Johnnier Montano-

Ferie infinite: Montaño e l'inseguimento di Parma

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È fiorito in Colombia nel '900. Il realismo magico, corrente letteraria prima e pittorica poi, ciò che esattamente proietta il proprio nome. Una storia reale, in cui esistono elementi magici. Nessuno ci fa caso, tutto normale. Quasi quasi è anche una corrente calcistica, considerando Johnnier Montaño . Un giocatore che in gioventù ha sempre dovuto scontrarsi tra la magia dei suoi piedi, rapidi da ballerino e killer insieme, e il realismo del calcio professionistico. L'unione non ci poteva essere, non poteva coesistere come in 100 anni di solitudine.

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Non ha una vita facile il giovane Montaño, ma è baciato dal talento. Perde i genitori e - magra consolazione - ottiene la fama. Diventa un campioncino per le strade di Cali , una città in cui l'America, squadra cittadina, è arrivata al top mondiale grazie alla finale di Libertadores. Una città in cui domina il cartello della droga ononimo. Avete presente Narcos? I fratelli Orejuela, Pacho Herrera. Sicuramente sì. Ok, altra storia, ma di cui un pizzico si può parlare. Il denaro e la fama sono il fine ultimo.

Montaño si allontana da quel clima firmando con il Quilmes prima e dunque con il Parma, nel 1999. È il Parma più forte di tutti i tempi, dove non giocano campioni, ma fuoriclasse. Buffon, Cannavaro, Thuram. Bastano? Forse no. Sì, bastano. I milioni circolano legalmente, senza cartelli della droga e gang cittadine. Ruba la scena il ragazzo. Ha una velocità incredibile. Ma è rapido anche a farsi cattive amicizie fuori dal campo e ad essere nemico di se stesso, troppo legato alla sua città, alla Colombia. La nostalgia e gli errori di gioventù ne mangeranno la carriera.

Ha 16 anni Montaño. Viene portato al Tardini alla corte dei grandi per imparare, ma il letale mix tra denaro e fama portano al contrario. Gioca qualche gara, mostra grandi cose, poi si perde. Letteralmente. Anzi, diciamo che lo perde il club, per più di un inverno. Quando scattano le vacanze natalizie scatta qualcosa in lui, lo dichiarerà candidamente e in maniera imbarazzata. Il ritorno dalle ferie è fissato il 2 gennaio? Lui torna in Italia una, due settimane dopo. A volte solo, a volte scortato da dirigenti-spie e tuttofare dei club in cui milita.

Johnnier Montano-

Tra questi c'è Salvatore Scaglia , dirigente del Parma. Montaño ha firmato fino al 2005, ma per farsi le ossa vola prima a Verona e dunque a Piacenza. Saranno 26 le presenze nei suoi cinque anni italiani e tante, tantissime le problematiche per Ciro. Già Ciro. Venne soprannominato così, il giovane proveniente dalla terra di Marquez. La furbizia napoletana è potente in lui, tanto da trasformarsi in un tizio il cui nome scandito non suona neanche così male. Ciro Montaño. Non trovate?

Montaño è in prestito al Verona, nel gennaio 2001. E ancora, non ha rispettato il giorno fissato per il rientro dalle vacanze. Scaglia confesserà come lo stesso Ciro ne fosse consapevole:

"Mi confidò, 'Il Natale mi manda in confusione, le feste mi fanno venire voglia di restare in Colombia'. Disse che, se non fossimo andati a riprenderlo, lui non sarebbe rientrato".

Già, perché Scaglia, in quel 2001, viene contattato dal Verona. Non sanno che pesci pigliare e già si pentono di averlo acquistato in prestito. Sacchi, allora a Parma, chiede al manager di trovarlo. Perché Montaño non risponde al telefono. Whatsapp che? Urge prendere il primo volo per la Colombia insieme a Paolo Pellicelli , che si occupa degli affari sudamericani per i crociati.

