Michael Laudrup (l) tussles with AS Roma defender Toninho CerezoHussein Mamdouh

Michael Laudrup, il ‘Principe di Danimarca’ che giocò con Lazio e Juventus

E’ il 1982 quando Giampiero Boniperti riceve una telefonata dalla Danimarca. Dall’altra parte del filo c’è un suo ex compagno di squadra, Mario Astorri, che da anni si è trasferito nel paese scandinavo dove si è imposto come un allenatore dal curriculum importante, anzi secondo molti può essere definito il primo tecnico italiano ad aver realmente avuto successo all’estero.

Ha vinto due titoli di campione di Danimarca con l’AB ed il KB e quanto fatto l’ha spinto, a fine anni ’60, fino alla panchina della Nazionale maggiore danese. Quella che riceve Boniperti non è una chiamata di cortesia e Astorri non ha telefonato da Copenaghen solo per ricordare i tempi andati. Al suo ex compagno di squadra infatti, vuol parlare di un ragazzo dotato di un talento straordinario, di un giocatore che non ha ancora compiuto venti anni ma che ha già fatto intravedere quelle qualità delle quali sono solitamente dotati solo i fuoriclasse: Michael Laudrup.

Ha avuto modo di vederlo da vicino nel corso della sua parentesi alla guida del KB. Tra gli attaccanti della sua squadra c’era anche Finn Laudrup, il padre di Michael, e mentre lui provava a perforare le difese avversarie tra i ‘grandi’, il figlio stupiva tutti nelle giovanili della prima squadra.

Finn, che tra l’altro era da anni nel giro della Nazionale maggiore, era un bel giocatore, ma chi aveva avuto modo di vedere da vicino Michael giurava sul fatto che fosse ‘una cosa diversa’. In Danimarca si parlava di quel ragazzo come della cosa più vicina a Cruyff che si fosse mai vista, insomma come di un campione in erba destinato a grandi cose.

Quanto raccontato da Astorri val bene un tentativo e Boniperti attiva subito Cestmir Vycpalek, un altro ex compagno di squadra, che poi ad inizio anni ’70 vincerà due Scudetti da allenatore della Juventus, che da qualche tempo è il più importante tra gli osservatori bianconeri e che, curiosità, è lo zio di un giovane allenatore che in quel periodo si sta ‘facendo le ossa’ nelle giovanili del Palermo: Zdenek Zeman.

A Vycpalek basteranno poche partite per capire che le voci arrivate in Italia riguardo il ragazzo sono veritiere. Quello che si riscopre ad ammirare da vicino è un giocatore che intanto a diciotto anni ha già fatto il suo esordio in Nazionale e che con la maglia del Brondby sta giocando un campionato sontuoso. Così sontuoso che di lì a poco verrà eletto ‘Calciatore Danese dell’Anno’.

Laudrup può giocare da esterno, ma anche da punta o seconda punta, può fare il rifinitore e all’occorrenza essere arretrato anche sulla linea dei centrocampisti. Dalla metà campo in su può fare ciò che vuole ed è per questo che quando Vycpalek richiama Boniperti a Torino gli dice in sostanza che quel ragazzo va preso a tutti i costi.

Il giovane gioiello danese ha intanto attirato su di se le attenzioni di mezza Europa. Piace in Olanda, Francia, Inghilterra, Germania e Spagna, ma la Juventus prima riesce a strappare un’opzione e poi a sbaragliare la concorrenza mettendo sul tavolo una cifra ‘monstre’: allora si parlò di un’operazione da un milione di dollari circa. Mai si era speso tanto per prelevare un giocatore dal campionato danese.

In casa bianconera si brinda al grande colpo, ma c’è un problema: in Italia il regolamento prevede che una squadra possa tesserare al massimo due stranieri e la Juve può già contare su due campioni del calibro di Platini e Boniek. Va trovata una soluzione.

Boniperti vorrebbe vedere il ragazzo confrontarsi con il calcio italiano e la giusta sistemazione per lui viene individuata nella Lazio. La compagine biancoceleste è da poco tornata in Serie A ed il presidente Giorgio Chinaglia, pur di garantire al tecnico Juan Carlos Morrone un rinforzo importante in attacco, offre qualcosa come quattrocento milioni di lire per assicurarsi un prestito biennale. Laudrup non è convintissimo di tale opzione, ma alla fine accetta.

A diciannove anni si riscopre catapultato in un mondo e in un calcio molto differenti da quelli ai quali è abituato e Roma è tanto diversa dalla tranquilla Danimarca. L’impatto non è dei migliori, ma già nel corso del ritiro fa capire a tutti che è speciale.

E’ il 12 settembre 1983 quando fa il suo esordio in campionato. La sfida contro il Verona di Bagnoli è di quelle senza storia, tanto che agli scaligeri bastano 55’ per portarsi sul 4-0, ma ‘Michelino’, come è stato ribattezzato dai compagni, prima del triplice fischio finale trova il modo per realizzare una splendida doppietta.

