HUGO GATTI GFXGOAL

Parate e follia: la leggenda del Loco Gatti, il portiere clown del calcio argentino

I capelli sono lasciati liberi di arrivare fino alle spalle, parzialmente contenuti solo da una bandana sulla fronte. Il volto da indio è perennemente abbronzato dal sole. Le gambe sono magre, tenute scoperte dall'assenza di parastinchi e dai calzettoni arrotolati. Non esattamente il physique du rôle del perfetto pedatore. Frammenti di un calcio lontano nel tempo, di un mondo lontano nel tempo. Il mondo di Hugo Orlando Gatti. El Loco. Pazzo come Sebastian Abreu, anche più di Marcelo Bielsa. Un personaggio bizzarro e indimenticabile del fútbol sudamericano. Uno dei tanti. O forse no.

Gatti, semplicemente, è uno dei portieri più folli e istrionici che in Argentina abbiano mai conosciuto. Astuto, irriverente, provocatore, esagerato nei comportamenti. Ha indossato sia la camiseta del River Plate che quella del Boca Juniors. Non sono in molti a poter dire di averlo fatto. Ha calcato i campi della Primera División per 26 anni consecutivi, dal 1962 al 1988. Ancor oggi detiene il record di partite disputate nel massimo campionato argentino: 817. E pure quello di rigori parati, 26, anche se in condivisione con Ubaldo Fillol. Ha vinto campionati, un paio di Libertadores, un'Intercontinentale. Eppure è entrato nella leggenda per altro. Per il suo modo di fare, di essere, di comportarsi, di atteggiarsi. Fuori dal campo, tanto da chiamare uno dei figli Lucas Cassius in onore di Cassius Clay. Ma soprattutto dentro. Tra una traversa e un paio di pali, dentro un'area di rigore. E, spesso, pure all'esterno dei 16 metri.

Non è esagerato, in questo senso, definire Gatti il padre dei portieri moderni. Anche se con alcuni distinguo. È uno a cui rimanere ancorato dentro una porta proprio non sta bene. Vuole sentirsi libero, sperimentare, essere avanti nei tempi. Vuole fare lui il primo regista della squadra. Spesso esce dall'area per anticipare l'attaccante avversario, a volte avvia lui stesso l'azione. Spesso con successo, a volte no. Quando gli va bene, è una goduria. Come in un Boca-Estudiantes del 1981, quando esce dall'area palla al piede, salta un paio di avversari e sulla linea della metà campo lascia palla a Perotti, il quale a sua volta si invola verso la porta e segna. Poco prima si era beccato un insulto da Pancho, suo compagno di squadra, esasperato dalle sue continue richieste di tenere la linea difensiva altissima: “Smettila di rompermi le palle, indio di merda”.

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Hugo Gatti - Boca Juniors

A proposito: capita pure che Gatti si tolga i guanti da portiere e giochi da attaccante. Una volta accade nel 1976, in un'amichevole contro il Platense vincitore della Primera B, mentre il Boca ha appena conquistato il Metropolitano. La scena si ripete cinque anni più tardi, nel 1981. In profonda crisi economica dopo l'acquisto di Diego Armando Maradona dall'Argentinos Juniors, gli Xeneizes devono racimolare qualche soldo con una serie di amichevoli in giro per il mondo. Ma metà rosa è in sciopero e altri giocatori sono assenti per infortunio. Gatti inizia in panchina contro i messicani dell'Atlas. Fa il proprio ingresso a un quarto d'ora dalla fine, il numero 14 di Cruijff sulle spalle, la solita boria ad accompagnarlo: “Attenti, che entra il maestro”. Raccontano le cronache che in quell'occasione gioca pure benone, pur senza segnare.

Gatti aveva imparato ben presto il modo di farsi conoscere per le proprie mattane. Sin da quando giocava nell'Atlanta, la sua prima squadra. Una volta, giovanissimo, passa la palla a un compagno facendola prima rimbalzare contro la traversa. In partita, mica in allenamento. E la società lo sospende per una settimana. Non di rado, mentre l'azione si svolge dalla parte opposta del campo, si siede appoggiandosi al palo “per prendere il sole”, come dice spesso. Oppure sulla traversa, addirittura. È un portiere-pagliaccio, un clown annoiato che ha sempre bisogno di farsi notare per dire di esistere davvero.

