Wolfgang Frank Klopp gfxGOAL

Wolfgang Frank, il maestro di Klopp: l'uomo che ha rivoluzionato il calcio in Germania

Fino agli anni novanta il calcio tedesco aveva basato la propria filosofia sulla figura del libero. Un concetto, prima che un ruolo, arrivato ad essere quasi dogmatico. Da Beckenbauer a Sammer, passando per Breitner e Matthäus, la Germania ha fondato su questo principio i successi di tutto il secolo scorso. Sono stati due uomini prima degli altri a sradicarlo dalla cultura. Il più celebre dei due è Ralf Rangnick, che ha portato la rivoluzione anche in televisione, guadagnandosi tra le altre cose il soprannome di Der Professor.

L’altro invece i riflettori non li ha mai amati, per indole e perché i risultati che ha raggiunto nel corso della sua carriera non gli sono mai valsi la fama. A Wolfgang Frank, però, va bene così. È stato professore, di religione e di educazione fisica. Ma soprattutto è stato giocatore, tecnico, mentore, precursore. Mai vincente, al massimo una promozione dalla terza alla seconda serie. Una finale di Dfb-Pokal persa con una squadra che nello stesso anno era retrocessa dalla seconda alla terza serie. Il suo soprannome, però, è nel titolo del libro che racconta la sua vita, scritto da Mara Pfeiffer: “Il rivoluzionario del calcio”. Tedesco, ma forse non soltanto.

Frank è stato un ottimo giocatore in Bundesliga. Scollinava poco sopra il metro e settanta, ma dentro l’area aveva un fiuto del goal che spesso non lasciava scampo agli avversari. Veniva chiamato Floh, “pulce”. Giocava un po’ alla Gerd Müller. Aveva iniziato nello Stoccarda, poi il meglio lo aveva dato all’Eintracht Braunschweig (dove giocò anche con Breitner). Nel 1977 i suoi 24 goal hanno portato a sfiorare persino la vittoria del titolo la squadra di Branco Zebec, ex tecnico del Bayern e dello Stoccarda. È stata la sua miglior stagione da giocatore. Un passaggio al Borussia Dortmund, al Norimberga (89 reti in oltre 200 partite di Bundesliga), prima di diventare a 32 anni allenatore-giocatore all’FC Glarus in Svizzera, nelle serie minori, la squadra di un paesino delle valli. Portata fino alla seconda serie nazionale.

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Dopo un passaggio all’Aarau (succedendo al leggendario Ottmar Hitzfeld) e al Winterthur (dove lavorò con Joachim Löw, al tempo attaccante), era stato il Rot-Weiss Essen a proporgli di ritornare in Germania nel gennaio 1994, in Zweite Liga, dopo la dipartita del suo predecessore Röber alla volta di Stoccarda. Prese in mano una squadra che flirtava con la metà della classifica, ma soprattutto che aveva raggiunto una sorprendente semifinale di Dfb-Pokal. Fu in grado di battere 2-0 il Tennis Borussia Berlino, raggiungendo la finale poi persa contro il super Werder Brema del grande Otto Rehhagel in uno scontro oggettivamente impari.

In campionato le cose avevano preso una piega ancora peggiore. A fine anno sarebbe arrivata una retrocessione annunciata, a causa della revoca della licenza, decisione dovuta ad irregolarità finanziarie che causarono anche diverse fratture all’interno dello spogliatoio. In terza serie Frank rimase comunque in panchina e arrivò ad avere in mano la promozione, trovandosi al primo posto a cinque giornate dalla fine. Poi quattro sconfitte di fila costarono l’esonero a Frank. Un fallimento incredibile, ma anche la più grande fortuna, col senno del poi.

Nel settembre 1995, dopo un avvio di campionato parecchio difficile, il Mainz si era messo alla caccia di un nuovo allenatore per rimpiazzare il veterano Horst Franz, tornato in pista dopo 7 anni nell’aprile precedente per portare in salvo una squadra che necessitava di nuovi stimoli. Il bilancio era di un punto in otto partite. Christian Heidel, direttore generale della squadra (ruolo che ricopre ancora oggi), nel libro ‘Klopp: scatenate l’inferno’ di Raphael Honigstein sostiene che “nessun altro avrebbe accettato di allenarci”.