La settimana successiva a Roma arriva l’Inter e Laudrup sfodera ancora una grande prestazione, mettendo tra l’altro la sua firma nel 3-0 finale. Tre reti in 180’ di gioco e intuizioni da giocatore vero: pensare ad un biglietto da visita migliore è quasi impossibile.

Quando in casa biancoceleste iniziano a pensare che c’è tutto per fare un bel campionato, compreso un potenziale fuoriclasse in rosa, la situazione precipita. La squadra, nonostante possa contare su una spina dorsale che prevede anche campioni del calibro di Manfredonia, D’Amico e Giordano, incappa in una serie di risultati negativi che la faranno precipitare fino al penultimo posto in classifica. Morrone viene quindi esonerato per lasciare il posto a Paolo Carosi, un tecnico che bada decisamente di più al sodo, e per Laudrup le cose si faranno terribilmente complicate.

Ad attenderlo ci saranno mesi fatti di un calcio nel quale lui fatica ad esprimersi, ma nel finale di stagione riuscirà comunque a metterci molto del suo e a spingere la squadra verso la salvezza.

Al termine della prima annata romana avrà un’unica certezza: con la Lazio è finita.

Laudrup è deciso a lasciare la capitale, ma Boniperti lo convincerà a restare in biancoceleste con le parole giuste e soprattutto con un importante aumento di ingaggio.

La seconda stagione alla Lazio sarà probabilmente la più complicata della sua intera carriera. Gioca, ma male anche perché fortemente condizionato dalle idee calcistiche di Juan Carlos Lorenzo. Alterna cose discrete a terrificanti passi a vuoto e anche tra i tifosi c’è chi inizia a puntargli il dito contro: il Laudrup che si vede in Nazionale è infatti un giocatore del tutto diverso, è in una parola devastante.

Michael Laudrup DenmarkGetty

Al termine del campionato la Lazio retrocederà e lo score di Laudrup parlerà di un solo goal in trenta partite. A Torino però nessuno ha smesso di credere nelle sue qualità ed anzi con la partenza di Boniek per lui si spalancheranno le porte della Juve.

In bianconero si guadagna fin da subito i galloni da titolare ed è uno spettacolo vederlo duettare con Platini. I due parlano la stessa lingua calcistica e inoltre Laudrup, a differenza di quanto accadeva alla Lazio, non tocca più dieci palloni a partita, ma è costantemente al centro dell’azione.

Corre, dribbla, inventa, il tutto sempre rigorosamente a testa alta. Trapattoni, che stravede per lui, è riuscito a trovargli la giusta collocazione in campo e il ‘Principe di Danimarca’ (questo il soprannome che lo accompagnerà per tutta la carriera) ripagherà la fiducia con grandi prestazioni, meritandosi anche un posto d’onore nella storia del club bianconero.

E’ infatti l’8 dicembre 1985 quando la Juventus scende in campo a Tokyo per sfidare l’Argentinos Juniors nella gara che mette in palio la Coppa Intercontinentale. All’82’ gli argentini sono avanti 2-1 quando Laudrup chiede il triangolo a Platini, la palla di ritorno del ‘Roi’ è maestosa ed il danese, che intanto ha capito tutto in anticipo ed è scapato ai difensori avversari, una volta penetrato in area, dribbla il portiere Vidallé e da posizione quasi impossibile insacca.  E’ perfezione geometrica resa possibile dalla qualità di due giocatori straordinari ed è soprattutto il goal del 2-2, quello che porterà la partita prima ai supplementari e poi ai rigori. Laudrup fallirà il suo tiro dal dischetto, ma ci penserà poi Platini a rimettere le cose a posto e la Coppa volerà con i bianconeri a Torino.

Laudrup continuerà a giocare ad altissimi livelli per tutto il resto della stagione ed il successivo 20 aprile 1986, avrà modo di segnare un altro goal storico, questa volta contro il Milan: grande giocata di Briaschi sulla sinistra ed il danese è bravo a farsi trovare in area al momento giusto e al posto giusto per spingere in rete il pallone che varrà la vittoria per 1-0 e i punti che vorranno dire ventiduesimo Scudetto bianconero. Il suo unico vinto in Italia.

Intanto però alla Juventus un ciclo si è chiuso e aprirne un altro si rivelerà più faticoso del previsto. Con l’addio di Trapattoni e l’approdo in panchina di Rino Marchesi, molte cose cambieranno dal punto di vista del gioco e a risentirne sarà soprattutto il ‘Principe di Danimarca’.

Alternerà grandi prestazioni a partite molto meno positive, evidenziando quello che è il suo vero limite. Se dal punto di vista tecnico è dotato come pochi al mondo, sotto il lato caratteriale difetta in personalità e la cosa lo porta a non sfruttare pienamente il suo sconfinato potenziale.

