Dado Prso Monaco La CorunaGetty

Quando Prso fu leggenda: poker di reti in Monaco-Deportivo La Coruna di Champions League

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Non è male essere Dado Prso. Perchè fai parte di quella cerchia di calciatori che comunque, in alto e a destra, da Timbuktu a Portland, vengono ricordati. Dai trentenni, perchè sono cresciuti con lui, dal suo nome particolare alla nostalgia di quegli anni europei. Dai ventenni, per la statistica che lo pone al fianco di mostri sacri, ben più sacri, ogni qual volta qualcuno segna un poker di reti in Champions League. Come fece lui, con la maglia del Monaco, in una gara da raccontare a nipotini. Che forse, oramai, lo hanno saputo prima da Wikipedia, più veloce e certa.

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Quattro lettere, P-R-S-O. Come le quattro reti, su otto, la metà, di quella serata. Era quella Champions League, proprio quella. Quella che per tanti ha significato iniziare una carriera verso la gloria, eterna, terrena, ultra-terrena. Quella di Mourinho Re d'Europa, col Porto, che sì batte il Monaco di Prso in finale, sorpresa assoluta del torneo a livello di nome, ma non di nomi. Ci sono Giuly, Morientes, Nonda, Adebayor, Evra. Non per fare la parte del vecchiaccio, ma sì, nell'attuale competizione continentale, avrebbe pochi problemi ad imporsi.

Dado PrsoGetty Images

Ma allora la Champions era veramente il gotha del calcio, a dir poco complicata da vincere perchè tutti, potevamo riuscirci. Arrivare in finale, però, poteva essere sorprendente solamente per una, mentre l'altra, costantemente, faceva parte dell'elite.

In quel 2004 invece Porto e Monaco, bocche spalancate. Meno, però, rispetto alla fase a gironi, quando i principini del Principato ebbero la meglio sul fu Super Depor, demolito 8-3 lontano dalla base casa madre La Coruña. Andò comunque avanti il team spagnolo, spingendosi in semifinale, superando l'onta delle otto reti, che a ben vedere pochi ricordano.

Un sondaggio non lo mostra, perchè forse, no, non è mai stato fatto. Ma se da qualche parte, nell'angolo più sperduto d'Europa, del Principato o di La Coruña venisse messo insieme, mano sul cuore, giurin giurello, tutti ricordano più Prso e il suo poker, che quella gara roboante.

Del resto solo pochi interpreti ci sono riusciti, e giù di nomi. Messi, Cristiano Ronaldo, Ibrahimovic, Van Nistelrooy. E una manciata in più, come Simone Inzaghi, che condivide con Prso l'essere stato un buon attaccante, ma non d'elite. Pregno però della santa benedizione delle quattro reti in Champions League. Per sempre.

Prso si unisce alla festa sul 3-0, segnando di testa, incornando dal corner dopo aver festeggiato le reti di Rothen e Giuly. E' il 26'. Quel ricordo oscilla tra l'8-3, meno presente in mente, e la quaterna del croato, 32 volte in campo con la sua Nazionale, con al collo sei medaglie d'oro e una rete per ogni arto. Dopo la doppietta, quella gara diventa la sua, e rimembrare è dolce e nostalgico, pensando a lui.

Perchè Prso al 30' sigla la sua personale doppietta, ancora di testa, sovrastando quei centrali che non sanno dove guardare, storditi, imbambolati, fermi sul terreno davanti ai salti mortali, in alto e in avanti, dell'attaccante di Deschamps. Esultanza sobria, baci al pubblico, ma ci si ricorda di lui, eccome se è così. Della partita, a costo di essere ripetitivi, meno. Forse perchè il Depor, poco Super quella sera, segna due goal sperando nel miracolo.

L'unico miracolo sportivo è quello di segnare quattro reti, un piede, una capocciata, ricordi del match, solo tendenti all'uomo di Zara, 86 kg per 190. Un carro armato. La tripletta è quanto di più facile ci sia nel manuale del calcio, tra un Giuly che si porta dietro difensori e portiere e un destro che deve solo spingere in rete il pallone per esultare ancora una volta col dito in alto e l'anima fuori.

Poi segna anche Plasil, metterà dentro pure Cissè, nonchè Tristan. In mezzo, dalla sinistra riceve Prso, avanza, trova col destro la deviazione di un difensore. E allora al diavolo tutto, al diavolo l'essere morigerato. C'è da prendere le armi e mostrarle, smitragliando alla Bati, che di goal ne ha quattro, col codino sul capo e l'emblema del Monaco sul petto.

Un lungagnone che sì, sapeva segnare. Non ai livelli di Lewandowski, per le nuove reclute, non a quelli di Batistuta, per le vecchie. Ma per uno col suo fisico, la mole di reti messa dentro era notevole. Anche se tutti, come fosse l'attore shakesperiano noto al grande pubblico per aver indossato una maschera da supereroe, puntano il dito considerandolo quello della quaterna. Solamente.

C'è di peggio, nell'essere ricordati così. Ad esempio, non essere ricordati, per non aver mai segnato quattro goal in Champions League. Come praticamente ogni professionista che abbia calcato quei campi, prima e dopo l'avvento della musichetta.

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