Maya Yoshida SampdoriaGetty Images

Yoshida a GOAL: "Alla Samp è tutto 'amazing', un viaggio eccezionale"

In anni di carriera abbiamo fatto tante interviste, ma sinceramente mai così divertenti come quella a Maya Yoshida: un personaggio vero, nel senso di schietto, simpatico, alla mano. Il che non vuole assolutamente dire non professionale, anzi. Semplicemente uno che non se la tira. E questo nonostante abbia giocato nei migliori campionati al Mondo, con e contro i migliori giocatori al Mondo e probabilmente sarà il capitano della sua Nazionale ai prossimi Mondiali in Qatar. Insomma, abbiamo visto ragazzini pavoneggiarsi per molto meno. Invece Maya ci mette subito a nostro agio, risponde con educazione, e con il sorriso, ad ogni nostra domanda e, soprattutto, non ci gira attorno. E’ anche diretto quando viene colpito nel vivo, come quando - proprio all’ultima domanda - ci risponde senza mezzi termini con un “Fuck you”, che crediamo non abbia bisogno di traduzioni. Ma anche in questo caso, fa parte dell’ironia del personaggio. Vi regaliamo questa chiacchierata senza filtri, proprio così come si è svolta…



Cominciamo davvero dall’inizio, come ti sei approcciato al calcio?

“Quando ero ragazzino il calcio non era lo sport più seguito e praticato del Giappone, al primo posto c’era il baseball. Io però ho un fratello maggiore che giocava a calcio e mi sono appassionato. Ho sempre voluto imitarlo e questo mi ha aiutato a migliorarmi giorno dopo giorno”.



Chi erano i tuoi idoli da ragazzino?

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“L’idolo dei giapponesi per eccellenza ai miei tempi era Miura, che anche voi conoscete bene (ex Genoa nel 1994-95, ndr). Lo so che era “dell’altra sponda”, ma per noi bambini che sognavamo di diventare calciatori, lui era l’esempio di quello che volevamo essere da grandi. Poi ammiravo Dragan Stojkovic, centrocampista offensivo che ha giocato nel Nagoya e che oggi è il CT della Bosnia. Da piccolo guardavo le sue partite e sognavo di diventare come lui”.



Tutti giocatori offensivi: sognavi dunque di diventare attaccante?

“Credo che tutti i bambini sognino di essere attaccanti e che nessuno voglia diventare un difensore. Tutti nascono centravanti, poi via via indietreggi, indietreggi, indietreggi, finché non fai come me e diventi difensore. Io più indietro di così non potevo andare (ride, ndr). Portiere? No, grazie, non è roba per me (ride, ndr)”.
Yoshida Sampdoria psGetty Images/GOAL


Quali campionati europei guardavi dal Giappone?

“La Premier League era il campionato di riferimento. Quando ero nelle giovanili, ricordo che il mio allenatore ogni lunedì mi dava il DVD con le partite del Liverpool, del Chelsea, dell’Arsenal e di tutti i principali club inglesi. Io mi guardavo tutte le partite, cercando di strappare i segreti a quei meravigliosi campioni”.


E che sensazioni hai provato quando nel 2012 ti sei trasferito proprio in Inghilterra?

“E’ stata un’emozione che non si può descrivere, perché per me è stato come realizzare un sogno. Ricordo ancora il mio ingresso ad Emirates Stadium all’esordio in campionato, il rumore dello stadio, la carica dei tifosi, l’ambiente spettacolare, tutto. E’ come se lo rivivessi ancora oggi, da brividi. E’ mancata solo l’emozione del gol, perché la partita è finita 0-0, ma a parte quello è stato tutto stupendo”.



Al Southampton sei stato allenato da Pochettino e Koeman e hai giocato con compagni come Van Djik e Mané, che oggi dominano in Inghilterra e in Europa…

“Ho solo ricordi positivi della mia esperienza in Inghilterra, perché ho potuto giocare al fianco di grandi campioni come quelli che tu hai citato, ma anche contro grandi avversari che mi hanno permesso di migliorarmi. Così come Mister Pochettino e Koeman, che sono stati fondamentali per la mia crescita e per il mio ambientamento. Davvero grandi tecnici, ciascuno con la propria mentalità e la propria tattica, entrambi però mi hanno trasmesso tanto”.



Van Dijk è davvero il miglior difensore al Mondo come si dice ultimamente?

