradona, il giovanissimo difensore ha l'occasione di fare il suo esordio in Serie A. È il 5 maggio 1985, allo Stadio San Paolo si gioca Napoli-Juventus e in campo ci sono da una parte Platini e 4 campioni del Mondo di Spagna '82, dall'altra Maradona.

È un calcio molto diverso da quello di oggi: non esistono ancora le pay tv e Internet, le partite si giocano tutte la domenica pomeriggio e si seguono alla radio attraverso 'Tutto il Calcio Minuto per Minuto'. Poi, per vedere i goal, si aspettano alla sera i servizi di '90° Minuto' su Rai 1.

Manca poco alla mezzora del primo tempo, la partita è ancorata sullo 0-0 e quando si fa male Moreno Ferrario, mister Marchesi decide di lanciare nella mischia il diciottenne difensore.

"E chi se lo aspettava di giocare? Era una domenica di fine stagione - racconterà a 'Hurrà Juventus' - . Marchesi mi aveva portato già diverse volte in panchina e diverse volte mi aveva fatto scaldare, ma non ero mai entrato. Inizialmente andavo sempre a scaldarmi vicino alla bandierina; un giorno l’allenatore degli Allievi, mister Delella, mi disse: 'Guarda che se non stai vicino alla panchina, il mister si dimentica che ti stai scaldando'. E allora misi a frutto il suo consiglio".
"In realtà quella domenica si fece male Ferrario e così presi il suo posto prima della mezzora. Mi trovai di fronte Boniek e naturalmente cercai di fare del mio meglio. La gara terminò 0-0 ed io ero convinto di aver giocato bene e che fosse stata una grande gara. In realtà poi l’ho rivista e fu una partita scandalosa, bruttissima, camminavano tutti in mezzo al campo...".

All'indomani del debutto tutti i giornalisti lo cercano per intervistarlo, ma lui se ne va a vedere una portaerei con i compagni di scuola. 

La domenica successiva Marchesi lo lancia titolare in trasferta contro l'Udinese di Zico. Ferrara ha il compito di controllare Giampaolo Montesano e ne esce con il mal di testa.

"Con Montesano a Udine non ho mai visto palla - ammetterà a 'La Repubblica' -. È finita 2-2, con lui migliore in campo e io peggiore".

Nonostante il passo falso, il Napoli crede fortemente in Ciro, che, dopo le 2 presenze nel 1984/85, l'anno seguente inizia ad entrare stabilmente nelle rotazioni della squadra.

ASCESA E SUCCESSI CON IL NAPOLI DI MARADONA

Ferrara cresce, come anche il Napoli, affidato dal presidente Ferlaino alla guida tecnica di Ottavio Bianchi. Il 1985/86 lo vede andare in campo 14 volte in Serie A e una in Coppa Italia, competizione in cui fa il suo esordio contro il Lecce il 4 settembre 1985 (2-0 per i partenopei).

Alto e longilineo (un metro e 79 centimetri per 70 chilogrammi), il giovane Ciro, capelli riccioluti e volto da bravo ragazzo, è veloce e abile nell'arte dell'anticipo. Inizialmente è impiegato spesso da difensore centrale, ma nel corso della stagione Bianchi lo imposta da terzino destro marcatore, ruolo nel quale si candida come erede naturale di capitan Bruscolotti. Il Napoli conclude il campionato al 3° posto dietro Juventus e Roma e si qualifica in Coppa UEFA.

Inizialmente arrivava in allenamento in motorino, ora guida la Fiat 126 prestata da papà, solo perché i tifosi del Napoli lo prendevano in giro.

"Poi però, quando guidavo l'auto - ricorderà -, gridavano: 'Hai fatto i soldi e ti sei montato la testa'...". 

Il passaggio di consegne avviene nella stagione 1986/87, l'anno che porta agli Azzurri il primo storico Scudetto. Ferrara disputa 28 gare e segna i suoi primi 2 goal da professionista. La prima rete non si scorda mai e arriva il 5 ottobre 1986 al San Paolo contro il Torino: il giovane difensore firma il sorpasso partenopeo risolvendo una mischia all'interno dell'area granata.

