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Alfredo Di Stefano, la 'Saeta Rubia' leggenda del River Plate e del Grande Real

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Classe sopraffina, personalità unica e velocità impressionante, in campo sapeva fare tutto, anche le cose più difficili, con apparente semplicità e altissima qualità. Per questo molti di quelli che lo hanno visto giocare, non hanno dubbi: il migliore di sempre non è stato Pelè, né Maradona, il miglior calciatore di ogni tempo è stato lui: Alfredo Di Stefano, la 'Saeta Rubia', la 'Freccia Bionda'.

Di certo è stato uno dei più forti che siano mai esistiti: ha vinto tanto, in Sudamerica e poi in Europa, in Argentina, in Colombia e in Spagna, diventando il campione dei due Mondi. Ha portato ai trionfi le squadre con cui ha militato: il River Plate in Argentina, i Millonarios in Colombia e il Real Madrid in Europa, scrivendo pagine indelebili della storia del calcio.

Nel suo smisurato palmarés, figurano 2 campionati argentini, 3 titoli colombiani, una Coppa di Colombia, 8 campionati spagnoli, una Coppa di Spagna, 2 Coppe Latine, 5 Coppe dei Campioni, nelle quali detiene il record, tuttora imbattuto, di aver segnato in 5 finali consecutive, una Coppa Intercontinentale.

A livello individuale ha vinto due volte il Pallone d'Oro, ed è stato 10 volte capocannoniere: una volta del campionato argentino, 2 del campionato colombiano, 5 della Liga spagnola, 2 della Coppa dei Campioni. Nel 1989 si aggiudicherà anche il 'Super Pallone d'Oro': una giuria, composta dai lettori di 'France Football', lo mette davanti a Cruijff, Platini e Beckenbauer. 

Il suo unico cruccio sono state le Nazionali: pur segnando molto, ha giocato poco con Argentina prima e Spagna poi, vincendo 'soltanto' una Copa America nel 1947 con la maglia dell'Albiceleste.

LE ORIGINI E I PRIMI PASSI

Alfredo Di Stefano II nasce a Buenos Aires, quartiere Barracas, il 4 luglio 1926. Il ragazzo è di fatto l'emblema del pluralismo etnico: è infatti figlio di Eulalia Laulhé Gilmont, una navarra francese biondissima per metà irlandese, e di Alfredo Di Stefano, un italo-argentino nativo di Capri. Non solo: il suo trisnonno paterno è Felicione, uno dei generali prediletti di Giuseppe Garibaldi, e la sua bisnonna paterna, Teresa, è imparentata con i Pertini.

Cresce trascorrendo molto tempo in strada, come tanti ragazzi dell'epoca, e frequenta anche il quartiere 'genovese' di La Boca. Suo padre era stato un buon difensore centrale al River Plate, ma nel 2012 a causa di un infortunio al ginocchio aveva dovuto ritirarsi. Suo zio è fidanzato con la sorella di Isola, grande portiere del River.

La sua prima squadra è quella rionale, denominata Unidos y Venceremos, ovvero 'Uniti vinceremo'. I suoi idoli sono il centravanti del Boca Juniors Francisco 'Pancho' Varallo e due giocatori del River Plate, l'esterno Peucelle e Minella, centrocampista biondissimo come lui. Inevitabilmente, i suoi amici lo ribattezzano, per somiglianza fisica e tecnica, 'El Minellita'.

Ma nel 1940 per motivi economici la famiglia Di Stefano deve trasferirsi in campagna. Alfredo aiuta il padre e deve inseguirlo di corsa assieme al fratello Tulio mentre va a lavoro nei campi con il suo carreto. Qui inizia a costruirsi il fisico che gli consentirà di diventare un campione: rafforza le gambe e si fa un fiato fuori dalla norma. Gioca, sempre con Tulio, nel Club Social y Deportivo Unió Progresista fino al 1943, quando, finalmente, la famiglia decide di tornare a Buenos Aires per trasferirsi nel quartiere Flores.

Su consiglio di un amico di famiglia che ne nota le qualità calcistiche, i genitori di Alfredo scrivono una lettera di raccomandazioni al River Plate: i Millonarios rispondono con un telegramma e fissano al ragazzo un provino sul proprio campo per entrare a far parte della squadra giovanile. Alfredo prende 4 tram e si presenta puntuale al campo, dove trova ad aspettarlo Peucelle, uno dei suoi idoli, nel frattempo diventato allenatore.

Alfredo Di Stefano River 1947Archivo

Il ragazzo ha 15 anni e lo passa brillantemente. Inizia a giocare con le Giovanili del River, allenato proprio da Peucelle, cui deve il suo imprinting calcistico.

"Ragazzino - gli diceva spesso - con che cosa si gioca il calcio? 'Con la palla', rispondeva Alfredo. E di cosa è fatta la palla? 'Di cuoio'. Ora, da dove viene questo cuoio? 'Dalla mucca'. E cosa mangia la mucca? 'L'erba'. E allora la palla sempre per terra sull'erba e giocata di prima".

