Alessio Tacchinardi JuventusGetty Images

Alessio Tacchinardi, 'stella' alla Juventus con una parentesi al Villarreal

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La Juventus degli anni ’90 ha potuto fare affidamento su due dei migliori mediani ‘metodisti’, come si diceva un tempo, che si siano mai visti su un campo da calcio. Tra il 1994 e il 1996, Didier Deschamps e Paulo Sousa hanno formato una delle coppie più complete e affidabili di sempre. Non è un caso che l’ultima notte della coppia mediana sia stata la finale di Champions League vinta all’Olimpico di Roma nel 1996. L’apoteosi.

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Più che gregari, il cuore della squadra. In un reparto con Conte, Di Livio, Jugovic, dal 1996 anche Zinédine Zidane. Qualità. E poi, dall’estate del 1994, un giovane ragazzo che aveva colpito Marcello Lippi, che lo aveva voluto a Torino. Alessio Tacchinardi quell’anno festeggiava i 19 anni e si proponeva come uno dei talenti italiani migliori in circolazione.

Manco a dirlo, prodotto dell’Atalanta. Già a inizio anni ’90 il vivaio nerazzurro produceva grandi talenti e si toglieva soddisfazioni importanti. Cesare Prandelli in panchina, in campo tra gli altri Domenico Morfeo, Gianluca Savoldi, Tomas Locatelli. Con la regia del compianto Mino Favini, scoperto dal ‘maestro’ Bonifacio che a Zingonia ha portato gran parte dei talenti maturati e poi arrivati in Serie A.

“A portarmi all'Atalanta fu il ‘Maestro' Bonifacio, che mi vide in una partita quando giocavo nel Pergocrema. Avevo solo dieci anni, e quella è stata la mia prima grande gioia a livello calcistico. All'Atalanta ho imparato molte cose, in campo ma anche fuori. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi insegnanti, di sport e di vita. Oltre a Bonifacio ho avuto Perico, Prandelli e il grande Favini. Mi hanno insegnato la tecnica, il rispetto per i compagni e per gli avversari, e poi anche la cultura del lavoro e del sacrificio”, ha ricordato a ‘BergamoNews’.

Centrocampista, capitano e leader. L’uomo dell’equilibrio, che faceva girare tutta la squadra. E che la portava alle vittorie. Campioni degli allievi quando il nativo di Crema - che da Bergamo dista giusto una quarantina di km - aveva solo 16 anni. Poi campioni anche a livello Primavera. Tacchinardi si era già fatto notare, a 17 anni si allenava già con la prima squadra. Allenatore? Marcello Lippi. A 17 anni e mezzo l’esordio in Serie A contro l’Ancona, da titolare. I suoi primi e unici 68 minuti.

Alessio TacchinardiGetty Images

Nel 1994 l’arrivo di Lippi sulla panchina della Juventus coincide con una ristrutturazione del centrocampo. Deschamps, Paulo Sousa, l’esperto Luca Fusi. E anche il giovane Alessio Tacchinardi. 4 miliardi di lire, non una cifra banale per l’epoca. Specie per un giocatore da sole 11 presenze in Serie A, anche se già sponsorizzato a livello nazionale come uno dei migliori talenti in circolazione. Sembrava destinato ad arrivare a Torino l’anno dopo, invece i tempi sono stati anticipati.

Lippi lo conosceva già. Aveva iniziato a proporlo come difensore centrale, data anche l’abbondanza a centrocampo. Con buoni risultati, ottimi. Vince anche una Coppa Italia da titolare in quel ruolo, che non era forse suo al 100%, ma in cui si adattava perfettamente. La sua storia, comunque, avrebbe detto altro: mediano, uno dei migliori. Doveva solo aspettare la sua occasione per trovare continuità.

Per le prime stagioni, Tacchinardi doveva ‘farsi trovare pronto’, come recita il diktat di ogni riserva in una squadra ricolma di campioni come era quella Juventus. Non era un titolare, nemmeno uno che si prendeva le prime pagine. Quelle spettavano a Vialli, Baggio, Del Piero. Deschamps, Conte. Peruzzi. Però Tacchinardi godeva della fiducia e della stima di Lippi e dell’ambiente bianconero. E anche della Nazionale: esordio nel settembre 1995, peraltro proprio da difensore centrale. Curiosamente, per la seconda presenza avrebbe dovuto pazientare altri cinque anni.