Dopo la grande gioia, l'unica cosa che lo preoccupa è scusarsi con il suo compagno di squadra Bagni, autore in rovesciata della rete spettacolare dell'1-1.

"Mi scuso con Salvatore, perché nell'esultare gli ho mollato una gomitata in faccia".

I compagni di squadra più esperti lo aiutano a maturare e fra questi c'è anche Maradona, con cui nasce un solido legame di amicizia.

"Diego l'ho conosciuto come pochi ma l'ho amato come tantissimi", dirà Ferrara a riguardo.
Napoli 1986/87 Serie AWikipedia

Il 10 maggio 1987, grazie al pareggio casalingo con la Fiorentina per 1-1, con l'Inter sconfitta ad Ascoli, il Napoli si laurea Campione d'Italia con una giornata d'anticipo. La festa esplode già al San Paolo, e anche il giovane Ferrara si lascia travolgere. Negli spogliatoi è lui a tirare il gavettone all'inviato della Rai, Giampiero Galeazzi, mentre sta intervistando Maradona.

"Per me era un grande onore rappresentare non solo la squadra, ma anche la città - dirà a 'Hurrà Juventus' -. Oltretutto la società, spinta dal fatto di non aver mai vinto nulla di importante, era sempre alla ricerca di giocatori già affermati e difficilmente puntava su un ragazzo delle giovanili. Invece credo proprio che il primo Scudetto sia stato vinto grazie ad un’ossatura fatta di giocatori campani, oltre che, naturalmente, grazie ai fenomeni che avevamo in squadra".
"Festeggiammo per tanto tempo! - ricorda Ferrara - Ho vinto ancora diversi Scudetti, ma il primo per me resta il ricordo più importante, proprio per come fu vissuta quella vittoria, per la gioia, la felicità con cui fu accolto quel successo. I giornali lo descrissero come il riscatto di Napoli. In effetti, andare sui campi di Juve, Milan, Inter e dettare legge era una bella soddisfazione, per tutta la città".

Il finale di una stagione magica porta al giovane difensore anche il secondo trofeo della carriera, ovvero la Coppa Italia (8 presenze per Ferrara), che vede il Napoli prevalere nella doppia finale sull'Atalanta, mentre a inizio anno, il 17 settembre 1986 al San Paolo contro il Tolosa (1-0 per i campani) c'è il debutto europeo in Coppa UEFA. I francesi si imporranno però nella partita di ritorno in Francia e l'avventura partenopea, in questo caso, si concluderà precocemente.

Il 1987/88 è l'anno della beffa finale, con il Milan di Sacchi che effettua il sorpasso sui rivali vincendo 2-3 al San Paolo e il 15 maggio 1988 si laurea Campione d'Italia. La stagione è meno positiva della precedente con 22 presenze e un goal nella penultima giornata nella sconfitta con la Fiorentina. Ferrara fa l'esordio anche in Coppa dei Campioni il 16 settembre 1987 al Bernabeu nella sconfitta per 2-0 contro il Real Madrid. I campani non vanno oltre il 1° turno, pareggiando 1-1 la gara di ritorno al San Paolo.

Un'altra stagione importante nella carriera di Ferrara è il 1988/89. Se in campionato gli azzurri di Bianchi cedono il passo all'Inter dei record di Trapattoni (27 gare per Ciro), in Coppa UEFA sono protagonisti di un'entusiasmante cavalcata fino alla doppia finale contro lo Stoccarda. Il difensore napoletano gioca tutte e 12 le gare, incluso il doppio derby dei quarti di finale contro la Juventus, ed è grande protagonista nella finale di ritorno al Neckarstadion di Stoccarda.

SSC Neapel Ciro Ferrara 05171989

In una gara combattuta, terminata 3-3 dopo il 2-1 per il Napoli nel match di andata, Ferrara, che appena prima si è perso Klinsmann nell'azione dell'1-1, si porta in attacco realizza il provvisorio 1-2 con una girata al volo su assist di testa di Maradona. In virtù del successo dell'andata in casa, è la squadra di Bianchi a sollevare la Coppa UEFA dopo il fischio finale. Conteggiando la Coppa Italia, sono in tutto 47 presenze le presenze di Ferrara in quell'anno con quell'unica e pesantissima rete.