“Dipende, se vince la Champions League sì, se no no (ride, ndr). A parte gli scherzi, recentemente ho visto la gara del Liverpool contro l’Arsenal, peraltro un Arsenal che stava bene, ma nonostante questo non c’è stata partita. Il Liverpool è veramente impressionante, sono molto felice per lui e per Mané, perché sono due grandi calciatori e due bravi ragazzi, sono contento che le cose stiano andando bene per loro”.



Quali sono le principali differenze tra Premier League e Serie A?

“E’ difficile dirlo in poche parole, perché a volte si dice che la Serie A sia più tattica, che in Premier ci siano più giocatori tecnici. Ho sentito tante diverse opinioni, ma recentemente ho letto un’intervista di Ibrahimovic che parlava delle differenze tra i vari campionati e devo dire che sono d’accordo con lui: la cosa che rende unica la Premier League è l’intensità. In nessuna parte del Mondo si gioca al ritmo inglese, non ci sono le pause che ci sono in altri campionati, si va sempre a mille all’ora e questo è quello che rende unico il calcio britannico. Poi sì, in Italia c’è molta tattica, ma anche molta tecnica, è un calcio impegnativo e sicuramente di alto livello, ma quell’intensità che ho visto in Inghilterra è davvero speciale”.


E a livello ambientale?

“In Inghilterra c’è un clima davvero bello negli stadi, ma devo dire che anche qui si respira molta passione. Prima di venire in Italia pensavo che ce ne fosse meno, perché guardando le immagini in TV, non sempre gli stadi erano pieni e quindi avevo la sensazione che non fosse così seguito. Invece devo dire che mi sono ricreduto, c’è grandissima passione: anzi, forse anche di più rispetto all’Inghilterra”.





Yoshida Sampdoria psGetty Images/GOAL

Com’è nata l’opportunità di venire alla Samp e, prima di arrivare qui, cosa conoscevi dell’Italia e del nostro calcio?

“Sinceramente non conoscevo nulla (ride, ndr). A parte gli scherzi, la Serie A è uno dei principali campionati europei e poi le grandi squadre partecipano alla Champions League, dunque conoscevo i principali giocatori. Della Sampdoria sapevo la storia, in particolare quella degli Anni ’90, dello Scudetto di Vialli e Mancini. Ma prima di venire ho chiamato il mio ex compagno al Southampton Gabbiadini per avere qualche informazione. In quel periodo, poi, non stavo attraversando un buon momento, giocavo poco e il nuovo tecnico al Southampton aveva fatto intendere di voler puntare sui giovani. Così ho colto questa opportunità e devo dire che ho fatto la scelta giusta”.



Com’è stato l’ambientamento in Italia e a Genova in particolare?

“Innanzitutto, qui si mangia molto meglio che in Inghilterra e probabilmente anche meglio rispetto al Giappone (ride, ndr). Il cibo italiano è spettacolare, poi le città sono stupende. Dopo un primo periodo di lockdown per Covid ora mi sto proprio godendo tutto. Io sono uno a cui piace scoprire cose nuove e adesso che ne ho l’opportunità, ne approfitto. Ho visitato posti stupendi come la Sardegna, Torino, le zone di Alba, Barolo, ho degustato vini buonissimi e mangiato benissimo. All’inizio è stato anche un po’ più difficile per via del fatto che non avevo la mia famiglia qui, perché loro erano rimasti in Inghilterra, ma da quando mi hanno raggiunto va veramente alla grande".



Cosa ti piace dell’Italia ce lo hai detto, il cibo, ma c’è una cosa alla quale non ti sei ancora abituato?

“Alla lingua, purtroppo. Mi piacerebbe moto migliorare ed essere in grado di esprimermi liberamente, riuscire a capire tutto quanto i compagni dicono in campo, o le indicazioni dell’allenatore, sarebbe molto importante. E poi mi piacerebbe anche per la vita di tutti i giorni, mi sembrerebbe corretto esprimermi nella lingua del Paese che mi ospita. Ci sto lavorando, spero di riuscirci a breve”.



Come giudichi questo anno e mezzo con la Samp?

“Per me è un “viaggio” eccezionale. Da quando sono arrivato qui mi sento un giocatore migliore, ma anche un uomo migliore, perché questa esperienza mi è servita molto a livello professionale, ma anche umano. Cercavo un posto dove potermi esprimere al meglio e, per farlo, avevo bisogno di giocare. Quando superi i 30 anni, se non giochi, invecchi ancor più velocemente. Ma qui in Italia, e a Genova, e alla Sampdoria in particolare, ho trovato molto di più. E’ tutto “amazing” (testuale, ndr), davvero”.



