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Guillermo Amor, la leggenda del Barcellona che si riscoprì meteora alla Fiorentina

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Non esiste la ricetta per vincere uno Scudetto, tuttavia ci sono degli ingredienti che se combinati bene insieme possono mettere una società sulla strada giusta quanto meno per provarci.

È quello che deve aver pensato Vittorio Cecchi Gori nell’estate del 1998. Lui che era sempre stato un presidente dalle decisioni tanto forti quanto spesso assurde e che era decisamente più propenso ad ascoltare il suo cuore ed il suo istinto, piuttosto che i suoi consiglieri, dopo alcune stagioni positive che erano servite anche per cancellare l’onta della scellerata retrocessione di qualche anno prima, si propose un piano ambizioso: provare a fare della Fiorentina una squadra da titolo.

La rosa gigliata poteva già contare su giocatori di valore assoluto come Toldo, Batistuta, Rui Costa ed Edmundo (solo per citarne alcuni), ma mancava ancora quel qualcosa che potesse consentire un ultimo salto di qualità. La prima mossa fu quella di affidare la squadra ad un allenatore vincente e la scelta fu di quelle quasi inimmaginabili. Ricadde infatti su Giovanni Trapattoni, ovvero un tecnico dalla bacheca chilometrica, ma che a Firenze era sinonimo di juventinità. Pare che fu lo stesso Trap, che era reduce da un’avventura in Germania al Bayern, a spiegare al suo futuro presidente che un suo approdo in riva all’Arno avrebbe potuto far arrabbiare una tifoseria che non ha nel bianco e nel nero i due colori propriamente preferiti, ma la scommessa era di quelle così belle che valeva la pena di rischiare.

Le scelte successive furono meno clamorose, ma tutte estremamente mirate. La difesa venne rafforzata con Tomas Repka, un mastino ceco che anni prima aveva fatto tremendamente soffrire Batistuta in una sfida europea contro lo Sparta Praga. Per migliorare decisamente l’out di destra si guardò ancora in casa Juve e si riuscì a chiudere per Moreno Torricelli , mentre per quello opposto si andò decisi su Jorg Heinrich , un esterno che aveva fatto intravedere cose eccellenti al Borussia Dortmund. Per l’attacco si poteva fare effettivamente poco, visto che migliorare un il tridente Rui Costa-Batistuta-Edmundo era una cosa praticamente impossibile, mentre qualcosa si poteva apportare a centrocampo, un reparto al quale mancava quell’elemento dalla grande esperienza ad alti livelli.

L’uomo giusto venne identificato in Guillermo Amor , non certamente un giocatore qualunque. Aveva già 32 anni quando finì nel mirino dei dirigenti gigliati , ma aveva alle spalle una carriera tale che non lo si poteva non considerare un potenziale rinforzo di valore assoluto. Il centrocampista spagnolo, oltre ad un curriculum pauroso, portava in dote anche molto di più: intelligenza tattica, duttilità e qualità straordinarie.

In una squadra che sognava quella parola che da anni a Firenze era diventata impossibile anche solo pronunciare, aveva le carte in regola per essere l’allenatore in campo, la naturale estensione sul terreno di gioco di Giovanni Trapattoni, l’elemento capace di dettare i tempi e da imporsi come guida nelle situazioni più complicate.

Quando appose la firma sul biennale con opzione per il terzo anno che lo legava alla Fiorentina, lo fece sapendo che per lui stava per aprirsi una nuova fase di una vita fin lì colorata solo di blaugrana. Era arrivato al Barcellona da bambino nel 1980 ed era stato tra i ragazzi della prima generazione de La Masia . Il mitico settore giovanile del club catalano era nato anche con lui, il ‘ Niño ’ (questo il soprannome che gli diedero) dal talento fuori dal comune.

A Barcellona si accorsero fin da subito che era un ragazzo speciale e fu anche per questo motivo che il 24 settembre 1982 gli venne riservato un momento unico. Oriol Tort, l’anima delle giovanili del Barcellona e del progetto de La Masia , gli dice di dirigersi al Miniestadi , l’impianto che il club ha deciso di far erigere per dare una casa alla squadra riserve e a tutte le compagini giovanili. È il giorno dell’inaugurazione dello stadio ed Amor, a 14 anni, si ritrova catapultato nello spogliatoio al fianco dei suoi grandi idoli: Schuster e Maradona .

Il primo è il modello di giocatore al quale cercherà di ispirarsi, il secondo è semplicemente il più grande fuoriclasse del pianeta. Nel corso della partita organizzata per celebrare l’apertura dell’impianto, ad Amor verrà concesso proprio l’onore di sostituire Maradona . Si tratta di un gesto simbolico, del passaggio del testimone dal più forte di tutti ad un ragazzino che rappresenta il futuro del club. La sua gara durerà solo una manciata di minuti, visto che poi verrà richiamato in panchina, ma il primo momento magico di quella che sarà una carriera incredibile è stato vissuto.

“Fu bellissimo, il massimo. Maradona era il mio mito, era il giocatore che tutti noi ragazzi volevamo diventare. È stato un peccato che la sua parentesi al Barcellona sia durata poco, ma quello resta un ricordo che porterò con me per tutta la vita”.

Il passaggio da La Masia alla prima squadra non rappresenta un passo breve, ma Amor viene individuato tra i ragazzi che possono farcela. Fa tutta la trafila, gioca anche per la squadra B ed infine, nel 1988, arriva il grande salto. Il nuovo tecnico del Barcellona, Johan Cruijff , intravede in lui il giusto ingranaggio per il suo progetto tattico. Lo sistema nel cuore del centrocampo e non lo toglierà più. Diventa un elemento imprescindibile per quello che verrà ricordato come il Dream Team e nel corso degli anni compirà quel percorso che lo porterà a passare da talento a certezza, fino a bandiera e poi leggenda.