Nei suoi anni di formazione al River conosce anche un altro campione che lo condizionerà non poco, il paraguayano Arsenio Erico. È il centravanti dell'Independiente, e osservandolo Alfredo apprende alcune giocate da applausi, come i colpi di tacco al volo e 'il colpo dello scorpione', colpi che poi farà propri nel proseguo della sua carriera. Lo incontra sull'autubus e lui gli parla: gli dice che sicuramente farà strada.

Essendo già famoso, i ragazzini del quartiere gli chiedono spesso di giocare con loro. Alfredo non si tira indietro. Fra i tanti che giocano con lui c'è probabilmente anche un certo Jorge Mario Bergoglio, colui che molti anni dopo sarebbe diventato Papa Francesco. Ha 10 anni di meno ma frequentano la stessa scuola e le rispettive famiglie vivono a pochi isolati di distanza. A raccontarlo sarà lo stesso campione.

"Il Papa - dirà - è probabilmente uno di quei ragazzini con i quali giocavo a calcio per strada. Organizzavamo partite tutti contro tutti, che andavano avanti finché non faceva buio. A quel tempo il più famoso ero io perché già frequentavo le giovanili del River Plate e tutti mi conoscevano. Ricordo anche di una suora che frequentava la stessa chiesa del nostro futuro Papa. Quando la palla andava a finire nel suo convento, dopo un tiro sbagliato, per restituirmela pretendeva che andassi a fare la Comunione".

L'ESORDIO CON IL RIVER E IL PRESTITO ALL'HURACÁN

L'Argentina non prende parte alla Seconda guerra Mondiale e questo le regala un periodo di grande prosperità, consentendo anche al calcio di proseguire e non fermarsi. Essere nel River negli anni Quaranta del XX secolo significava veder giocare 'La Máquina', così come era chiamata la squadra per la forza suo reparto offensivo, composto da Muñoz, Moreno, Pedernera, Labruna e Lostau, e considerato il più forte di sempre nella storia del calcio argentino. I biancorossi, guidati da Renato Cesarini, con questo assetto avevano vinto due campionati argentini consecutivi, nel 1941 e nel 1942.

Il giovane Alfredo li osserva e cerca di carpirne i segreti: da Muñoz apprende l'arte del dribbling, da Moreno la lealtà sportiva, dai bomber Pedernera e Labruna l'arte del goal e del tiro a rete, da Lostau, giocatore molto forte in entrambe le fasi di gioco, lo spirito di sacrificio che occorre per portare a casa un risultato positivo.

Il 13 aprile 1945 sembra arrivare finalmente il suo giorno. Sta per esordire con 'La Máquina', perché Muñoz si è fatto male, ma la notte precedente muore Roosevelt, il presidente degli Stati Uniti, e il campionato argentino si ferma. Per l'esordio bisogna così aspettare ancora qualche mese: il 15 luglio 1945, a 19 anni, Di Stefano debutta nella 12ª giornata del torneo contro l'Huracán, ma il River perde 2-1. Al termine della stagione, comunque, con quella sola presenza, si laurea per la prima volta campione d'Argentina.

Il suo stile di gioco non era passato inosservato: lo nota il presidente avversario, che prima della successiva stagione, il 1946-47, si presenta nella sede del River per trattare il prestito. I Millonarios vogliono infatti darlo in prestito per almeno un anno, in modo da fargli fare esperienza.

Al termine di un incontro concitato, il River cede Di Stefano all'Huracán in prestito con diritto di riscatto, ma fissa per questo un prezzo impossibile: 90 mila pesos. Questo perché vuole che poi rientri alla base.

Con i Los Quemeros, dove trova in panchina l'ex genoano Guillermo Stabile, 'El Minellita' realizza 10 goal in 25 presenze, due dei quali passeranno alla storia. Il primo è il goal più veloce della storia del campionato argentino, che segna proprio al River prima che siano trascorsi 10 secondi, il secondo un goal di pugno al Ferro Carril Oeste, che anticipa di diversi decenni 'La mano de Dios' di Diego Armando Maradona contro l'Inghilterra.

Alfredo Di Stefano Huracan 1946/47Wikipedia

AL CENTRO DE 'LA MAQUINA'

L'anno seguente, nel 1947/48, il River Plate lo riaccoglie con sé e Di Stefano diventa il protagonista assoluto dell'attacco. Pedernera, infatti, lo designa come suo erede ne 'La Maquina'. E Alfredo dimostra di cosa è capace: nel primo anno da centravanti titolare del River segna 28 goal e conquista il campionato da protagonista. Il giornalista Roberto Neuberger, incantato dalla sua classe, conia per lui il soprannome di 'Saeta Rubia', 'Freccia Bionda', con cui Di Stefano sarà noto fino al termine della sua carriera calcistica. 'Saeta' era il nome dell'aereo più veloce dell'aviazione argentina dell'epoca.

Nel 1948 partecipa al Campionato sudamericano per club, l'antenato della Copa Libertadores. Di Stefano è uno dei giocatori più attesi, ma a vincere il girone all'italiana, cui partecipano anche gli uruguayani del Nacional Montevideo, i cileni del Colo-Colo, gli ecuadoregni dell’Emelec, i boliviani del Deportivo Litoral ed i peruviani del Deportivo Municipal, sono i brasiliani del Vasco da Gama.

