Walter Samuel GFXGoal

Walter Samuel, il muro che José Mourinho innalzò per vincere tutto

Banner archivio storieGOAL

È raro riuscire a mettere d’accordo la maggior parte dei tifosi di calcio o degli esperti del gioco del pallone su un solo giocatore. Può capitare con Maradona, Pelè, Messi, Cristiano Ronaldo, Fabio Cannavaro, Roberto Baggio e così via, ma i nomi rimarranno comunque meno di quanti possiamo pensare. In quella lista, però, sarà possibile sicuramente trovare Walter Adrian Samuel, un difensore che ha saputo mettere d’accordo tutti, fino a essere riconosciuto in maniera indiscutibile come “The Wall”, il muro invalicabile che durante la sua carriera hanno alzato Real Madrid, Roma e Inter, più delle altre, senza dimenticare la nazionale argentina.

Walter Lujan nasce nel 1978 a Firmat, in Argentina: il suo cognome decide di cambiarlo a 18 anni, quando la burocrazia lo concede, per scrollarsi di dosso qualsiasi possibile rimando al padre che lo aveva abbandonato da bambino. Samuel è il cognome del padre adottivo, che decide di scrivere su tutte le sue maglie dal 1996 in avanti, quando la sua carriera inizia nel Newell’s Old Boys. Gioca per un anno e mezzo nella società di Rosario, poi si trasferisce al più blasonato Boca Juniors, dove resta per tre anni e conquista la prima convocazione per la nazionale maggiore argentina. L’esordio nell’Under 20 avviene nel 1997, quando viene convocato per andare in Malaysia a disputare la Coppa del Mondo di categoria, che vince. In quella squadra ci sono Juan Roman Riquelme, Lionel Sebastian Scaloni, attuale CT dell’Argentina e il suo vice Pablo Aimar, oltre a Esteban Cambiasso, che segna anche in finale. A 19 anni, Samuel è già in grado di mettere in campo le proprie qualità e doti, quelle che lo porteranno a breve a essere un pilastro della squadra che vincerà tutto.

L'articolo prosegue qui sotto

Il suo arrivo al Boca Juniors non è un affare per il futuro, perché si prende subito la maglia da titolare e decide di guidare la squadra verso la storia: vince l’Apertura del 1998 e la Clausura del 1999, trofei che mancavano dal 1992 e che - andando a ritroso - erano assenti nelle bacheche di Buenos Aires dal 1981. Il più grande successo, in Argentina, Samuel però lo raggiunge nel 2000 con la vittoria della Copa Libertadores, il trofeo che spiana la sua carriera verso l’Europa. Il Boca Juniors riesce a trionfare 32 anni dopo l’ultima vittoria e per la terza volta, con una cavalcata che li porta a battere i connazionali del River Plate, i messicani dell’America e in finale, ai rigori, i brasiliani del Palmeiras. Carlos Bianchi lo schiera titolare per tutte le 14 partite disputate nella competizione internazionale, nel suo 4-4-2 a diamante, con Bermudez a fargli compagnia. Non si perde nemmeno un minuto, segna in semifinale e regge per i 120 minuti finali, fino ai rigori trasformati da Schelotto, Riquelme, Martin Palermo e Jorge Bermudez stesso, il capitano che consegna la vittoria contro la squadra di Luiz Scolari.

Samuel ha 22 anni e nell’estate del 2000 si trasferisce alla Roma: 34 miliardi di lire versati nelle casse del Boca Juniors e un contratto quinquennale al difensore, da 162 milioni di lire al mese. Per Mauricio Macri, presidente del Boca, si tratta di un primato mondiale per la cifra incassata. La Roma, però, aveva agito con grandissimo anticipo: il presidente Franco Sensi, infatti, aveva chiuso l’affare con gli argentini già nel maggio del 1999. Un affare concordato sulla base di quanto visto nel suo primo anno a Buenos Aires, ma che il Boca aveva rinviato per poter avere il difensore fino alla finale della Copa Libertadores. Franco Baldini riesce a strapparlo alla concorrenza proprio scendendo a patti con Macri, accordando la richiesta di fargli disputare un anno intero in Argentina. Samuel, quindi, resta da giocatore, a tutti gli effetti, della Roma per poi, con il trofeo in tasca, trasferirsi in Italia, alla corte di Fabio Capello.

Il suo arrivo a Roma è un parallelismo perfetto con quello al Boca Juniors: un giovane, considerando l’anagrafe, con il carattere del leader. Alla corte di Fabio Capello gioca sempre, anche in amichevole: non perde mai un solo minuto di gioco, così come era successo con Bianchi. Accanto ad Aldair e Zago diventa un ministro della difesa. Quell’anno i giallorossi vengono eliminati dal Liverpool agli Ottavi di Coppa Uefa e in Coppa Italia, in maniera inaspettata, dall'Atalanta.

“Capello ha tenuto in riga tutti quell’anno, sapeva quanto sgridare la squadra e quando stare tranquillo con noi, come dopo l’eliminazione in Coppa Italia. Mi ha dato molta fiducia, lo ringrazierò per sempre”.