Nell'estate 1989 la guida tecnica della squadra è affidata ad Albertino Bigon. Al termine di un nuovo duello con il Milan di Sacchi, con l'Inter a fare da terza incomoda, il Napoli conquista il suo secondo Scudetto. Ciro è ormai un pilastro dell'undici partenopeo, e ancora una volta dà il suo consueto apporto alla squadra con 33 presenze nel torneo, cui bisogna aggiungerne 6 in Coppa Italia e 6 in Coppa UEFA.

Ormai è un affermato calciatore, ma mantiene la promessa data a sua madre e completa i suoi studi negli stessi giorni in cui si laurea per la seconda volta in carriera campione d'Italia.

"I miei fratelli si sono tutti laureati - dirà - e anch'io ho terminato gli studi all'ISEF discutendo una tesi sull'irrorazione del torace".

Sul fronte calcistico il 1990/91 si apre con la conquista della Supercoppa Italiana, quarto trofeo partenopeo di Ferrara: gli Azzurri strapazzano con un perentorio 5-1 la Juventus il 1° settembre 1990. L'ex scugnizzo resta al Napoli anche dopo l'addio di Maradona, ereditando dal suo amico Diego la fascia da capitano.

Nei panni del leader vive dunque l'era Ranieri, con un 1992/93 da 31 presenze e 4 goal, che rappresentano il suo miglior rendimento realizzativo in maglia azzurra, e la bella stagione sotto la guida di Marcello Lippi, chiusa con il 6° posto e il ritorno in Coppa UEFA. Saranno gli ultimi fotogrammi di un'avventura di 10 anni con la maglia azzurra del Napoli sulle spalle.

Nell'estate 1994, infatti, il mastino di Posillipo decide di seguire il suo allenatore Lippi e di trasferirsi alla Juventus, chiudendo la sua esperienza con il Napoli con 319 presenze e 15 reti in tutte le competizioni, 247 gare e 12 goal considerando il solo campionato.

Napoli 1989/90 Serie AWikipedia

LA NAZIONALE: DA EURO '88 AD EURO 2000

Parallelamente alla crescita nel Napoli, a partire dal 1986 Ciro Ferrara inizia ad essere convocato nelle Rappresentative azzurre. Inizia con l'Under 21 di Cesare Maldini, con cui debutta il 19 novembre 1986 contro la Svizzera nelle Qualificazioni agli Europei di categoria, e totalizza 6 presenze e una rete, realizzata il 28 gennaio 1987 a Parma contro la Germania Est (1-0 per gli Azzurrini).

Arriva poi l'esordio in Nazionale A: Azeglio Vicini lo chiama il 10 giugno 1987 per la sfida amichevole a Zurigo contro l'Argentina. Ciro va in campo dall'inizio con la maglia numero 2 e il compito di marcare il suo amico Maradona: l'Italia supera 3-1 i campioni del Mondo e il difensore del Napoli farà un figurone.

"Mister Vicini entrò nella stanza mia e di De Napoli e disse: 'Ciro, domani tocca a te'. - racconterà a 'Il Mattino - Io lo guardo, sono felicissimo dentro. Lui sta per uscire dalla stanza, si volta un attimo e mi fa: a proposito, devi marcare Diego. Risposi con una frase del tipo: 'Ah vabbè... Una sciocchezza mister, che vuole che sia per me marcare Maradona?'".
"Ci fu un po' di naturale emozione all'inizio ma passò in fretta. Ogni tanto buttavo un occhio alla panchina e Vicini mi faceva segno di stare calmo e di giocare in maniera semplice, come sapevo fare. Fu appena l'inizio perché con lui Ct. ho trascorso tre anni indimenticabili. Era un allenatore e un uomo di altri tempi. Un vero signore, in campo e fuori".

Nel mese di giugno dello stesso anno vince i Campionati del Mondo militari ad Arezzo. L'Italia militare è molto forte, e ha in squadra due punte come Vialli e Baldieri. In finale gli Azzurri battono 2-0 la Germania Ovest di Bierhoff e Hässler.