Guillermo Amor BarcelonaGetty

C’è tanto di Amor nel Barcellona di Cruijff, ovvero in quella che è semplicemente una delle compagini più forti di ogni tempo. Intanto le annate scivolano via tra trionfi sempre più importanti, il tutto fino al 20 maggio 1992 . Il Barça è universalmente riconosciuto come uno dei club più importanti del pianeta, ma non ha mai messo la Coppa dei Campioni in bacheca e la cosa rappresenta più di un semplice cruccio. Quando il signor Schmidhuber alle ore 19:15 decreta quindi l’inizio della finale contro la Sampdoria di quella che pochi mesi più tardi diventerà la Champions League, l’obiettivo è uno solo: salire sul tetto d’Europa.

Amor ha lavorato tutta la vita per quel momento, ma una squalifica lo costringerà ad andare a Wembley da semplice spettatore.

“Dobbiamo comunque sentirci fortunati. Avevamo sette giocatori a rischio squalifica e alla fine solo io non prenderò parte alla finale. Per come sono fatto non sarei felice se ci fosse un altro compagno al posto mio. Va bene così, quando vado in campo non penso ai cartellini, se devo entrare, entro. Vivrò la sfida con la sciarpa al collo”.

Il Barcellona alla fine riuscirà a sfatare il tabù Coppa Campioni e quel trofeo rappresenterà il giusto riconoscimento per una delle generazioni di giocatori più forti della sua storia.

Amor resterà cardine della compagine blaugrana per tutta l’era Cruijff e risulterà un elemento importante successivamente anche per Carles Rexach e Bobby Robson . Sembra esserci tutto per chiudere la sua carriera lì dove era iniziata, ma le cose cambieranno con l’approdo in panchina di Louis Van Gaal . Il tecnico olandese, nel 1998, decide che il centrocampista non rientra più nel suo progetto e che quindi la sua avventura nel Barça è da considerarsi conclusa.

“Non mi vergogno a dirlo, quel giorno ho pianto. Io ero cresciuto nel Barcellona, la società mi aveva anche pagato gli studi, avevo vissuto annate meravigliose. È andata così, la vita continua”.

Quello che approda a parametro zero alla Fiorentina è quindi un giocatore di fama internazionale, con una grande voglia di ripartire e che porta in dote un primato speciale: con 17 trofei messi in bacheca è il blaugrana più titolato di sempre (Xavi supererà il suo record solo nel 2011).

La storia poi dirà che in quella Viola così ambiziosa non riuscirà mai a vestire i panni del protagonista. Faticherà ad adattarsi ai ritmi del calcio italiano e per due stagioni sarà l’ombra del campione che era stato in Spagna. Trapattoni lo stima profondamente e spesso parlerà di lui alla squadra come di un esempio da seguire, ma gli riserverà un ruolo da comprimario e tanta panchina.

Sarà ancora una volta Barcellona a riservare ad Amor la più grande gioia da giocatore della Fiorentina. È il 22 settembre 1999 quando i gigliati scendono in campo al Camp Nou per una sfida di Champions League. Al 77’ il risultato è sul 4-1 per i padroni di casa quando il Trap decide di risparmiare qualche minuto a Batistuta. Il tecnico getta quindi nella mischia proprio il centrocampista spagnolo, al quale verrà riservato un saluto da brividi. Ogni singola persona accorsa allo stadio per assistere alla partita si alzerà in piedi per una standing ovation e ogni suo tocco di palla sarà accompagnato da applausi scroscianti. Il ‘Niño’ era tornato a casa.

Amor lascerà la Fiorentina dopo due annate condite da 24 presenze in Serie A, 3 in Coppa UEFA, 8 in Coppa Italia e 2 in Champions League . Lo Scudetto non lo vincerà mai e lo vedrà anzi scappare via tra un infortunio di Batistuta ed una fuga in Brasile di un Edmundo non disposto a rinunciare al Carnevale.

La sua carriera proseguirà al Villarreal (dove per due stagioni ritroverà il gusto di sentirsi protagonista) e al Livingston , squadra scozzese che lascerà dopo appena tre gare mettendo fine ad una carriera gloriosa.

Il destino gli riserverà tuttavia un’ultima partita, quella più importante. È il 16 dicembre 2007 quando alle 2:30 viene coinvolto in un terribile incidente stradale alle porte di Barcellona. Era di ritorno da Valencia, dove aveva commentato una partita, e si addormentò al volante della sua auto. Le sue condizioni risultarono fin da subito gravissime: una frattura al bacino, un ematoma polmonare ed un’emorragia addominale che richiese un intervento immediato.

“Viviamo in un mondo nel quale si va sempre a mille all’ora. A volte dovremmo fermarci e vivere con maggiore calma. Ti chiedi perché certe cose capitino proprio a te, ma poi ti rendi conto che se invece di proseguire in auto ti fermi per dormire da qualche parte, non ti succede niente”.

Amor si riprenderà completamente e qualche anno dopo tornerà nel suo Barcellona in veste di dirigente. Anche nei giorni più difficili della sua vita, avrà al suo fianco Cruijff , l’allenatore che in lui aveva visto qualcosa di speciale e che gli consentì di realizzare il suo sogno più grande.

“Non ero cosciente, ma mi hanno detto che è venuto qui in ospedale per me. E’ stato il mio tecnico per otto anni, un periodo meraviglioso al Barcellona. È passato tanto tempo e apprezzo moltissimo il fatto che si preoccupi ancora per me”.

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