Nel 1996, con la conquista della Champions League, Tacchinardi sale sul tetto del mondo. Anche se la finale di Roma la guarda dalla tribuna. Si rifà giocando da titolare le due gare di Supercoppa UEFA contro il PSG. Poi sale sul tetto del mondo vincendo la Coppa Intercontinentale a Tokyo con lo storico goal di Alessandro Del Piero. A 21 anni, ha già riempito il palmarès a ogni livello. Negli anni seguenti raggiunge anche un altro obiettivo: diventare un titolare, non solo un comprimario, con la maglia della Juventus.

Dopo l’addio di Deschamps nel 1999, con l’arrivo di Carlo Ancelotti in panchina Tacchinardi diventa un perno del centrocampo e uno dei più utilizzati della rosa. Anche con il ritorno di Lippi, il cremasco affianca Edgar Davids per comporre una delle coppie centrali che hanno fatto la storia. Specie nella stagione 2001/02, quella conclusa con lo storico cinque maggio.

“In settimana ci allenavamo normalmente sapendo che l’Inter avrebbe vinto con la Lazio - ha raccontato al ‘Giornale’ - eravamo tutti delusi perché avevamo computo una bella rimonta. Ricordo l’incazzatura di Lippi, ci vedeva delusi. Lui ci credeva e ci ha martellato per tutta la settimana. Alla fine ha avuto ragione lui”.

Alessio Tacchinardi JuventusGetty Images

Nell’annata seguente è un insostituibile nella Juventus che arriva fino alla finale di Champions League persa contro il Milan. Gioca tutte le partite in cui è disponibile, ma il ‘vizio’ dei cartellini gli costa ben tre squalifiche. Guardacaso, dal secondo turno in avanti con le sue assenze coincidono anche due sconfitte. A Old Trafford c’è, gioca 120 minuti, non prende parte alla serie finale di rigori. Vive una notte deludente per lui e per tutta la Juventus.

“Di finali ne ho perse tre su quatto. Sono drammatiche. Non ci voglio pensare perché poi è talmente tanta la delusione che ti porti dietro che vivi male anche tutta l'estate e la preparazione successiva”.

Nel 2006 ha sfiorato la quinta finale di Champions League della sua carriera. Non più con la maglia della Juventus, salutata nell’estate 2005. Con l’arrivo di Fabio Capello il suo minutaggio si era ridotto drasticamente, chiuso anche dall’arrivo di Emerson prima e Vieira poi. Così, la particolare scelta di provare l’avventura all’estero. Con il sorprendente Villarreal di Manuel Pellegrini. È in campo nei quarti di finale di Champions League, quando il Submarino Amarillo elimina l’Inter. Guarda dalla tribuna la semifinale di ritorno contro l’Arsenal in cui Riquelme si fa parare il rigore da Lehmann.

Il ritorno in Italia nel 2007 è un’ultima passerella con il Brescia, vicino a casa, a Crema. In Serie B. Con Serse Cosmi in panchina Tacchinardi vive la sua miglior stagione realizzativa della carriera con 9 reti all’attivo. Porta la squadra al playoff, ma si arrende all’Albinoleffe al primo turno perdendo il ritorno per 2-1. Un cerchio che si chiude: l’ultima partita della sua carriera all’Atleti Azzurri d’Italia, nel giugno 2008. Lo stadio di Bergamo, dove aveva iniziato.

A 33 anni, decide di fermarsi, non trovando un’altra situazione e preferendo stabilirsi con la famiglia. Per un periodo si è allenato anche con gli amatori dello Sporting Juvenes, vicino a casa. Poi l'esperienza alla guida del Lecco in Serie C, dopo essere stato una presenza costante negli studi Mediaset come opinionista, durata appena 4 partite prima della separazione.

Una carriera da vincente, con una piccola mancanza: nessuna partecipazione ai grandi tornei con l’Italia. Solo 13 presenze, le ultime nel 2003. Un posto nella storia, comunque, Tacchinardi se lo è conquistato in bianconero. Ha una stella che porta il suo nome all’Allianz Stadium. Oltre 400 presenze, 15 trofei di cui 6 scudetti e una Champions League. Più che discreta consolazione.

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