La sua avventura con la Nazionale maggiore durerà quasi 13 anni, sebbene Ferrara non sarà mai troppo fortunato. Vicini lo convoca per la fase finale di Euro '88 in Germania Occidentale, ma non lo farà mai scendere in campo.

Nel settembre del 1988 è convocato da Francesco Rocca per disputare le Olimpiadi di Seul con la Nazionale 'B' Under 23. L'esperienza sarà in chiaroscuro per il giocatore del Napoli: dopo il debutto facile con il Guatemala (5-2 per l'Italia), arriva infatti la disfatta contro lo Zambia di Kalusha Bwalya. L'attaccante segna una tripletta, gli africani surclassano gli Azzurri per 4-0 e per Ferrara e compagni arriva un k.o. storico ed epocale.

L'Italia Under 23 comunque si riprenderà, ma dopo una sconfitta di misura ai supplementari contro l'URSS in semifinale (3-2 per i sovietici), cede alla Germania Ovest anche la medaglia di bronzo, piazzandosi quarta.

Due anni dopo Ciro è anche nella lista di Azeglio Vicini per i Mondiali di Italia '90.

"Ci credevamo - dirà Ferrara - prendemmo coscienza della nostra forza strada facendo. Arrivati ai quarti immaginavamo di potercela fare, si giocava in casa e questo ci dava grande forza. Così come sapevamo che se avessimo superato l'ostacolo Argentina sarebbe stato quasi impossibile fallire la finale".

Ferrara, fino a quel momento mai impiegato, pensa che in semifinale sia giunto il suo momento e che il Ct. possa fargli nuovamente marcare Maradona. Invece le cose andranno diversamente.

"Ci rimasi molto male, ora lo posso dire - rivelerà a 'Il Mattino' -. Mi aspettavo di scendere in campo e, perché no, di marcare ancora una volta Diego. Ma non lo presi come un torto personale, non era facile mettersi nei panni del Ct. in quel momento".
"Io ero l'ultimo arrivato. Davanti avevo gente come Baresi, Bergomi, Ferri, Maldini e Vierchowod. Ovunque ti giravi avevi a che fare con i più grandi difensori della scuola italiana. Qualcuno doveva essere scontentato e quella volta toccò al sottoscritto".

L'epilogo lo conoscono tutti: l'Italia perde ai rigori contro l'Albiceleste e deve accontentarsi di disputare solo la finalina per il 3° posto.

"A parte le tante cose sulle quali si è romanzato - dichiarerà -, resta il fatto che quella per noi fu una gara stregata. Ci andò tutto storto, mentre all'Argentina girarono meglio gli episodi decisivi, compresi i rigori".

Vicini fa comunque giocare il terzino napoletano nella gara contro l'Inghilterra, vinta 2-1. Per lui e i suoi compagni ci sarà solo una medaglia di bronzo.

"Magari non sono state notti vincenti - commenterà - ma vi giuro che erano proprio magiche".

L'arrivo sulla panchina azzurra di Arrigo Sacchi allontana Ferrara dalla maglia azzurra, visto che il 'Profeta di Fusignano' preferisce Benarrivo, Tassotti e Mussi, che ai Mondiali di USA '94 gli saranno preferiti. Torna nel giro nel 1995 e Sacchi lo porterebbe ad Euro '96 se un infortunio non gli impedisse di parteciparvi.

Cesare Maldini gli dà fiducia, e una delle partite più belle in azzurro la gioca a Wembley contro l'Inghilterra il 12 febbraio 1997 accanto a Costacurta e a Fabio Cannavaro, napoletano come lui. Gli Azzurri vincono 1-0 con goal di Zola e fanno un passo avanti deciso verso i Mondiali.

Ciro dovrebbe partecipare a Francia '98 se non fosse che un altro grave infortunio, la rottura di tibia e perone a Lecce, gli impedisce ancora una volta di esserci. L'ultimo grande torneo che disputerà in azzurro sarà così Euro 2000 con Dino Zoff Ct.