I bianconeri arrivano allo scontro diretto con un punto in più, e quando incrociano gli argentini riescono a mantenere lo 0-0, con il portiere Barbosa, che diventerà tristemente famoso per il Maracanazo del '50, autentica saracinesca in grado di neutralizzare anche un calcio di rigore battuto da Labruna. Di Stefano segna comunque 4 reti in 6 gare giocate.

LO SCIOPERO, IL TORINO E LA FUGA IN COLOMBIA

L'incontro fra giocatori sudamericani di diversi Paesi nel Campionato sudamericano, fa nascere la consapevolezza negli atleti che non si può continuare come era stato fatto fino a quel momento con il Dilettantismo: ne nasce un clamoroso sciopero contro i proprietari e i dirigenti dei club, accusati di sfruttare gli atleti per i loro interessi.

Intanto in Argentina è salito al potere il generale Juan Domingo Perón, che di sciopero dei calciatori non ne vuol sentire parlare. Media sua moglie Evita. Di Stefano e Pedernera guidano la rivolta e alla fine la Federcalcio è costretta a sospendere il campionato 1948/49. La protesta si conclude nel 1949 con la diaspora di tutti i campioni argentini in altre realtà del continente sudamericano. In una delle sue ultime partite con il River, Di Stefano 

Il 4 maggio 1949, intanto, il Grande Torino scompare nel tragico schianto di Superga. Fra le due società c'era grande amicizia e il presidente del River, Antonio Liberti, telefona a Ferruccio Novo, numero uno granata. Le due squadre organizzano un'amichevole commemorativa il 26 maggio al Comunale di Torino. Giocano una rappresentativa composta da giocatori di Juventus, Inter e Milan, e i campioni platensi. La partita finisce 2-2, e per i platensi vanno a segno Labruna e proprio Di Stefano.

Ma c'è di più: Novo chiude con lo stesso Liberti un colpo che avrebbe dovuto segnare la rinascita del Torino. Alfredo Di Stefano avrebbe dovuto giocare in Italia con la maglia granata. Ma quando il centravanti deve firmare, le parti restano sorprese: 'La Saeta Rubia' fa sapere di essersi già accordata con i colombiani dei Millonarios. Non se ne farà nulla. 

Ora, nel 1947 in Colombia era nata la D-Mayor, il primo campionato professionistico della storia del calcio, con vantaggi e svantaggi. Fra questi ultimi pesa il fatto di non essere riconosciuto dalla FIFA, per cui i giocatori che vanno a giocarci sono a rischio squalifica. Ma d'altro lato, proprio il fatto di non essere riconosciuto dalla Federazione internazionale, permetteva di fatto ai club di ingaggiare chi volevano.

I salari riconosciuti agli atleti, del resto, sono molto alti, e così i campioni sono attratti dalla possibilità di giocare in Colombia. Non fa eccezione Alfredo Di Stefano. Il 31 luglio 1949, in una delle ultime partite a Buenos Aires gioca in porta in sostituzione del portiere Amedeo Carrizo e per una ventina di minuti riesce a tenere la sua porta inviolata in un derby vinto con il Boca Juniors.  Lascia il River Plate dopo 55 goal in 75 presenze e si trasferisce nella Lega professionistica colombiana con i Millonarios di Bogotà. Ci va con Nestor 'Pipo' Rossi, un altro dei grandi prodotti del vivaio del club platense.

Li chiama proprio Pedernera, che già si è sistemato lì, e quello che ne vien fuori è uno squadrone, in grado di vincere tre campionati colombiani in 4 anni (1949, 1951, 1952). Di Stefano, grazie all'altura, con la palla fra i piedi sembra volare, ed è imprendibile per chiunque. Si aggiudica per due anni consecutivi, nel 1951 e nel 1952, il titolo di capocannoniere del torneo, segnando in tutto 267 reti in 292 partite, se si tiene conto di quelle non ufficiali, 100 in 112 gare tenendo conto solo le statistiche in quelle ufficiali.

I giocatori dei Millonarios sono soprannominati 'Cinco y baille', perché, dopo il quinto goal, per non infierire sull'avversario, si mettono a ballare, per diventare poi 'Il balletto blu'. Gli anni in Colombia alimentano la leggenda di Di Stefano, che non ci mette molto a varcare l'Oceano Atlantico.

È lo stesso Pedernera a raccontare di un goal ai limiti del concepibile: Di Stefano colpisce la traversa con un tiro da fuori area, ma la palla rimbalza lunga alimentando il contropiede avversario. Di Stefano rincorre il portatore di palla, gliela toglie e si lancia di nuovo all'attacco. Salta due avversari, scambia con Pedernera al limite dell'area e calcia ancora a rete: la traiettoria è imprendibile per il portiere.

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IL CONTROVERSO TRASFERIMENTO AL REAL MADRID

Nel 1950 aveva provato a prenderlo la Roma, al campione argentino arriva un'offerta dalla capitale ma la trattativa evapora per timore dei costi eccessivi da sostenere. Nel 1952 i Millonarios sono invitati in Spagna, a Madrid, perché il Real Madrid, fondato nel 1902, festeggia le Nozze d'oro, il cinquantennale della nascita del club. In tribuna non può mancare il presidente Santiago Bernabeu con il suo uomo mercato, che vogliono osservare da vicino Pedernera.

