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Angelo Di Livio: il 'Soldatino' di Juventus e Nazionale

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In campo dava l'anima e macinava chilometri su chilometri sulla fascia, preferibilmente quella destra. Baricentro basso e gran controllo di palla, Angelo Di Livio era un avversario scomodo per i terzini avversari, spesso disorientati dalle sue finte, e sapeva fornire assist preziosi per i suoi compagni.

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Pedina imprescindibile del primo ciclo vincente di Marcello Lippi con la Juventus, è arrivato tardi nei grandi palcoscenici dopo le Giovanili nella Roma e tanta gavetta. Dopo aver vinto tutto con la maglia bianconera, ha chiuso la carriera a 38 anni vestendo per 6 stagioni quella viola della Fiorentina. In Nazionale ha disputato due Europei e due Campionati del Mondo.

Per il suo stile di corsa, che lo porta a muovere freneticamente le sue corte braccia lungo i fianchi, tanto da somigliare ad un soldato che marcia, si guadagna il soprannome di 'Soldatino', con il quale sarà universalmente conosciuto.

"Me lo diede Roberto Baggio per il mio modo di correre, spalle strette e braccia distese lungo i fianchi. - rivelerà nel 2012 al 'Guerin Sportivo' - Un giorno, durante un allenamento, si volta verso di me e mi fa: 'Sembri un soldatino'. Da lì è nato il nomignolo, al quale, lo dico con totale sincerità, sono molto affezionato".

LE GIOVANILI DELLA ROMA E LA GAVETTA

Nato a Roma il 26 luglio 1966, Angelo Di Livio cresce nella capitale e inizia a giocare a calcio nella squadra del suo quartiere, la Polisportiva Bufalotta. 

"Vengo da una famiglia normale, - racconterà - mio padre Amerigo faceva l'operaio e mia madre Antonia era casalinga, mentre mio fratello faceva il benzinaio. Vivevamo a Roma, quartiere Bufalotta, si faceva un po’ fatica ad arrivare a fine mese. Io ho smesso di studiare dopo la terza media e ho iniziato a lavorare in un negozio di casalinghi, poi in uno di scarpe. Mattina lavoro, pomeriggio allenamenti. Ho imparato il senso del sacrificio e il gusto per la conquista, mentre mi rode un po’ non aver studiato di più".

A quindici anni entra nel Settore giovanile della Roma, la squadra dove gioca il suo mito calcistico, Bruno Conti. Fa tutta la trafila e quando arriva nella Primavera, allenata da Romeo Benetti, vince nel 1983 il Torneo di Viareggio e nel 1983/84 lo Scudetto di categoria. In quella squadra, oltre a Di Livio, giocano altri talenti di cui si sentirà parlare: Giuseppe Giannini, Stefano Desideri, Fabrizio Di Mauro, Stefano Impallomeni e Paolo Baldieri.

Il giovane Di Livio ha corsa, si sacrifica per la squadra e una buona tecnica di base. Sul piano fisico non convince però appieno i dirigenti giallorossi, e la Lupa, dopo qualche panchina collezionata ai tempi di Eriksson, decide di fargli fare esperienza nelle categorie minori. A 19 anni, nel 1985/86 passa così a titolo temporaneo alla Reggiana, in Serie C1, debuttando fra i professionisti (13 presenze), l'anno successivo va al Sud, disputando un bel campionato con la Nocerina (31 presenze e un goal).

Nel 1987/88 passa in comproprietà al Perugia, in Serie C2, e assieme ad un altro giovane di belle speranze, Fabrizio Ravanelli, trascina gli umbri in C1, vincendo il campionato. Mette insieme 34 presenze e 3 goal, e spera che la Roma gli dia la possibilità di giocare in Serie A. Non sarà così: il Perugia riscatta il suo cartellino e Di Livio è confermato con gli umbri in Serie C1, totalizzando 33 presenze e una rete. 