Michel Platini, uno di quelli capaci di spiegare come pochi le cose con un numero estremamente ristretto di parole, conierà una frase che forse meglio di tutte descrive il Laudrup giocatore.

“Lui è il miglior calciatore al mondo, in allenamento”.

Quando al termine della stagione 1986-1987 lo stesso fuoriclasse francese lascerà il calcio giocato, Laudrup di fatto, pur essendo il giocatore della Juventus più vicino per caratteristiche tecniche e qualità, non riuscirà a raccogliere la sua eredità.

Per tornare a vedere il gioiello danese esprimersi con continuità ad alti livelli, bisognerà attendere l’annata successiva e l’arrivo di Dino Zoff in veste di tecnico, ma ormai è già chiaro a tutti che il suo ciclo in bianconero è giunto al capolinea.

Laudrup ripartirà dal Barcellona e sarà proprio nel corso dei cinque anni vissuti in blaugrana che svelerà al mondo la migliore versione di se stesso. Il suo talento ed il suo modo di stare in campo si sposano alla perfezione con le idee tattiche di Johan Cruyff. Il tecnico olandese, che proprio nel danese vede tanta della magia della quale lui stesso era dotato da calciatore, lo libera da ogni vincolo, gli lascia ampia libertà di spaziare, di leggere l’azione, di trovare le linee giuste. Messo nel giusto contesto e antesignano per eccellenza di tutti i ‘Falsi nove’ che si sarebbero affacciati nel panorama calcistico anni dopo, Laudrup si rivelerà uno dei punti di forza di quello che passerà alla storia come ‘Dream Team’.

Michael Laudrup BarcelonaGetty Images

Quando è in giornata è semplicemente immarcabile. Supera gli avversari con estrema facilità grazie ad un primo stop già risolutivo che poi viene abbinato ad una finta di corpo quasi impossibile da leggere. E’ un fuoriclasse tra tanti fuoriclasse, ma Cruyff ammetterà che lavorare con lui non è stata propriamente la cosa più semplice del mondo.

“E’ stato uno dei giocatori più difficili tra quelli con i quali ho lavorato. Se lui dà l’80% o il 90% è ancora di gran lunga il migliore di tutti, ma io voglio sempre il 100% e lui questo solo raramente riesce a darlo”.

L’idillio tra i due finirà nel 1994, quando il Barcellona acquisterà Romario. In campo si possono schierare infatti solo tre stranieri e spesso a finire tra gli esclusi è proprio il danese. Cruyff gli preferirà l’attaccante brasiliano anche nella finale di Champions League poi persa 4-0 contro il Milan e la cosa rappresenterà il vero punto di rottura.

“Era il giocatore che temevo di più - racconterà Fabio Capello - ma Cruyff lo lasciò fuori e fece un errore. Quando vidi che c’era Koeman in campo al suo posto, mi sono sentii più tranquillo”.

Quando Laudrup lascerà il Barcellona, lo farà dopo aver vinto da protagonista quattro campionati, due Supercoppe di Spagna, una Coppa dei Campioni ed una Supercoppa Europea e nel salutare si prenderà la più clamorosa delle rivincite trasferendosi al Real Madrid.

Vestirà la maglia dei Blancos per due stagioni, giusto il tempo di vincere la sua quinta Liga consecutiva, poi andrà a fare sfoggio della sua classe in Giappone, al Vissel Kobe, prima di appendere gli scarpini al chiodo nel 1998 dopo aver messo in bacheca una Coppa d’Olanda e aver trionfato in campionato con la maglia dell’Ajax addosso.

Laudrup ha vinto, a livello di club, tutto ciò che un giocatore può sognare di vincere. Considerato il miglior calciatore scandinavo di ogni tempo, è stato eletto miglior giocatore della Liga in un’occasione e nel 1999 è stato nominato miglior straniero del campionato spagnolo dei precedenti venticinque anni.

Nel 2006 ha ottenuto a Copenaghen il riconoscimento di miglior giocatore danese di ogni tempo e nel 2014 Marca l’ha inserito nell’undici ideale dell’intera storia del Real Madrid.

La sua è stata una carriera ricca di successi, ma non ci sono carriere prive di rimpianti. Il suo è certamente legato alla mancata partecipazione a Euro ’92. Non era in buoni rapporti con il commissario tecnico Moller Nielsen e si ritrovò ad assistere da semplice spettatore alla tanto storica quanto sorprendente cavalcata che condusse i suoi compagni e il fratello Brian sul tetto d’Europa.

Laudrup è stato un campione straordinario e si è meritato di diritto un posto tra i più grandi di ogni tempo. Forse verrà per sempre considerato un gradino sotto ai ‘grandissimi’ proprio perché non dotato di quella personalità che è propria dei grandi trascinatori dentro e fuori da campo.

Con la palla tra i piedi ha fatto però vedere cose uniche e sempre con quell’eleganza che è propria dei principi. Il ‘Principe di Danimarca’, appunto…

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