Ma dopo pochi minuti è evidente ai loro occhi, così come a quelli di tutti i tifosi presenti sugli spalti, che il fuoriclasse è in realtà il numero 9, Alfredo Di Stefano. Decidono di provare a prenderlo, ma si rendono conto che la situazione è particolarmente complicata. Il Barcellona è arrivato prima: i catalani, infatti, hanno offerto 200 mila dollari al River Plate, ultimo club cui è appartenuto sotto l'egida della FIFA.

Quest'ultima si era affrettata ad invalidare, infatti, tutti i trasferimenti in campionati non riconosciuti, fra cui anche quello di Di Stefano ai Millonarios. Il Real Madrid ci pensa e decide di acquistarlo dai Millonarios. Ne nasce un braccio di ferro senza precedenti fra le due big di Spagna, con toni anche molto aspri fra le parti. Quando la Federcalcio spagnola blocca il trasferimento del giocatore argentino al Barcellona, la FIFA sceglie per il ruolo di mediatore Armando Muñoz Calero, anziano presidente della Federcalcio spagnola e, cosa non secondaria, uomo di fiducia di Francisco Franco.

La sua proposta per dirimere la spinosa questione è salomonica: Di Stefano giocherà i primi due anni al Real Madrid, i successivi due con il Barcellona. La decisione crea molti malunori in seno al club blaugrana, e il presidente Enric Martí deve dimettersi. Gli succede Francesc Mirò-Sans, che decide di cedere i diritti della società sul calciatore ai Blancos. Questi ultimi esultano: Di Stefano giocherà con loro.

Il Real pagherà dunque 5,5 milioni di pesetas spagnole per il trasferimento, più 1,3 milioni di bonus all'atto dell'acquisto e una quota annuale da versare ai Millonarios. Al giocatore, che firma un quadriennale, andranno invece 16 mila pesetas di ingaggio, con bonus raddoppiato rispetto ai suoi compagni di squadra, per una spesa che va a prendersi il 40% delle entrate annuali della società madrilena.

Alfredo Di Stefano Paco Gento Ferenc Puskas Real MadridN/A

GLI ANNI D'ORO DEL GRANDE REAL

Al suo arrivo all'aeroporto di Barajas, il 22 settembre del 1953, sua moglie Sara, detta 'La Locomotora', perché lo aveva sposato, in Colombia gli aveva dato i primi due figli e trainava il loro rapporto, gli dice di sentire già nostalgia del Sudamerica e gli domanda quanti anni dovranno restare a Madrid. Non se ne andranno mai più.

Le merengues, senza successi da 20 anni, hanno la loro stella. La vita madrilena della 'Saeta Rubia' si snoda fra il quartiere Chamartín, dove vive e svolge il suo lavoro, e la Gran Via, in particolare il locale Chicote, il centro della vita della città. Ci vanno artisti, letterati, poeti, toreri e anche calciatori. Fra i frequentatori più celebri anche Pablo Picasso. 

L'impatto con il campo di allenamento è invece traumatico: per lui che veniva dalla raffinata scuola del River, il calcio praticato in quel momento dal Real è di basso livello, tutto palle lunghe e contropiede, e Alfredo non lo nasconde. "Zapatazos", definisce i compagni, vedendoli in azione, ovvero "scarponi".

Dopo una settimana si stufa, ferma l'allenamento e impone il suo stile di gioco, fatto di gioco palla a terra e scambi ad alta velocità. 

"Perché maltrattate la palla? - chiede ai suoi compagni - Bisogna accarezzarla e giocarla a terra".

È il primo passo. Di Stefano, che diventa per tutti 'Don Alfredo', mostra ai compagni come si fa. Nel giro di un paio di mesi nasce il gioco che contraddistinguerà il Grande Real Madrid. La squadra è pronta per iniziare a vincere. 

L'esordio con la camiseta blanca non può che essere in grande stile: tripletta nel Clasico contro il Barcellona ad ottobre. Quella delle merengues è una cavalcata vincente: Di Stefano si laurea capocannoniere con 27 goal in 28 gare e le trascina allo Scudetto di Spagna. È il successo che spezza il lungo digiuno, ma il meglio deve ancora venire.

L'anno seguente, il 1954/55, quello dell'arrivo del connazionale Rial, da lui fortemente voluto, Don Alfredo firma 25 goal (2° posto fra i marcatori) ma il risultato non cambia: secondo Scudetto di fila, cui aggiunge la Coppa Latina, conquistata battendo 2-0 nella finale del Parco dei Principi lo Stade Reims. È un assaggio di quanto accadrà a partire dalla stagione successiva, con la prima Coppa dei Campioni.

I Blancos partecipano in qualità di campioni di Spagna. L'esordio di Di Stefano nella più importante competizione europea è datato 8 settembre 1955. Gli spagnoli eliminano il Servette (2-0 e 5-0 in casa) e il Partizan Belgrado (4-0 in casa e 0-3 in trasferta nel celebre 'partido de la nieve', in cui il campione si sacrifica anche in posizione di terzino). In semifinale i Blancos hanno la meglio in un difficile doppio confronto con il Milan (4-2 in casa e sconfitta indolore 2-1 a San Siro). Si arriva così alla finale, che si gioca a Parigi il 13 giugno 1956 contro una francese, lo Stade Reims di Kopa e Hidalgo.