Il difensore della Juventus gioca il 19 giugno 2000 la terza gara del Girone contro la Svezia (2-1). Gli Azzurri perderanno poi la finalissima con la Francia al Golden Goal, privando l'esperto Ferrara della possibilità di conquistare un trofeo anche con la Nazionale maggiore.

Nel 2002 qualcuno lo vorrebbe in Corea e Giappone a giocarsi il secondo Mondiale in carriera. Giovanni Trapattoni farà scelte diverse. La partita con gli scandinavi sarà così l'ultima del suo lungo percorso in Nazionale, che si chiude con 49 presenze senza goal.

Ciro Ferrara JuventusGetty

PILASTRO DELLA JUVENTUS DI LIPPI

Nell'estate del 1994 Ferrara segue Marcello Lippi e passa alla Juventus per 9 miliardi e 400 milioni di Lire.

"Si sapeva che il Napoli era in un momento di difficoltà e aveva necessità di vendere - spiegherà a 'Hurrà Juventus' - . C’era la possibilità di andare anche in altre squadre, alla Roma o al Parma, in città più vicine. Ne ho parlato con i miei familiari, ma ho preso io la decisione di venire alla Juve e loro successivamente l’hanno condivisa".
"Per me era importante avere la possibilità di rimanere a certi livelli e nonostante fossero nove anni che la Juventus non vinceva lo Scudetto, scelsi Torino e credo proprio di non aver sbagliato".

Con la maglia bianconera vive la sua maturità calcistica. Inizialmente è utilizzato da terzino marcatore, ma a partire dalla stagione 1995/96 inizia a essere sempre più spesso schierato da difensore centrale. In entrambi i ruoli è una pedina preziosa nello scacchiere tattico di Lippi e darà un contributo fondamentale ai successi del suo primo ciclo juventino.

Ferrara vince subito Scudetto e Coppa Italia nel 1994/95, quest'ultima con una doppia vittoria sul Parma (1-0 e 2-0), e totalizza 49 presenze totali e 2 goal (uno in campionato e uno in Coppa UEFA). Segna la prima rete assoluta in bianconero contro l'Admira Wacker nel ritorno degli ottavi di finale di Coppa UEFA (2-1 per la Vecchia Signora a Torino). Il numero 2 bianconero si ripete al San Nicola nella 19ª giornata, fissando il punteggio sul 2-0 con un'incursione offensiva degna di un'ala. È solo l'antipasto di 11 anni ricchi di titoli e soddisfazioni.

"Quando sono venuto alla Juve - ricorderà -, avevo ventisette anni e per ventisette anni avevo sempre vissuto a Napoli, ero il capitano della squadra, guadagnavo bene. Ritrovarmi in un’altra città era una sensazione strana. Devo dire che aver vinto lo scudetto e la Coppa Italia il primo anno mi ha aiutato molto. Di successi poi ne sono arrivati tanti e quando si vince è tutto più facile". 

Nel 1995/96 arrivano la Supercoppa Italiana (1-0 sul Parma) e la Coppa dei Campioni. La Juventus sconfigge nella finale di Roma l'Ajax di Van Gaal ai calci di rigore per 5-3. Ferrara è anche fra i rigoristi scelti da Lippi e trasforma il primo tiro dal dischetto per la Vecchia Signora.

"Riuscire a vincere la Coppa Campioni - dirà - è importantissimo per la carriera di qualsiasi calciatore, Oltretutto, come dicevo, qui a Torino l’euforia per gli Scudetti passa abbastanza in fretta: il sogno dei tifosi bianconeri è sempre la coppa, proprio per questo sono felice di aver fatto parte di quel gruppo".
Juventus 1996

Dalla stagione seguente Ferrara formerà con l'uruguayano Paolo Montero una delle coppie difensive della Serie A più forti. Il 1996/97 porta in bacheca al difensore anche il secondo Scudetto bianconero, ma anche la Supercoppa Europea (successi per 1-6 e 3-1 sul PSG) e la Coppa Intercontinentale (vittoria per 1-0 ai danni del River Plate), mettendo insieme 49 presenze e 5 goal.