Roma Primavera 1983/84Wikipedia

IL PADOVA E L'AMICIZIA CON DEL PIERO

Una prima importante svolta nella carriera di Di Livio arriva nella stagione 1989/90. L'ala romana dopo i primi mesi ancora in forza al Perugia, nel mercato autunnale approda al Padova, in Serie B. Milita con i biancoscudati per oltre 3 anni e mezzo, fino al 1993, e totalizza 13 goal in 138 gare. I veneti lottano per la promozione in Serie A, e pur non ottenendola, ci vanno molto vicini.

È in questi anni che Di Livio conosce un giovane talento emergente: il suo nome è Alessandro Del Piero, e i due diventeranno amici e giocheranno poi insieme anche nella Juventus.

"Alex era un fenomeno, soprattutto un bravo ragazzino. - sottolinea Di Livio - Educato, umile, sereno. Nelle partitelle del giovedì, quelle in cui Alex giocava con la Primavera, i dirigenti ci dicevano di andarci piano, evitando entrate dure: Del Piero era un patrimonio. Non era semplice, perché lui ci faceva veramente diventare matti con le sue invenzioni e i suoi dribbling. Di stecche ne ha prese (ride, ndr)".

"Lui non aveva la macchina, spesso lo portavo al pensionato. Nonostante la giovane età, era molto più avanti dei suoi coetanei. Ci siamo subito trovati, anche se il rapporto si è consolidato a Torino".

Proprio assieme a Del Piero, per Di Livio, che ormai nell'estate 1993 compie 27 anni e inizia a pensare di aver perso il treno giusto per il grande calcio, arriva la chiamata inattesa della Juventus.

"Tutto è nato dopo l’amichevole Padova-Juventus dell’agosto 1993, - racconterà - una partita legata al trasferimento di Alex in bianconero. Il motore dell’operazione fu Piero Aggradi, il D.s. del Padova, amico di Boniperti, con cui aveva giocato negli anni Cinquanta nella Juve. Devo molto a lui: mi voleva bene, fin dai tempi comuni di Perugia, esperienza condivisa con Colautti e Sandreani, poi ritrovati tutti al Padova".

"Sapeva che Trapattoni era alla ricerca di un’ala destra. Allora disse a Boniperti e al Trap: 'Visto che ci siete, date un’occhiata a Di Livio'. Aggradi mi teneva sempre sulla corda. Quella volta mi disse chi c’era in tribuna a vedermi. Io ho giocato con naturalezza, senza strafare. Feci una buona gara duellando con Andrea Fortunato che poi, quando sono andato a Torino, ho avuto come compagno di camera. Un ragazzo d’oro".

Alessandro Del Piero Angelo Di Livio Padova Serie BWikipedia

DI LIVIO ALLA JUVE: TROFEI, ANEDDOTI, RICORDI

Accade così che Di Livio, che ammetterà sempre di continuare ad essere romanista dentro, arrivi nel calcio che conta grazie alla Juventus e a Giovanni Trapattoni. 

"Successe tutto molto in fretta. - ricorderà ai microfoni del 'Guerin Sportivo' - A Trapattoni ero piaciuto, così pochi giorni dopo l’amichevole andai a Torino per parlare con Boniperti. Ricordo il viaggio Padova-Torino: per me fu una passeggiata di salute. Con me c’era Oscar Damiani, il mio procuratore. Boniperti ci accolse nel suo ufficio e la prima cosa che mi disse fu: 'Ricordati che se arriviamo secondi, abbiamo perso'. Poi mi mandò subito dal barbiere. Effettivamente avevo dei capelli scandalosi, corti davanti e lunghi dietro, un tamarro stile Duran Duran. Dopo il taglio, tornai nel suo ufficio per firmare il contratto".

Anche se inizialmente, a livello economico, non ci furono significativi miglioramenti, per 'Soldatino' si aprono le porte della Serie A.

"All'inizio mi confermarono lo stipendio che avevo al Padova. A gennaio mi fu ritoccato e allungato, ma niente di che. Il salto di qualità c’è stato solo dopo le prime apparizioni con la Nazionale".