Nonostante qualche vittoria qua e là, il Mainz era saldamente in zona retrocessione e non riusciva a trovare il cambio di passo decisivo. Così, durante la pausa invernale, Frank adottò una decisione epocale: scelse di togliere il libero di schierarsi con una difesa a quattro, di giocare a zona senza nessun uomo alle spalle della difesa. Ispirandosi al Milan di Sacchi, che era andato anche in italia a studiare, ai movimenti corali di reparto, il tecnico iniziò a trasmettere i suoi nuovi principi, tra lo stupore generale. Li aveva sperimentati da giocatore, in Olanda nel 1973/74 quando giocò con l’AZ Alkmaar, e al Braunschweig con Zebec.

Ci aggiunse ore e ore di sedute video, esercitazioni in allenamento mai viste. Con 7 goal subiti in 15 giornate e 32 punti totali, i Nullfünfer raggiunsero una salvezza tra le più impensabili nella storia recente del calcio tedesco.

“Fu una cosa assurda, non si era mai visto nulla di simile. Improvvisamente potevamo battere squadre più forte di noi perché avevamo un’idea di gioco che funzionava”.

Il cervello di quella squadra si chiamava, per l’appunto, Jürgen Klopp. Frank lo mise ovunque: centrale di difesa, trequartista, centrocampista, terzino. E il Mainz volava. Nessuno sapeva come contrastare quella squadra che nel gennaio 1997 era addirittura al secondo posto dopo il girone d’andata, dietro solo al Kaiserslautern che un anno dopo avrebbe vinto il campionato di Bundesliga. Lì, però, qualcosa si ruppe, perché Frank portò i giocatori in ritiro a Cipro per un mese. Al rientro arrivarono due sconfitte contro Hertha e VfB Lipsia. E le dimissioni del tecnico.

I suoi successori, l’esperto Saftig e lo svizzero Costantini, trovarono una squadra talmente sui generis rispetto al resto del calcio tedesco che non sapevano come maneggiarla. E non guadagnarono mai la fiducia di uno spogliatoio che ormai aveva interiorizzato al meglio i principi di Frank. Che nella primavera del 1998, con la squadra ancora sull’orlo della retrocessione, tornò nuovamente a casa, dove “poteva dire qualunque cosa e sarebbe stato ascoltato”: fu lui a voler rifare il centro tecnico che oggi porta il suo nome, oltre allo stadio. La squadra si salvò, riaprì un altro mini-ciclo.

Quando però Frank capì che con quella squadra non sarebbe riuscito a centrare la Bundesliga scelse di farsi ancora da parte. Avrebbe allenato Duisburg, Unterhaching, Sachsen Leipzig, i rumeni del Farul Costanta, i Kickers di Offenbach, Wuppertal, Wiesbaden, Carl Zeiss Jena, Eupen. In poco più di dieci anni. Nel frattempo a Mainz si era aperto e chiuso il ciclo Klopp da allenatore: iniziò proprio perché l’allora capitano era l’unico in grado di trasmettere alla squadra i principi della zona e del pressing del suo mentore, al contrario dei predecessori.

Le idee di Frank e il suo lavoro hanno ispirato non solo l’attuale tecnico del Liverpool, ma anche un’altra schiera di giocatori che sono arrivati a lavorare nelle serie professionistiche tedesche: Sandro Schwarz oggi guida l’Hertha Berlino, Thorsten Lieberknecht è primo in Zweite con il Darmstadt. Poi ci sono Jürgen Kramny, Peter Neustädter, Sven Demandt, Uwe Stöver. E anche in famiglia: il figlio maggiore Sebastian oggi è capo scout dell’Eintracht e in passato aveva lavorato con Klopp a Liverpool, mentre il minore Benjamin lavora al Borussia Dortmund.

Wolfgang non è riuscito a seguire i progressi dei suoi allievi e dei suoi eredi: il 7 settembre 2013 se n’è andato a causa di un tumore al cervello che gli era stato diagnosticato quattro mesi prima. Ha fatto in tempo ad assistere alla prima finale di Champions League di Klopp, quella del maggio 2013 con il Dortmund, persa contro il Bayern Monaco. Gli aveva scritto un messaggio: “Se tu non ci fossi stato, oggi io non sarei qui”.

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