Quel 24 febbraio del 2002 il 21enne Enzo Maresca, che oggi è appena diventato il nuovo allenatore del Chelsea, non poteva pensare che un gesto così folle, impulsivo e irrazionale avrebbe segnato di fatto tutta la sua carriera. Che avrebbe per sempre inciso il suo nome nella storia del Derby della Mole, pur avendone giocato soltanto uno.
14 minuti, per l'esattezza, poco meno di un quarto d'ora per diventare ineluttabilmente protagonista di una delle rivalità più sentite del calcio italiano e mondiale: quella tra la Juventus e il Torino. Nel derby di Maresca, ormai possiamo chiamarlo così, il Torino era avanti 2-1 e stava assaporando una vittoria che sarebbe valsa ovviamente una stagione. Al minuto 89, tuttavia, la palla è arrivata sulla testa del protagonista meno atteso. Sulla testa di Maresca.
La sua incornata - è proprio il caso di dirlo - non si è limitata al gesto tecnico. La sua incornata è stata persino gestuale, tramutata in un'esultanza che se ai tempi ci fossero stati già ai social sarebbe finita ovunque. Sarebbe diventata un qualcosa di ingestibile. Maresca ha mimato il gesto delle 'corna', correndo verso la panchina del Torino e scimmiottando Marco Ferrante, che di quella esultanza aveva fatto il suo marchio di fabbrica, esibito in occasione del goal dell'1-1.
Inutile dire che si è scatenato il putiferio, tanto che al fischio finale Maresca è stato costretto a scappare negli spogliatoi per evitare ripercussioni, anche perché accusato di aver sputato a Comotto durante la partita.
"Per quanto riguarda le corna Maresca - ha dichiarato il presidente granata Romero - ha dimostrato di non avere fantasia e pensieri propri, accontentandosi di imitare chi è più forte di lui. L'unico pensiero proprio è stato quello di sputare e in questo possiamo garantire che noi del Toro non lo imiteremo mai".
Ma la cosa più bella è stato il botta e risposta tra Ciro Ferrara e Luca Bucci, rispettivamente difensore della Juventus e portiere del Torino.
"Enzo voleva fare l'esultanza della zebra ma non sa come si fa".
"Andiamoci piano. Le zebre non possono diventare tori".
Il toro, tuttavia, è stato un simbolo ricorrente nella carriera di Maresca. Perché dopo una serie di prestiti, tra cui uno a Piacenza, dove ha dimostrato tutto il suo talento, la svolta è arrivata con l'addio definitivo alla Juventus e il trasferimento al Siviglia, nella città della Plaza de Toros, dove la Corrida è un'istituzione, qualcosa di sacro.
Nonostante ciò, di esultanze con le corna non se ne sono più viste. A Siviglia l'immaturità del giovane Maresca ha lasciato spazio a una maturazione totale come calciatore, al punto da renderlo il faro del centrocampo, l'uomo copertina della prima storica Europa League vinta dagli andalusi, con una doppietta in finale rifilata al Middlesbrough di 'Big Mac' Maccarone.
La prima stagione di Maresca in Spagna è stata qualcosa di quasi impossibile da prevedere. E quella dopo è iniziata con un goal in un'altra finale, in Supercoppa Europea, nel clamoroso 3-0 rifilato al Barcellona. Nel frattempo l'Italia aveva appena vinto i Mondiali e si avviava verso una lenta ricostruzione, senza che Maresca ne abbia mai fatto minimamente parte. Mai una chiamata, mai una convocazione. Né da Lippi, che lo aveva tra l'altro lanciato e valorizzato alla Juventus, né tantomeno da Donadoni. Maresca e l'azzurro non si sono mai incontrati, nonostante il suo rendimento al Siviglia lo collocasse tra i migliori centrocampisti italiani.
Sembra assurdo, pensando alle convocazioni degli ultimi anni, che uno come Maresca sia stato completamente ignorato. Nemmeno dopo che la sua bacheca si è riempita con un'altra Europa League, la seconda consecutiva, vinta ancora una volta da protagonista. Ma anche con una Coppa del Re e una Supercoppa spagnola.
"Andare al Siviglia è stata la mia fortuna. Il mio più grande errore è stato invece tornare in Italia".
Maresca lo ha fatto nel 2013, dopo un'esperienza in Grecia all'Olympiakos e un'altra in Andalusia, questa volta al Malaga, dove ha iniziato parallelamente a studiare da allenatore, imparando da Manuel Pellegrini. Il 'fil rouge' del toro stava per riportarlo lì dove tutto era iniziato, ma dall'altra parte del fiume. Stava per firmare proprio col Torino, ma i tifosi granata non potevano e non volevano dimenticare quelle 'corna'. Niente da fare, lui no.
Ci ha provato, Maresca, a prendersi le sue soddisfazioni anche in Italia, ma era come se fosse rimasto intrappolato in un 'loop' temporale, dove tutti continuavano a vedere le sue corna nel derby e nulla più. Alla Sampdoria ha finito per allenarsi da separato in casa, mentre al Palermo - dopo una promozione in Serie A - il compianto presidente Zamparini gli ha dato dell'ignorante per aver criticato l'esonero di Iachini. La sua carriera si è chiusa a Verona, in Serie B, anche fin troppo silenziosamente.
Tanto per intenderci, Enzo Maresca, per chi non se lo ricordasse o per chi non lo avesse mai visto giocare, era capace di fare robe del genere.
Intelligente, tecnico, a tratti spettacolare. A Siviglia lo hanno apprezzato in tutta la sua essenza. In Inghilterra - già in un'altra veste - ha lavorato con Pep Guardiola, ha riportato il Leicester in Premier League, si è guadagnato la chiamata del Chelsea. In Italia, e con l'Italia, non ha avuto la stessa fortuna.