L'esordio in Serie A, per uno strano gioco del destino, è contro la Roma all'Olimpico, il 5 settembre 1993: vincono i giallorossi 2-1. La prima stagione a Torino è interlocutoria, per il 'Soldatino' bianconero non arrivano titoli. La stagione è però importante per il suo ambientamento in una nuova realtà e si chiude per lui con 37 presenze totali e un goal in Coppa Italia contro il Venezia. 

"I primi mesi non sono stati facili. - rivela - Mi sentivo molto bloccato, la testa era piena di dubbi. Sono sempre stato un tipo emotivo, la notte prima delle partite facevo fatica a dormire. Durante l’intervallo capitava di fumare di nascosto una sigaretta per smorzare la tensione. L’anno prima al mio posto c’era un big come Di Canio, adesso c’ero io, esordiente in A. Mi suonava male questo cambio".

A un certo punto, tuttavia, Di Livio inizia a fornire prestazioni di livello, e questo gli consente di affermarsi come una delle migliori ale destre del calcio italiano. 

"È successo che Trapattoni mi ha tolto i freni. - spiega - Aveva bisogno di un’ala desta che coprisse tutta la fascia e che sapesse sia attaccare che difendere. Cosa che Di Canio non gli garantiva, per esempio. Mi sono tolto la paura e, anche grazie ai consigli di Sergio Brio (il vice del Trap quell’anno, ndr) e con l’aiuto dei nuovi compagni, ho preso il volo. Dopo la prima gara non sono più uscito di squadra".

"Devo molto a Trapattoni. Ha rischiato per me, si è preso una bella responsabilità nell’affidarsi a uno sconosciuto che veniva dalla B". 

Il vero balzo in avanti, però, Di Livio lo compie nella stagione 1994/95 con l'approdo alla guida dei bianconeri di Marcello Lippi.

"L’impatto fu positivo. - assicura - Non c’erano poi così tante differenze di impostazione. Tutti e due lavoravano parecchio sulla testa dei giocatori. Diciamo che Lippi era molto bravo a preparare le partite. Cosi come sapeva leggere benissimo la gara e modificare sistema di gioco e uomini. È stato il vero artefice del giocattolo bianconero che ha dominato in Italia e nel mondo".

Con Lippi allenatore Di Livio, che oltre a giocare da ala destra, viene talvolta impiegato anche sulla fascia mancina e persino nel ruolo di terzino, in virtù della sua attitudine tattica, vince tutto, togliendosi le soddisfazioni che fino a quel momento la carriera non gli aveva regalato: 3 Scudetti (1994/95, 1996/97 e 1997/98), una Coppa Italia (1994/95), 2 Supercoppe italiane (1995 e 1997) in Italia, cui si aggiungono la Champions League 1995/96 (5-3 ai rigori), la Supercoppa europea 1996 e nello stesso anno la Coppa Intercontinentale conquistata battendo 1-0 in finale il River Plate.

angelo di livio juventus turin champions league 12071995Getty Images

Alla base dei grandi risultati c'è una cura scrupolosa della preparazione fisica.

"Non avevo mai lavorato tanto prima di Ventrone. - rivelerà 'Soldatino' - Pesi, corsa, palestra, addominali: un massacro. Di tutte le diavolerie inventate, ricorderò sempre la rampa fatta montare sulla pista d’atletica del Comunale, dove ci allenavamo. Due tavole, a capanna: salita e discesa. Le ripetute si facevano lì. Una fatica pazzesca".

"La cosa fantastica è che fisicamente eravamo straripanti. Andavo in campo e avevo sempre 'la gamba'. Non mi era mai successo prima. Aiutini? Non scherziamo. Si lavorava tantissimo durante la settimana. In campo e in palestra. Eravamo una squadra composta da grandi professionisti, con voglia di vincere. E se vinci, ti alleni più volentieri e senti meno la fatica".