Nel 1997/98 il successo per 3-0 sul Vicenza vale la seconda Supercoppa Italiana con la Juventus per Ferrara, e a fine anno, al termine di un duello pieno di polemiche con l'Inter di Simoni, arriva anche il terzo Scudetto. La Juventus disputerà tuttavia gli ultimi mesi senza il suo forte difensore, infortunatosi gravemente nella sfida di Lecce (rottura di tibia e perone in un contrasto con Conticchio) e k.o. per il resto della stagione.

Lui, anziché prendersela o avvelenarsi l'anima, visto che deve saltare anche il Mondiale, preferisce scherzarci su:

"Almeno quest'anno passo il compleanno in famiglia", dice con ironia.

Nel 1998/99, a causa di alcuni risultati deludenti, Lippi è costretto a rassegnare le dimissioni e al suo posto arriva Ancelotti. Recuperato dal grave infortunio, Ferrara torna a disposizione e anche con il tecnico di Reggiolo resta un baluardo difensivo. Il difensore vince anche la Coppa Intertoto nel 1999.

Quando Lippi torna, aprendo il suo secondo ciclo, il napoletano si rivelerà nuovamente una pedina determinante per vincere altri due Scudetti (2001/2002 e 2002/03), portando a 7 quelli vinti in carriera. Conquista inoltre altre due Supercoppe italiane. La sconfitta più amara è invece la finale di Champions League persa all'Old Trafford di Manchester contro il Milan ai rigori il 28 maggio 2003.

Inzaghi Ferrara AC Milan Juventus 2003Getty

Il titolo 2004/05 con Capello in panchina sarà invece revocato. Il 15 maggio 2005 contro il Parma raggiunge la sua cinquecentesima (e ultima) presenza in Serie A e a fine stagione, dopo 20 anni di calcio professionistico e 359 presenze e 20 reti con la maglia della Vecchia Signora, decide di appendere le scarpette al chiodo.

"È giusto che la Juventus ringiovanisca la rosa ed è giusto che io termini qui la mia carriera - afferma a 'Hurrà Juventus' nel giugno 2005 - . Avrei avuto l’occasione, anche per il prossimo anno di andar giocare altrove, ma io ho ricevuto tanto dalla Juventus, soprattutto quando ho subito l’infortunio, sette anni fa. In quel momento avrei anche potuto andare via, ma la società invece ha creduto in me e mi ha permesso di giocare fino a trentotto anni".
"Sono sicuro che mi mancherà il campo - conclude - . Ci sono stato per vent’anni. Il calcio è ciò che mi diverte di più, ma è arrivato il momento di smettere. Ho preso questa decisione molto serenamente e so che non me ne pentirò".

Il suo palmarès in bianconero vede 5 Scudetti (più uno revocato), una Coppa Italia, 4 Supercoppe italiane, una Champions League, una Coppa Intertoto, una Supercoppa europea e una Coppa Intercontinentale.

Nella vita privata, sposatosi molto giovane con Paola Pallonetto, conosciuta quando era quindicenne, ha avuto da lei tre figli: Benedetta, Paolo e Giovanbattista. Nel 2020 sua figlia Benedetta ha dato alla luce il primo nipotino, Leone, e Ferrara è diventato nonno. Ciro e sua moglie hanno divorziato nel 2017 ma continuano ad avere un buon rapporto fra loro.

Dopo aver fatto l'allenatore, oggi Ciro è diventato un apprezzato opinionista televisivo. Ogni tanto, quando qualcuno sfoglia gli almanacchi del calcio, gli ricorda di quando era l'incubo degli attaccanti e uno dei giocatori simbolo di un calcio che oggi non c'è più.

"Se i tifosi mi ricordano forse significa che qualcosa di buono l’ho fatto - commenta -, forse perché ho giocato in due sole squadre, entrambe vincenti. Le vittorie sul campo però vanno divise con il resto della squadra, con l’allenatore, con la società. Io spero di aver lasciato un ricordo positivo anche come uomo. Comunque chi tra cento anni prenderà in mano l’almanacco, su Ferrara dovrà fermarsi a leggere per almeno cinque minuti (ride, ndr)".
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