I transalpini partono forte e vanno sul 2-0. A riaprirla è Di Stefano, che firma il 2-1, il primo dei suoi 5 goal in 5 finali consecutive della Coppa dei Campioni. Rial, il suo connazionale, fa 2-2, ma Hidalgo riporta in vantaggio lo Stade Reims. Sul 3-2 si mette male, ma Don Alfredo scuote il gruppo:

"Cavallo che avanza vuol vincere", è la frase ad effetto che dice ai compagni.

Vuole che la squadra alzi il baricentro, inizia ad attaccare la difesa francese con micidiali incursioni palla al piede che rendono giustizia al suo soprannome. I compagni lo seguono, detta le azioni che portano prima al 3-3 di Marquitos, poi al 4-3 di Rial, che realizza la sua doppietta e la rete del sorpasso: 4-3, il Real Madrid vince la prima Coppa dei Campioni. In campionato, invece, i baschi dell'Athletic Bilbao spezzano l'egemonia del Real.

L'anno dopo la finale si gioca in casa, in un Bernabeu che è stato intitolato al presidentissimo e riammodernato nel 1954. Avversaria del Real il 30 maggio 1957 è stavolta la Fiorentina di Fuffo Bernardini. Don Alfredo la teme, in particolare il portiere Sarti, il funambolo Julinho e Virgili, il centravanti, che a suo giudizio è un Christian Vieri 40 anni prima. 

Ma la gara scivola via come i Blancos avevano sperato: Di Stefano trasforma il rigore in avvio, poi va a segno Gento: 2-0 e seconda Coppa dei Campioni in bacheca, vittoria sugellata dalla conquista del terzo titolo spagnolo in 4 anni. L'argentino, con 31 goal, è Pichichi per la terza volta. A fine stagione c'è anche la seconda Coppa Latina, ottenuta grazie ad un 1-0 in finale sul Benfica. È l'ultima edizione del trofeo.

Stavolta il Pallone d'Oro, premio che l'aveva visto al 2° posto l'anno prima, non può sfuggirli. Don Alfredo precede Billy Wright e Duncan Edwards di Wolverhampton e Manchester United. 

ALFREDO DI STEFANO REAL MADRIDGetty Images

La Coppa dei Campioni 1957/58 è probabilmente la vittoria più affascinante. Nei quarti di finale le merengues sono opposti nel derby al Siviglia, che partecipa perché classificatosi 2ª in campionato l'anno prima. All'andata non c'è storia: i Blancos travolgono gli andalusi per 8-0, Di Stefano è spettacolare e firma addirittura un poker, annichilendo gli avversari.

Il ritorno si gioca in un Sánchez Pizjuán rovente: i 75 mila spettatori inveiscono a più riprese contro di lui, diventato simbolo del potere calcistico del Real. Dopo il primo tempo è un insulto all'unisono nei suoi confronti. Ma l'attaccante non scappa. Resta al centro del campo, facendo capire di non aver paura. La partita termina 2-2, si va in semifinale.

Queste deve giocarle con gli ungheresi del Vasas Budapest, andata al Bernabeu e ritorno in Ungheria. Le merengues nel primo confronto calano il poker, Di Stefano fa tripletta, ed esulta con un epico salto di gioia, che diventerà una delle sue effigi più celebri. Al ritorno gli ungheresi passano 2-0 ma per gli spagnoli è la terza finale consecutiva. L'avversario il 28 maggio 1958 è stavolta il Milan di Gipo Viani, che ha in Pepe Schiaffino e nel capitano Nils Liedholm i suoi giocatori più rappresentativi.

Proprio il campione del Mondo del 1950 firma l'1-1, ma Di Stefano risponde con la rete del pari, cui seguono ancora i goal di Grillo e Rial. Il centrocampo degli spagnoli è in difficoltà e ci vuole tutto il carisma di Di Stefano per far reagire la squadra. Finché Gento, in uno dei suoi proverbiali strappi, realizza il definitivo 3-2. Il Grande Real Madrid appare inarrestabile e mette in bacheca la terza Coppa dei Campioni di fila, cui si somma il quarto Scudetto in 5 anni.

L'anno 1958/59 è importante nella storia del Real Madrid perché a Don Alfredo si unisce Ferenc Puskas. Inizialmente l'argentino nutre forti dubbi sul fatto che il magiaro possa tornare utile al Real Madrid: è in sovrappeso, dopo aver abbandonato il suo Paese in seguito all'occupazione sovietica, non gioca da tempo e i pregiudizi si sprecano. Ma bastano pochi allenamenti per fargli capire che l'ungherese ha qualità uniche e sarà fondamentale per la squadra.

Puskas e Di Stefano faranno la fortuna dei Blancos e formeranno una delle coppie offensive più forti mai viste su un campo da calcio. L'ungherese non dice praticamente nulla anche perché non capisce bene lo spagnolo, la 'Saeta Rubia' è invece sempre eccentrica ed estroversa. Eppure per dialogare ai due basta un pallone. Nell'ultima giornata serve all'argentino, a porta sguarnita, la palla che gli consente di laurearsi nuovamente capocannoniere per la 4ª e ultima volta (23 goal).