Ma Di Livio si perfeziona anche sul piano tecnico, diventando un maestro della 'frenata', il gesto tecnico che aveva appreso osservando da giovane il suo idolo Bruno Conti.

"Era la mia arma, carpita al mio idolo Bruno Conti. Tutti la conoscevano, eppure in pochi riuscivano ad arginarmi. - dirà - L’episodio più bello fu con Panucci che, prima di Juventus-Milan del 30 ottobre 1994, mi dice: 'Non la fare quella finta, tanto io non ci casco'. Io la feci, lui abboccò e Baggio segnò di testa il goal partita sul mio cross. A fine gara, mi avvicino e gli dico: 'Meno male che c’erano i cartelloni pubblicitari, sennò chissà dove finivi...".

In 6 anni con la Juventus Di Livio colleziona 269 presenze e 6 reti, fra le quali spiccano l'unica realizzata in Champions League contro la Steaua Bucarest e il tiro a giro nella stagione 1996/97 contro il Vicenza.

"Ne ho fatti pochi, ma tutti di qualità e legati ad alcuni aneddoti. - sottolinea - Per esempio quello contro la Steaua, il mio primo e unico in Champions, dette il via all’esultanza in cerchio, tutti in ginocchio. Al pallonetto goal al Vicenza è invece legata una battuta dell’avvocato Agnelli, che disse che in realtà avrei voluto crossare".

Fra le sue prestazioni più belle, invece, quella in finale di Champions League contro l'Ajax e successivamente la gara di Tokyo con il River Plate.

"Pochi giorni prima della partita di Roma, Lippi ci riunisce per dare la formazione e fa al gruppo: 'Di Livio sta meglio di tutti, ma per scelta tecnica non gioca'. Non l’ho capita 'sta cosa che sto meglio di tutti, ma non gioco. Comunque sia, il nostro motto era: 'Chi è in campo, gioca. Chi è fuori, fa il tifo'. Così è stato. Poi però Davids stava crescendo in mezzo al campo. Conte era uscito per infortunio e il mister mi buttò dentro al posto di Paulo Sousa che faceva fatica. Ne avevo per due quella sera, nel mio stadio. Vincere la Champions è stato uno sfogo, una liberazione. Durante i rigori ero abbracciato a Torricelli e ci dicevamo: 'Mamma mia com’è piccola la porta! E se dovesse toccare a noi?'. Alla fine mi è partita la brocca. In mutande, urlavo e piangevo. Felicissimo come un bambino".

"A Tokyo - prosegue Di Livio - ho giocato la mia partita perfetta. Feci veramente bene. Quella volta Lippi non ebbe dubbi e mi schierò titolare. Avevamo rivoluzionato la squadra. Non c’erano più Vialli e Ravanelli. Al loro posto Bokšić, un carrarmato pazzesco, e Zinedine Zidane. La notte prima ho faticato a chiudere occhio, mentre il mio compagno di camera, Del Piero, dormiva beatamente, russacchiando pure. I primi tempi era lui che se ne stava sveglio tra telefonini e Playstation. Era un bel cacacazzi. Io non vedevo l’ora di dormire, e lui a divertirsi. In Giappone, invece, ci scambiammo i ruoli".

"Alla fine per me fu una partita eccezionale, posso dire una delle più belle giocate con la Juve, insieme al 6-1 contro il Milan a San Siro in campionato. E se Bokšić non mi chiama la palla, faccio anche goal. Quella sera molti di noi erano sdraiati per terra. Eravamo al quarantesimo piano dell’albergo, ma quella notte credo che non abbia dormito nessuno dal macello che facemmo. Poi, a un certo punto, crollammo. Ed io e Alex andammo a dormire con la coppa".

Angelo Di Livio Juventus 1999Getty

Lippi, anche impiengandolo in più ruoli, riesce a sfruttarne al meglio le qualità.