È la cavalcata in campionato che, però, impreziosisce la stagione. Samuel ne salta appena due per squalifica e una perché impegnato con l’Argentina nella qualificazione ai mondiali del 2002. Gioca il 5 novembre contro il Brescia da titolare, poi il 15 novembre in Cile con l’albiceleste per 90 minuti, torna in Italia e scende in campo di nuovo da titolare contro l’Hellas Verona il 19. Un via-vai che non lo stende, non lo spaventa: la Roma si prende il primo posto il primo ottobre del 2000, dopo la vittoria per 2-0 contro il Bologna e lo perde soltanto un mese dopo, per una settimana, dopo la sconfitta con l’Inter. Perde solo altre due volte, ma alla fine quel primo posto non lo abbandona mai più, dominando il campionato. Gli investimenti per Samuel, Zebina, Emerson e Batistuta premiano Capello, che mette in piedi una rosa rocciosa, che non si spaventa e vince. Con quella squadra Samuel vince la Supercoppa italiana nel 2001 e resta in giallorosso fino al 2004, purtroppo non sollevando altri trofei. Un anno prima di separarsi dal giallorosso, però, il rapper Brusco lo racconta come un giocatore “disposto a dar la vita pur di non subire goal” nella sua “Per Roma”, singolo pubblicato nel 2003.

Walter Samuel PSGoal

Poi nel 2004 l’Europa inizia a far follie per potersi riprendere dai fallimenti dell’anno precedente. La Champions League ha appena visto trionfare il Porto di José Mourinho in finale contro il Monaco, con Deportivo La Coruna e Chelsea a seguire. L’anno precedente, invece, la finale tra Milan e Juventus aveva visto i rossoneri trionfare, con l’Inter e il Real Madrid fermate in semifinale: la Spagna e l’Inghilterra cercano un’inversione di marcia. Mentre il Chelsea spende 130 milioni di euro per Mourinho, Drogba, Ricardo Carvalho, Robben, Cech, Kezman e Paulo Ferreira, il Manchester United si assicura Wayne Rooney per 40 milioni, il Real Madrid si lancia prepotentemente su Michael Owen e su un rifacimento totale della difesa centrale. Con 20 milioni si aggiudica Jonathan Woodgate e con 25, invece, prende Walter Samuel.

Le merengues attraversano un periodo di flessione e lo si nota. Bisognosi di cambiare ciclo, il Real Madrid si ritrova comunque eliminato dalla Champions League anzitempo, sconfitti agli Ottavi dalla Juventus. Samuel ha l’occasione, però, di scendere in campo due volte contro la Roma, nei gironi, vincendo 4-2 all’andata e 3-0 al ritorno. In campionato arriva secondo, ma Florentino Perez è costretto a cambiare tre allenatori: inizia con José Antonio Camacho, continua con Mariano Garcia Remon e finisce con Vanderlei Luxemburgo. Non è Samuel il problema di quella squadra, ma l’intera struttura blanca, con un centrocampo con troppa qualità e poca sostanza, che non assiste la difesa. Gli manca Emerson, gli manca l’Italia.

“È stato un anno difficile non solo per me, ma per tutta la squadra. Un’esperienza non andata bene. Mi servirà come insegnamento. Non avrei voluto lasciare Madrid da perdente, avrei voluto prendermi una rivincita in Spagna”.

Il 2 agosto 2005 Samuel sbarca alla Pinetina, a 27 anni, per vestire la maglia nerazzurra, il numero 25. A Roma Roberto Mancini era dall’altra sponda del Tevere, a Milano è il suo allenatore e insieme danno il via al ciclo che porta l’Inter in vetta. Al primo anno vince la Supercoppa contro la Juventus, la Coppa Italia e poi anche il tanto discusso Scudetto di Calciopoli, quello assegnato a tavolino dalla giustizia sportiva. Le sue prime stagioni in nerazzurro sono solo un preludio a quello che accade qualche anno dopo, tra un grave infortunio subito nel dicembre del 2007 che lo tiene fuori per 11 mesi, rimettendosi in sesto per il quarto scudetto consecutivo e alla stagione 2009-2010, quella di José Mourinho.

Lui è già lì quando Massimo Moratti annuncia Diego Milito e Thiago Motta dal Genoa, Lucio dal Bayern Monaco e Wesley Sneijder dal Real Madrid. Vanno via Zlatan Ibrahimovic, Maxwell, Julio Cruz, Hernan Crespo e Luis Figo, che si ritira dal calcio giocato. Dal Barcellona arriva anche Samuel Eto’o. Samuel salta la prima di campionato col Bari, ma dal derby vinto per 4-0 sul Milan non si siede più in panchina, se non per riprendere fiato. Mourinho in Coppa Italia lo risparmia praticamente in ogni gara, anche quella contro la Juventus e nella semifinale con la Fiorentina: lo schiera, invece, per 51 minuti nella finale contro la Roma, vinta per 1-0 il 5 maggio. In Champions League, invece, Samuel c’è sempre: The Wall si alza imponente e anche se l’Inter segna poco, non subisce. Agli Ottavi il Chelsea ne fa uno solo in 180 minuti, ai Quarti il CSKA Mosca non supera la diga nerazzurra, in semifinale il Barcellona ne fa 2, in finale il Bayern Monaco di Muller e Olic non supera Julio Cesar in nessun modo.