I Blancos giungono ancora una volta in finale di Coppa dei Campioni. È la quarta consecutiva e bisogna disputarla in terra tedesca, a Stoccarda, di nuovo con lo Stade Reims. Puskas non si fida a lasciare la Spagna e non c'è: al suo posto spazio a Mateos. Proprio lui sblocca il risultato al 2', poi si procura il rigore del possibile raddoppio. L'argentino gli concede la possibilità di batterlo, ma lo spagnolo se lo fa parare.

Bernabeu va su tutte le furie e all'intervallo manda un suo uomo negli spogliatoi chiedendo spiegazioni.

"Perché non lo hai calciato tu?"

Di Stefano guarda l'allenatore Carniglia e gli chiede:

"Scusa, ma chi comanda qua negli spogliatoi, loro o tu?".

Poi rivolgendosi all'emissario di Bernabeu, assicura:

"Abbiamo sbagliato, va bene, ma adesso ci penso io".

Passano due minuti nel secondo tempo e Di Stefano archivia i giochi con un gran tiro in velocità che non lascia scampo al portiere. Non c'è niente da fare per i francesi: 2-0 e trofeo che va per la quarta volta al Real Madrid. Per Di Stefano, che si laurea anche capocannoniere in Coppa dei Campioni con 10 reti, è un anno stellare: il fuoriclasse di Buenos Aires conquista il secondo Pallone d'Oro della sua carriera prevalendo su Kopa e John Charles. 

L'ultima Coppa dei Campioni vinta dal Grande Real, la quinta consecutiva, è la più esaltante di tutte. Puskas ha ormai ripreso il suo peso ottimale e si è perfettamente inserito negli schemi dei Blancos. IGli spagnoli una squadra leggendaria, vanno in finale per il quinto anno di fila. Stavolta per laurearsi campione d'Europa devono prevalere a Glasgow sull'Eintracht Francoforte.

Il 18 maggio 1960 i tedeschi sono travolti dallo strapotere offensivo dei Blancos: Di Stefano segna una tripletta, ancora meglio fa Puskas, con una quaterna. Finisce 7-3, Don Alfredo e i suoi compagni possono festeggiare il quinto titolo in 5 anni e la soddisfazione dell'argentino è anche per il record, a tutt'oggi imbattuto, di essere andato a segno in 5 finali consecutive.

La 'BBC scozzese' trasmetterà le immagini della finale per 15 anni, in un giorno compreso fra Natale e Capodanno.

"Così giocano gli angeli", dirà per motivare questa scelta.

Pochi mesi dopo arriva anche la Coppa Intercontinentale. L'avversario è il Peñarol di Scarone. Il Real pareggia 0-0 a Montevideo nell'andata, ma nel match di ritorno al Bernabeu non c'è storia. Netto 5-1 con doppietta di Puskas e reti di Di Stefano, Herrera e Gento e spagnoli sul tetto del Mondo. Per gli uruguayani il goal della bandiera porta la firma di Spencer. 

Real Madrid 1960Real Madrid

GLI ANNI 60 E IL RAPIMENTO DEL 1963

L'epopea del Grande Real e di Di Stefano prosegue negli anni Sessanta, ma le merengues non riusciranno più a imporsi in Europa. A partire dal 1960/61, infatti, la squadra alternerà grandi vittorie a sconfitte brucianti. I Blancos dominano in campionato, dove si impongono per 3 volte consecutive, portando a 7 gli Scudetti conquistati in terra iberica dal campione argentino.

Ma in Coppa dei Campioni le cose vanno meno bene: nel 1960/61 sono eliminati dai rivali del Barcellona agli ottavi di finale, nel 1961/62 va in finale contro il Benfica, che rimonta e lo travolge 5-3 (per la prima volta la 'Saeta Rubia' non segna in finale). Di Stefano è fra l'altro fra i capocannonieri con 7 goal. L'anno è inoltre importante perché il Real Madrid realizza il 'double nazionale' vincendo Scudetto e Copa del Generalisimo. 

L'eroe dei due Mondi vince ancora lo Scudetto nella stagione 1962/63, mentre in Coppa dei Campioni i Blancos sono fuori già al Primo turno, eliminati dall'Anderlecht. È il preludio alla tormentata ultima stagione di Di Stefano con la camiseta blanca, il 1963/64. In estate la squadra va in Venezuela per una prestigiosa tournée ma accade l'impensabile. Il fuoriclasse argentino è infatti rapito dalle Forze Armate di Liberazione Nazionale del Venezuela nell'hotel Potomac di Caracas. L'azione è puramente dimostrativa e fortunatamente viene rilasciato incolume tre giorni dopo.

Superato lo spavento, Don Alfredo e compagni si assicurano la quarta Liga consecutiva e approdano in finale di Coppa dei Campioni. L'avversaria, stavolta, è la Grande Inter di Helenio Herrera. Di Stefano ha ormai 37 anni quando il 27 maggio 1964, a Vienna, affronta i nerazzurri. L'argentino, ormai naturalizzato spagnolo, vista la lunga permanenza nel Paese, non è convinto della tattica scelta dal suo allenatore, Miguel Muñoz, che opta per marcare a uomo Giacinto Facchetti.