"La generosità è sempre stata una mia prerogativa. Sono stato sostituito spesso, perché arrivavo a venti minuti dalla fine con la spia dell’olio accesa. Quanto alla duttilità, io credo che la voglia di adattarsi ti viene dalla tua storia. Marcello Lippi è stato bravo a capire questo di me e a darmi fiducia. Un grande. Il suo difetto? Era permaloso, ma sapeva perdonare. Ricordo una sostituzione contro la Fiorentina. Esco e lo mando platealmente a quel paese. Ero furibondo. Il martedì successivo, pentito, busso alla porta del suo spogliatoio per scusarmi. Lui apre, e prima ancora che io parli, mi offre il 'cinque' con la mano, Ed è finita così".

Nello spogliatoio Di Livio è anche l'uomo degli scherzi ai compagni.

"Oltre ai classici gavettoni, - racconta - ci sono le scarpe incollate alla tavoletta di legno, quella che una volta c’era negli spogliatoi, in alto. A qualcuno spostavo la macchina dal parcheggio, ad altri la facevo trovare sporca di fango. Poi c’era tutta la gamma dei tagli: dalle cravatte alle mutande, specie quelle orribili che qualcuno riusciva a portare. Uno degli scherzi più belli lo feci a Ferrara, quando gli tagliai le punte dei calzini. Non si accorse di nulla, dovevi vedere la faccia che fece quando arrivò a infilarseli".

Sono quelli anche gli anni della 'Triade' Moggi-Giraudo-Bettega.

"Bettega era l’uomo Juve, il primo tifoso. Con Giraudo scommettevamo bottiglie di champagne sui miei goal, con un accorgimento: lui pagava tre volte la posta. Moggi era il punto di riferimento. Un uomo scaltro e abile che ha dato lavoro a tanti. Ha sbagliato, sicuramente, e ha pagato, ma era in buona compagnia".

"Ricordo che i vestiti del Direttore erano inguardabili. Gli dicevamo: 'Ti sei vestito al buio stamani?'. Oppure gli consigliavamo l’acquisto di qualche rivista di moda per limitare i danni. Ma con scarsi successi. Con lui, comunque, ho discusso molto, specie per l’addio nel 1999".

L'arrivo di Ancelotti e la fine del primo ciclo Lippi segna anche la rottura del rapporto fra 'Soldatino' Di Livio e la Juventus.

"Mi aveva promesso la conferma, poi iniziò a dirmi che c’erano alcune squadre che mi volevano. Tutto questo mentre si parlava degli arrivi di Bachini e Zambrotta. E chi sono, dissi io? Già un’altra volta avevo ingoiato amaro, quando arrivò Lombardo. Ma poi la storia lì era stata diversa. Stavolta era il chiaro segnale che me ne dovevo andare. La presi male, per fortuna scelsi Firenze, fortemente voluto dal Trap".

Angelo Di Livio Italy 06041997Getty Images

L'ESPERIENZA IN NAZIONALE

Le prestazioni e i risultati brillanti con la Juventus portano Di Livio a giocare anche con l'Italia. 'Soldatino' debutta in azzurro all'età di 29 anni durante l'era Sacchi il 6 settembre 1995 nella gara di qualificazione ad Euro '96 contro la Slovenia (vittoria per 1-0). Per le sue qualità e l'attitudine al sacrificio sarà preso in considerazione da altri 4 Ct.: Cesare Maldini, Zoff e naturalmente il suo mentore Trapattoni. 

Disputa Euro '96 ed Euro 2000, senza giocare la finale persa contro la Francia, e i Mondiali di Francia '98 e Corea e Giappone 2002, questi ultimi a 36 anni suonati, quando gli errori e l'arbitraggio di Byron Moreno causeranno l'eliminazione a sorpresa agli ottavi dell'Italia contro i padroni di casa coreani. 'Soldatino' non la manderà mai giù.