Non conosce l'indirizzo di Montaño il duo Scaglia-Pellicelli, che di comico non ha nulla. È deciso e furioso. Sta cominciando ad essere un problema enorme, il giovane Ciro. Il telefono è staccato e ci si deve arrangiare con i passaparola, con gli amici locali. Un bel problema, ma a quei tempi, anche a Cali si può trovare una persona scomparsa. Perché alla fine non è uno qualunque, è un qualcuno. Ce l'ha fatta, lavora in Italia, guadagna estremamente bene per sè e i parenti.

Alla fine tra niños e compañeros, Montaño è lì.  È in un'officina, intento a far oscurare i vetri della macchina. Quasi ha un mancamento, ma assicura che, risolte alcune questioni per la famiglia, tornerà in Italia. La parola è più forte di ogni contratto. Chiamata a Verona e Parma, tutto risolto. Stiamo per tornare. Non proprio, perché sparisce tra le vie di Cali , separa i suoi 'inseguitori' tra colori e odori della città.

Ricomincia la ricerca e qualche giorno dopo, lasciata l'officina, Montaño è da un'altra parte. Nella casa di un'amica, forse la fidanzata. Toc toc, chi è? Johnnier, sono Scaglia. Basta, torniamo in Italia che non se può più. Ah cavolo, mi avete fregato. Tranquilli, ora esco. Sì, ma non dalla porta, bensì dalla finestra. Scappa sui tetti .

Qualche secondo, Scaglia e Pellicelli lo vedono e lo inseguono. Il racconto alla Gazzetta dello Sport fu epico:

"Scappò per i tetti e noi ci lanciammo all'inseguimento, ma a un certo punto tra canne fumarie e antenne tv spuntò un tizio con un pistolone . Ci fermammo e chiamammo la polizia. Un trambusto".

Montaño è posseduto dallo spirito delle feste più di Ebenezer Scrooge e i tre fantasmi del Natale passato lo convincono solamente quando viene colpito sul portafoglio: sì, perchè Scaglia riuscirà a prendere il suo portafoglio nella casa da cui l'inseguimento è partito:

"Dissi alla giovane che era con lui: Riferisci a Johnnier che lo faccio per il suo bene, che tengo le sue carte di credito in ostaggio".

Senza soldi, a Cali, è chiuso nell'angolo. Riunione a casa sua. Per l'ennesima volta Montaño prova a scappare, annunciando l'incontro all'aeroporto per qualche ora da lì in avanti. Scaglia scuote la testa:

"Caro Ciro, tu sei furbo, ma noi non siamo scemi. Ci vediamo domani un corno. Ora ci segui nel nostro albergo'. Lo chiudemmo in camera , lo sorvegliammo a vista e la mattina volammo in Italia".

Il Verona retrocede e Montaño finisce in prestito al Piacenza. Gioca qualche gara, segna un goal. Poi ci ricasca, inutile dirlo. Il realismo c'è, la magia no. Le ferie durano nuovamente di più, scompare. I tifosi biancorossi non ne vogliono sapere, tanto che esporranno uno striscione per invitarlo a rimanere in patria.  È necessaria un'altra missione per andare a prenderlo, anche grazie all'aiuto dei connazionali. In lacrime non è rassicurato sull'essere perdonato, ma piuttosto sul fatto che deve onorare il contratto.

Non ha paura delle strade di Cali, sa come muoversi. Ma ha paura di tornare a Piacenza, piange perchè non vuole affrontare le conseguenze delle sue azioni, si dispera perchè crede di aver rovinato la sua carriera. E' giovanissimo, ma vede nero davanti a sè. Ha bisogno di aiuto, le frasi dei media sono tutte uguali: quando torna in Colombia, perde di vista la realtà. Di magico non c'è più niente, soprattutto in Italia.

A Piacenza viene assalito da un paio di ultras, decisi a ricordare a Montaño che per loro la cosa più importante è il rispetto della maglia. Frasi razziste, aggressione verbale e fisica. Lì, il sorriso di chi aveva letto del simpatico inseguimento sui tetti diventa volto triste. Nel 2004 lascia l'Italia e Parma con sommo dispiacere di tutti. Ci hanno provato e lui lo sa. Ma non si può conciliare il professionismo con la nostalgia perenne.

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