Il rapporto fra i due si rompe, le cose in campo vanno male, visto che è l'Inter a imporsi 3-1 e a sollevare il trofeo. Bernabeu gli offre un posto da dirigente, ma Di Stefano vuole ancora giocare e rifiuta: sarà addio alla squadra di cui è diventato un'icona dopo 642 partite con 405 goal (227 solo nella Liga).

L'ADDIO AL REAL E IL BIENNIO ALL'ESPANYOL

Don Alfredo va in Catalogna, ma non al Barcellona, bensì all'Espanyol. Per ripicca però Bernabeu lo espelle a vita dal Real Madrid. In campionato segna 9 goal, ponendo fine ad una serie positiva di 15 anni sempre in doppia cifra.

Al termine della stagione 1965/66, poco prima di compiere 40 anni, Di Stefano si ritira dal calcio giocato. Nel biennio in Catalogna ha ottenuto un 11° e un 12° posto nella Liga, con 14 centri in 60 partite. 

Alfredo Di StefanoGetty

ARGENTINA E SPAGNA

Nel 1947, quando René Pontoni, centravanti del San Lorenzo de Almagro, titolare dell'Albiceleste, si fa male nella partita con il Paraguay, il giovane Di Stefano, convocato come riserva, a solo 21 anni, viene scelto dal Ct. Guillermo Stabile, che lo aveva allenato all'Huracán, come titolare della squadra che si sta giocando la Copa America in Ecuador. 'La Saeta Rubia' debutta il 4 dicembre contro la Bolivia, andando subito a segno nel roboante 7-0 finale.

Con 6 goal in altrettante gare e una tripletta alla Colombia, è il protagonista assoluto della conquista del titolo sudamericano. Resteranno le uniche partite disputate dal campione con la Nazionale argentina. Nel 1950, in attrito con la Federazione, rifiuterà infatti di partecipare ai Mondiali.

Durante la sua permanenza in Colombia, partecipa anche a 4 gare con una squadra denominata 'Colombia XI', ma queste non sono riconosciute dalla FIFA. Dopo l'approdo in Spagna nel 1954, avvia la pratica per ottenere la cittadinanza spagnola. L'iter è completato nel 1956, e il 30 gennaio 1957 debutta con le Furie Rosse segnando una tripletta all'Olanda in amichevole.

In tutto disputa 31 gare totalizzando 23 goal, senza però mai partecipare ad una fase finale di un Campionato del Mondo o di un Europeo. Questo resta probabilmente il più grande cruccio di una carriera per il resto leggendaria. Dopo la dolorosa rinuncia a Cile '62, torneo cui non riesce a prender parte per un infortunio muscolare, dà l'addio definitivo alle Furie Rosse.

DI STEFANO ALLENATORE E DIRIGENTE

Una volta ritirato Di Stefano diventa allenatore e guiderà diverse squadre, senza tuttavia riuscire ad ottenere da allenatore gli stessi successi che aveva avuto da giocatore. Ha guidato in Argentina Boca Juniors e River Plate, unico a riuscirci, in Spagna Elche, Valencia, Rajo Vallecano, Castellón e Real Madrid.

In patria ha conquistato 2 campionati, uno con gli Xeneizes (il Nacional 1969) e uno con i Millonarios (il Metropolitano 1981). Per il resto le stagioni migliori le vive con il Valencia, sulla cui panchina approda nel 1970/71 e conquista subito il campionato spagnolo precedendo Barcellona, Atletico Madrid e Real. Contro i catalani perde invece, in maniera rocambolesca, la Coppa di Spagna. 

Resta 4 stagioni e torna nel 1979/80, quando ottiene l'affermazione europea vincendo la Coppa delle Coppe. A metà degli anni Ottanta, nel febbraio 1986, fa ritorno sulla panchina dei 'Pipistrelli', che navigano nei bassifondi della classifica della Liga, ma non riesce a salvare la squadra, che retrocede in Segunda División. Nel 1986/87, tuttavia, vince il campionato e riporta subito il Valencia nella Liga. Nel 1997/98 è confermato come tecnico della squadra, ma nel marzo 1988 è esonerato.

Meno fortunata è l'esperienza alla guida del Real Madrid, cui approda nella stagione 1982/83, dopo esser stato perdonato dalla società per la decisione a fine carriera di andare a giocare a Barcellona con l'Espanyol. Don Alfredo ottiene due secondi posti, in entrambi i casi alle spalle dell'Athletic Bilbao, e perde due finali: in Copa del Rey è sconfitto dal Barcellona (2-1), mentre in Coppa delle Coppe ha la peggio contro l'Aberdeen di Sir Alex Ferguson. 

Nella stagione successiva gli è poi fatale la precoce eliminazione ai Trentaduesimi di finale di Coppa UEFA contro lo Slavia Praga. Nel giugno del 1984, non avendo conquistato titoli nei sue due anni di gestione della squadra, viene esonerato. Torna però nel novembre del 1990, quando sotto la presidenza di Mendoza subentra al gallese Toshak.

Il 5 dicembre vince il suo unico trofeo da allenatore con i Blancos, la Supercoppa di Spagna (1-0 sul Barcellona con goal di Michel) ma dopo le eliminazioni ad opera dell'Atletico Madrid negli ottavi di finale di Copa del Rey e dello Spartak Mosca nei quarti di Coppa dei Campioni rassegna le dimissioni e successivamente diventa consigliere del presidente.