"Quella di Moreno - dirà a distanza di 18 anni dai fatti - è una figura che voglio cancellare dalla mia vita. In quella partita ce ne fecero di tutti i colori. Goal annullati, fuorigioco fischiati, rigori non dati, Totti espulso: è stata una cosa veramente vergognosa. Totti subisce un fallo nettissimo, l'arbitro lo prende, lo ammonisce e lo butta fuori. Questo ti fa capire che c'è del marcio sotto. Dopo di noi c'è capitata anche la Spagna. Incontro la gente che mi dice: 'Perchè non gli hai dato una carezza?'. Avevo paura della radiazione ma ci ho pensato parecchie volte. Ero arrivato a 36 anni, potevo permettermelo".

La gara di Daejeon, vinta 2-1 ai supplementari dalla Corea del Sud, sarà anche l'ultima delle sue 40 presenze in azzurro.

LA FIORENTINA E IL DISPETTO A MOGGI

La Juventus lo mette sul mercato nell'estate 1999, e Di Livio saluta Torino malvolentieri e si accorda con la Fiorentina. 

"La storia con la Juve purtroppo non è finita come avrei voluto, - commenta dopo il passaggio in viola - credevo dopo tanti anni di meritare maggior rispetto. Ma io sono abituato a guardare sempre avantie ora ho in testa solo la Fiorentina".

"Quando si viene scaricati dal proprio club - continua - significa che non servi più. Questa è stata la prima cosa che ho pensato quando ho saputo che la Juventus mi aveva messo sul mercato rifiutando di allungarmi il contratto. Non sta ame dire se ha sbagliato rinunciando a Torricelli o al sottoscritto, di certo doveva comportarsi in modo diverso con quei giocatori che le hanno dato tanto".

Angelo Di LivioGetty Images

'Soldatino' se la lega al dito e si prende la sua piccola rivincita.

"A Moggi feci uno scherzetto - racconterà nel 2012 al 'Guerin Sportivo' - quando spostai la barriera e feci segnare Chiesa durante un Fiorentina-Juventus da avversario. A fine partita mi fece: 'Questa non ce la dovevi fare'. Ed io: 'Ma quando lo facevo prima, non ti lamentavi, però...' ".

Con la Fiorentina Di Livio disputa tre stagioni ad alto livello, vincendo anche la seconda Coppa Italia della sua carriera nel 2001, battendo in finale il Parma di Ulivieri (0-1 e 1-1). 'Soldatino' diventa capitano ma non può evitare la retrocessione in Serie B. Nel 2002 la società fallisce e deve ripartire dalla Serie C2 come Florentia Viola. 

Di Livio resta e spende tutto ciò che gli resta nelle gambe e nei polmoni per riportare in alto i viola, anche se gli anni iniziano a farsi sentire anche per lui. La Florentia vince il torneo e torna direttamente in Serie B per meriti sportivi. Qui, riacquistata la denominazione di Fiorentina, è promossa in Serie A dopo aver vinto lo spareggio interdivisionale con il Perugia.

Nel massimo campionato il 'Soldatino' del calcio italiano disputa la sua ultima stagione agonistica. Quando il club non gli rinnova il contratto, sceglie infatti di ritirarsi prima di compiere 39 anni, dopo aver totalizzato 187 presenze e 8 reti con la maglia viola.

IL POST CARRIERA

Sposato, Di Livio è padre di due figli, uno dei quali, Lorenzo, che gli somiglia tanto, ha intrapreso a sua volta la carriera da calciatore, che oggi milita nel Latina e che ha debuttato anche in Serie A con la maglia della Roma. Il sogno che papà Angelo non ha potuto realizzare.

Dopo il suo ritiro dalle scene, 'Soldatino' ha allenato le Giovanili della Roma dal 2006 al 2008, mentre dal 2008 al 2010 ha fatto parte dello staff tecnico di Marcello Lippi nella Nazionale azzurra.

Spesso presente nei salotti televisi dei programmi sportivi, ha fatto il commentatore e l'opinionista per Rai, Sky e Gazzetta tv oltre che per alcune emittenti locali romane. Ha anche recitato, interpretando se stesso, nel film 'La mia squadra del cuore' di Domenico Costanzo e Giuseppe Ferlito.

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