Quella squadra sembra costruita appositamente per calzargli addosso alla perfezione: è una corazzata, forte e rocciosa, proprio come il muro costruito in difesa. Prima di un nuovo lungo stop, Samuel supera ancora una volta la Roma, nella finale di Supercoppa italiana. Poi, però, il 6 novembre 2010 nella partita contro il Brescia è costretto ad alzare di nuovo bandiera bianca: si era ripreso da circa due anni, ma il legamento crociato anteriore del ginocchio destro si lesiona di nuovo. Perde il Mondiale per Club, che però l’Inter riesce a vincere con Rafael Benitez in panchina, e tora in campo soltanto a maggio, saltando però la finale di Coppa Italia, che la squadra vince senza di lui. Nel 2012 torna a essere il ministro della difesa nerazzurra, raggiungendo anche il traguardo delle 500 gare da professionista con i club e a vincere il decimo derby di Milano in Serie A: con lui in campo, l’Inter ha sempre battuto il Milan, ma senza Samuel i rossoneri riescono ad avere la meglio 5 volte, oltre ad averne pareggiato uno. Una statistica che ha una sola motivazione all’ombra della Madonnina: se schieri The Wall, vinci.

Nel 2014, però, arriva il momento della separazione. Walter Samuel ha vestito per 9 anni la maglia nerazzurra, tatuandosela come una seconda pelle: è l’emblema della squadra che ha dominato in Italia e in Europa, che ha conquistato il tanto sperato Triplete di José Mourinho. Il 15 febbraio 2014 indossa per la prima volta la fascia di capitano dell’Inter, al posto di Javier Zanetti, ed è un tributo a un giocatore silenzioso, attento, meticoloso: con 236 partite, 17 gol, 13 trofei, Samuel nel giugno del 2014 saluta l’Inter, saluta Milano e l’Italia.

“Mi proposero di andare a giocare alla Sampdoria. Chiesi un periodo di riflessione perché non ero convinto. Non volevo giocare in un altro club italiano dopo l’Inter. Poi arrivò la chiamata dalla Svizzera  e accettai”.

Dopo un tira e molla che vorrebbe il difensore argentino alla Sampdoria o anche al Racing, per espressa richiesta dell’amico Diego Milito, Samuel decide di rimandare al mittente qualsiasi proposta. Arriva anche la Fiorentina a bussare alla sua porta, ma quando la stampa italiana dà per fatta la firma con Massimo Ferrero, divenuto appena un mese prima l’istrionico presidente del Doria, è il fascino della Svizzera a trionfare. Il 23 luglio 2014, Samuel si presenta a Basilea con la maglia numero 6 del club rossoblù. Firma un contratto di appena un anno con gli svizzeri allenati da Paulo Sousa (che a fine anno andrà alla Fiorentina), in una rosa che si sta preparando all’ultimo anno di carriera di Marco Streller. Porta a casa il campionato, ma in Champions League deve arrendersi al Porto negli Ottavi di finale, in una glaciale serata al St. Jakob Park. A fine anno rinnova il proprio contratto, sente di poter dare qualcosa in più ancora una stagione, nonostante le previsioni precedenti. A ottobre, però, con le presenze da titolare che iniziano a essere inficiate dalla condizione fisica (18 gare nella prima stagione in Svizzera), decide di annunciare il proprio ritiro dal calcio giocato. Vince il campionato anche con Urs Fischer in panchina e saluta tutti dopo la sconfitta per 1-0 contro il Grasshopper il 25 maggio 2016. 700 partite esatte in carriera, con 44 gol segnati.

Oggi Walter Samuel è collaboratore di Lionel Scaloni, suo ex compagno di nazionale, nello staff che guida l’Argentina che si è laureata Campione del Mondo in Qatar. Tra il 2016 e il 2018 è stato collaboratore di Stefano Pioli all’Inter, osservatore dei nerazzurri, vice allenatore di Pierluigi Tami al Lugano e si è diplomato come allenatore con il tesserino Uefa Pro. Mai una parola fuori posto, mai un atteggiamento da prima pagina, se non per le sue doti calcistiche: Samuel è stato uno dei più grandi difensori del calcio moderno, un oggetto del desiderio per tutti gli allenatori e un talento del quale solo tecnici come Bianchi, Capello, Mancini e Mourinho hanno potuto, nel miglior modo possibile, godere. A mancargli fu solo il successo con l’Argentina da giocatore, ma mai per demerito suo. E' arrivato comunque come collaboratore.

“A casa non parlo mai di pallone con la famiglia, non mi soffermo a vederlo nemmeno tanto in televisione. Questo mi aiuta a rendere al meglio in campo.”

Pubblicità