Dalla moglie Sara ha avuto in tutto sei figli: 4 femmine, Nanette, Silvana, Elena e Sofia, e due maschi, Alfredo e Ignacio. La Coppia ha continuato a vivere nella capitale spagnola, nei pressi dello Stadio Bernabeu, nel quartiere Chamartín. Nel giardino di casa la 'Saeta Rubia' si fa installare una statua, raffigurante un pallone, con la scritta: 'Gracias Vieja', 'Grazie palla' (letteralmente grazie 'vecchia').

Nel 2000 è infine nominato Presidente onorario del club durante la presidenza di Florentino Pérez. 

Alfredo Di Stefano Real coachGetty Images

LA MORTE NEL 2014 E IL MITO IMMORTALE

Finché la salute lo sorregge, lo si vede spesso nelle presentazioni ufficiali che seguono i grandi acquisti dei Blancos: da Figo a Ronaldo 'Il Fenomeno', passando per Zidane, Beckham, Julio Baptista e CR7, tutti al loro arrivo con i Blancos fanno la conoscenza con Don Alfredo. È un consigliere fidato del presidente, e quando è chiamato in causa, non si tira mai indietro nel dire la sua.

Il 14 maggio 2005 sua moglie Sara, già ammalata da tempo, muore. Di Stefano poco tempo dopo accusa i primi seri problemi cardiaci. Gli sono installati quattro bypass. Si riprende e in età avanzata si innamora di Gina González, ragazza costaricana di 50 anni più giovane di lui. Vorrebbe sposarla, ma nasce una diatriba con i figli legata all'eredità del campione.

Il fisico è logoro, tuttavia lo spirito è rimasto sempre lo stesso: ha ancora l’ironia brillante, la battuta pronta, l'occhio vivo. Il 4 luglio 2014, festeggia l'88° compleanno pranzando con gli amici. Ma il giorno seguente, mentre passeggia nei pressi del Bernabeu, è colto da un nuovo malore. 

È soccorso e trasportato all’ospedale Gregorio Maranon di Madrid, dove lo portano in stato di coma indotto, sperando che possa riprendesi. Riceve la visita di Florentino Perez, che con i famigliari del calciatore argentino prega perché si riprenda.

Ma Don Alfredo non si risveglierà più. La Saeta Rubia aveva smesso di correre per sempre. La camera ardente del fuoriclasse di Buenos Aires è allestita nel palco del Bernabeu, che, come spiegato da Florentino Pérez, era "La sua fabbrica, la sua zona sacra, la sua vita, la sua casa".

Allo stesso Pérez è affidato il discorso di addio:

"Il miglior giocatore di tutti i tempi ma anche un amico. E per questo potete immaginare come mi sento. - dice il numero uno del Real - Questo è un giorno che speravamo non arrivasse mai. Alfredo Di Stefano ha cambiato la storia del Real Madrid e la storia del calcio. È stato il migliore in tutto: nella forma di rivoluzionare il calcio e per aver portato al Madrid quei codici, quei valori che hanno reso unico questo club. Ci ha insegnato a non arrenderci mai e a dare tutto in campo. È stato unico, però parlava sempre dei compagni e della squadra, diceva che senza di loro non avrebbe ottenuto nulla".

Dopo le parole di Pérez, accompagnate dalle note di 'My Way', di Franck Sinatra, su un maxi schermo scorrono le immagini delle prodezze e della storia di Di Stefano al Real. Il 9 luglio 2014, nella Cattedrale de 'La Almudena' di Madrid, si celebrano i funerali. La bara del campione è avvolta con una bandiera del club. Quando quest'ultima lascia il Bernabeu, è accolta da un'ovazione dei tanti tifosi desiderosi presenti.

Alla messa funebre partecipano il presidente Perez, il consiglio di amministrazione del club e alcuni dei giocatori, fra i quali Casillas e Sergio Ramos. Dopo il rito Di Stefano è stato sepolto nel Cimitero dell'Almudena, accanto alla moglie Sara. Nella semifinale dei Mondiali in Brasile, la semifinale fra Argentina e Olanda è preceduta da un minuto di silenzio. 

A lui è stato anche intitolato lo Stadio di Valdebebas, utilizzato regolarmente dalla Seconda squadra ma nell'ultima stagione anche dalla Prima durante i lavori di ampliamento del Bernabeu. Agli amanti del calcio restano i suoi record, le sue vittorie, i suoi goal, che chiunque può in qualche modo rivivere attraverso le immagini, i cimeli e le Coppe, visitando il Museo del Real Madrid all'interno del Bernabeu.

Con 216 goal in 282 partite è ancora nella top 10 dei migliori marcatori del massimo campionato spagnolo, mentre assieme a Cristiano Ronaldo (18 reti) si divide il primato di miglior marcator madridista nel Clasico.

L'unico peccato è che le sue straordinarie prodezze siano arrivate in anni in cui le immagini televisive erano poche e di una qualità molto lontana dagli standard cui oggi siamo abituati, Ma anche questo, in fondo, contribuisce a tenere sempre viva la leggenda della 'Saeta Rubia'.

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