AUSTRIA SAZLBURGGOAL

“No al calcio in lattina”: l’Austria Salzburg contro il gigante Red Bull

Salisburgo siamo noi. E basta”. Sorride Marcus, simpatico e rubizzo magazziniere, mentre ci apre le porte del centro sportivo dell’Austria Salzburg.

Si ferma a chiacchierare volentieri, lo sorprende il fatto che un giornalista voglia raccontare la loro storia.

“La squadra gioca in trasferta questa settimana, ci sono solo io a dare un’occhiata nei paraggi. Meglio tenere tutto sotto controllo”.

In effetti la zona in cui è sito il Max-Aicher Stadion è tutto fuorché densamente frequentata. Spiega con rammarico Marcus, mentre ci apre le porte del centro sportivo.

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Abbiamo dovuto lasciare il nostro vecchio stadio da quando è arrivata la Red Bull. Vorremmo un impianto nostro, c’è già un progetto ma la politica trova sempre un modo per rallentare le cose”

Uno stadio piccolo, da circa 2500 posti, con un prato lievemente sconnesso. Ma dentro si respira l’atmosfera di chi non vuole mollare.

Sopra la curva, non a caso rivolta verso la città e in linea d’aria verso lo stadio degli “usurpatori” svetta fiera la scritta “L’Austria sopravvivrà a tutti voi”.

curva austria salzburgGOAL

Una questione di sopravvivenza. C’è anche e soprattutto questo alla base della filosofia dell’Austria Salzburg, la cui storia affonda le sue radici negli anni Trenta del secolo scorso.

Sessant’anni di risultati modesti, fino all’exploit del 1993. Tre titoli austriaci in altrettante stagioni e una Coppa Uefa solo sfiorata ma finita nelle mani dell’Inter. Ma il ricordo di quel quadriennio magico è ancora vivo e presente nella memoria e nei cuori di tutti.

Poi il ritorno a una dimensione di aurea mediocritas, fino al 2005. Arriva la Red Bull, multinazionale che dopo anni di sponsorizzazioni sportive decide di investire anche nel calcio.

L’azienda di proprietà di Dietrich Maeteschitz, resa celebre dalla bevanda energetica, fa piazza pulita di ciò che c’era prima a suon di milioni.

Stadio austria salzburgGOAL

Compra la società e cambia tutto: colori, stemma, storia, stadio. Il bianco e viola lasciano posto al rosso. La grafica della rocca di Salisburgo tipica del vecchio viene sostituita dai due celebri tori rossi serigrafati ogni anno su milioni di lattine.

Uno stadio moderno, che sfiora i 30mila posti ma che oggi inizia a far vedere qualche segno del tempo che passa.

Lo hanno fatto solo perché nel 2008 ci sono stati gli Europei in condivisione con la Svizzera. Una scelta commerciale come tutte quelle che hanno fatto da quando hanno creato questo nuovo club”.

E’ il terzo millennio baby, il calcio si fa anche così. Pochi anni dopo arriveranno anche i petroldollari, il club di proprietà statale e multiproprietà, altra pratica della quale la Red Bull si farà pioniera.

I risultati sportivi sono pressoché immediati. Arrivano soldi e titoli a pioggia, ma non a tutti sta bene così.

Il gruppo storico della tifoseria decide che la propria identità non è in vendita. Tenetevi i trofei, ridateci la passione.

A parlare è David Rettenbacher, vice-presidente del club, che ci spiega i motivi che hanno portato alla separazione della parte più viscerale della tifoseria a ricusare la nuova proprietà e a rifondare il club.

“Non hanno comprato la squadra, ma solo la licenza per giocare in Bundesliga. Hanno fatto tabula rasa dell’Austria Salzburg, alla quale noi tifosi innamorati abbiamo deciso di dare una seconda vita. Siamo come Gesù, che è tornato in vita dopo la crocifissione”.

Un paragone forse eccessivo, ma che spiega alla perfezione che cosa muove i mille micro-azionisti che sostengono finanziariamente il progetto. È l’azionariato popolare, il calcio della gente che contrasta quello del capitale. Davide che combatte Golia, per restare in tema biblico.

“Hanno dichiarato subito che quella che è partito è un club nuovo, con una nuova storia e assolutamente non interessato ai legami con il passato”.

Non è un caso infatti che alla Red Bull Arena il Wall of Fame parta dal 2005 e arrivi ai giorni d’oggi, senza alcuna menzione a ciò che è stato dei 72 anni precedenti. Una gestione top-bottom, esattamente il contrario di come funziona all’Austria Salzburg.

walk of fame red bull salisburgoGOAL
Ogni due anni eleggiamo un board, ma chi investe è coinvolto in ogni singola decisione presa dal club. Preferiamo questo modello a quello di chi sfrutta un club calcistico come l’ennesimo asset per vendere più lattine”.

Ma perché non accettare l’arrivo di una multinazionale che avrebbe portato il club su una dimensione europea? David non ha dubbi, meglio competere nella terza serie austriaca che vendere la propria anima.

Se hai una spina dorsale, devi rimanere fedele a ciò che sei realmente. Per noi aver intrapreso questa strada in salita e aver vinto qualche titolo nelle categorie minori vale molto più di una Champions League. Se cambi te stesso, come fai a guardarti allo specchio la mattina?”.

La maggior parte dei tifosi della squadra ha vissuto la transizione verso la Red Bull in serenità. Una scelta assolutamente non condivisibile per chi invece ha preferito mantenere la propria identità.

Non abbiamo mai provato a far cambiare loro idea. Se per loro è accettabile questa situazione, semplicemente non fanno per noi”.

E se un giorno la Red Bull se ne andasse? Beh, David ha le idee piuttosto chiare e risponde quasi piccato, ma divertito.

“Siamo noi l’unica squadra di Salisburgo, quindi questa domanda per me non ha alcun senso. Si sono tenuti i trofei dal 1993 al 1997, ma sono nostri e li rivendichiamo come tali”.

Nel calcio delle multiproprietà e che vive un’entropia economica che non si sa quanto ancora riuscirà ad espandersi prima di collassare su se stessa, c’è chi resiste. Anzi, chi sopravvive.

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