Yoshida Sampdoria psGetty Images/GOAL

Quanto è stato importante in tutto questo avere un mister come Ranieri?

“E’ stato fondamentale all’inizio avere un tecnico che mi parlasse in inglese, ma che conoscesse anche il calcio da cui provenivo, perché sapeva dove e come intervenire per farmi adeguare più velocemente al vostro calcio. E poi qui alla Sampdoria ci sono tanti giocatori stranieri, e quasi tutti parlano inglese, dunque avere qualcuno che all’inizio ci parlasse in una lingua conosciuta, è stato molto importante. Ora mister Ranieri è tornato in Inghilterra e sono felice che stia facendo molto bene, gli auguro davvero di continuare così perché è una persona speciale”.



Contro la Salernitana avete ottenuto una vittoria importante: si può dire che il peggio sia alle spalle ormai?

“No, assolutamente no, guai a pensarlo. E’ stata sicuramente una vittoria importante, ma noi dobbiamo continuare come se non ci fosse mai stata, perché la situazione di classifica non ci permette di rilassarci. Anzi. La cosa che mi è dispiaciuta è non aver potuto dare il mio contributo perché ero infortunato: questa è una cosa che mi dà davvero fastidio, perché so che è la società Sampdoria che mi paga e lo fa perché io giochi, dunque questo è frustrante per me ogni volta che accade. Per fortuna da quando sono qui non è capitato spesso e spero che capiti ancor più raramente in futuro. Perché il mio obiettivo è certamente andare ai Mondiali con il Giappone, ma voglio anche essere determinante qui alla Samp e aiutare la squadra a raggiungere i suoi obiettivi”.



Hai citato il Mondiale: dopo un inizio di qualificazioni un po’ complicato, ora l’obiettivo sembra essere alla portata per il tuo Giappone: cosa rappresenterebbe per te andare in Qatar da capitano della tua Nazionale?

“Sarebbe ovviamente un grande orgoglio, ma dobbiamo ancora conquistare la qualificazione. Abbiamo cominciato male, poi ci siamo ripresi, ora abbiamo due partite in casa contro Cina e Arabia Saudita per chiudere il discorso: dobbiamo fare sei punti e solo così saremo certi di andare al Mondiale. Solo dopo penseremo come affrontarlo…”.



In cosa credi dobbiate migliorare per riuscire a disputare un buon Mondiale?

“Queste qualificazioni sono state molto dure, anche perché a volte abbiamo passato più tempo su un aereo che ad allenarci. Così non è semplice: quando trascorri quasi 24 ore in volo, poi magari ha anche un po’ di fuso orario, e fai solo la rifinitura, scendere in campo non è per nulla semplice. Detto questo, è evidente che possiamo migliorare in tutto, ma in particolare secondo me dovremmo segnare di più”.



Qual è il giocatore contro il quale vorresti giocare in Qatar?

“Contro tutti i più forti: affrontare i campioni e le migliori squadre al Mondo, è il bello del nostro mestiere, perché ti misuri e ti metti alla prova. Il pensiero di affrontare attaccanti come Harry Kane, Lukaku, Cristiano Ronaldo, Lautaro Martinez o Messi mi elettrizza”.



Qual è l’attaccante che invece ti ha fatto soffrire di più in carriera?

“Ce ne sono talmente tanti che se inizio ad elencarli non finisco più (ride, ndr): Benzema, Hazard, Aguero, Aubameyang, Salah, Mané sono solo alcuni. Te l’avevo detto che erano tanti…”.

Qual è il tuo obiettivo futuro? A fine carriera, in che panni ti vedi ed eventualmente dove?

“C’è sempre la possibilità di tornare in Giappone, perché quello è il mio Paese, ma sinceramente a tutti quelli che mi fanno questa domanda, rispondo sempre la stessa cosa: Fuck you. Scrivilo bello grande che io non ho nessuna intenzione di ritirarmi, ho ancora tanti allenamenti da fare e tante partite da giocare, anche perché voglio ancora migliorarmi giorno dopo giorno e magari fare la storia della Sampdoria e quella del Giappone ai Mondiali. Quindi, quello che farò dopo, è proprio l’ultimo dei miei pensieri…”.
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