“Il calcio che si offre al pubblico è molto triste – si giustifica a 'El Grafico' all'inizio degli anni 70' – e io mi sento obbligato a renderlo più allegro, facendo qualche cosa rara che possa divertire la gente”.

Il River Plate lo nota nell'Atlanta quando ha appena 20 anni e un solo campionato di Primera alle spalle. L'intenzione è assicurarsi l'erede di Amadeo Carrizo, leggenda del Millo e del calcio argentino. Che nel 1964 ha 38 anni, ma nessuna intenzione di mollare. Tanto che rimarrà in campo fino a 44, chiudendo in Colombia. Gatti resta nella Baires bianca e rossa per cinque anni, ma gioca meno di quanto vorrebbe. E il suo carattere focoso non lo aiuta, nemmeno nei rapporti col titolare. Dirà in seguito: Non ho mai ascoltato un consiglio da Carrizo: ne sapevo più io di lui”.

La svolta potrebbe arrivare nel 1965, al secondo anno di River. Tutta la squadra si reca in Spagna per giocare un'amichevole contro il Real Madrid. Gatti in quella partita è il titolare e se la cava bene. Tanto che il presidentissimo del Real, Santiago Bernabeu, gli propone un contratto:

“Eravamo a cena e Bernabeu mi disse: 'Ragazzo, vuoi giocare nel Real Madrid? Ero spaventato. Mi sono messo a ridere, non gli ho risposto nulla”.

Così è l'Unión di Santa Fe, nel 1969, a puntare sul Loco. L'allenatore è un personaggio illustre del nostro calcio: Juan Carlos Lorenzo, lo stregone di Lazio e Roma. Tra i due il rapporto è di amore e odio. Anche al Boca Juniors, dove condivideranno nuovamente lo spogliatoio. Una volta Lorenzo se la prende con Gatti, reo di aver preso due reti evitabili in una gara di campionato, e all'intervallo lo lascia negli spogliatoi. E dal Loco volano scintille: “Vai da un oculista, non ci vedi bene”. Sarà escluso per tre mesi da allenamenti e partite.

Però al Boca, dove arriva nel 1976, diventa ben presto un beniamino. Vi rimarrà per 13 anni. La spinta iniziale di trofei si esaurisce ben presto, ma intanto Gatti marchia a fuoco il proprio nome nella storia xeneize. Sia in quel '77 che nel '78, gli anni delle prime due Libertadores conquistate dal club. La prima è per gran parte merito suo. Al Centenario di Montevideo, il Boca e il Cruzeiro hanno chiuso sullo 0-0 lo spareggio. La prima finale è andata agli argentini, la seconda ai brasiliani. Si va ai calci di rigore. Segnano tutti, tranne uno: Vanderley, il capitano del Cruzeiro. Esecuzione mancina, respinta di Gatti, Boca campione. Gli Xeneizes si ripeteranno nella Coppa Intercontinentale contro il Borussia Mönchengladbach, qualche mese più tardi. Di nuovo con uno show del Loco.

Sono in tanti, in quei mesi, a pensare a Gatti come al logico titolare dell'Argentina. L'Argentina che si prepara ai Mondiali casalinghi, l'Argentina che ha l'obbligo di vincerli. Hugo è in piena corsa. Fino al 1977 è lui il numero uno. Un anno prima, in Unione Sovietica, aveva dato di nuovo show. Questa volta limitandosi a fare il proprio mestiere. La Selección aveva vinto per 1-0 sotto la neve e lui era stato il migliore in campo.

“A Kiev faceva un freddo assassino – ha raccontato anni dopo – Con tutta la neve che stava cadendo, il terreno di gioco sembrava una pista di pattinaggio. Io avevo con me una boccetta di vodka. Ogni tiro, un sorso. Dev'essere stato per questo che non passava nulla. Anche se non è stata l'unica partita in cui me la sono portata dietro: anche contro la Polonia, l'Ungheria...”.

Però il percorso si fa improvvisamente più arduo. Anche perché la concorrenza per i Mondiali è di quelle spietate: si chiama Ubaldo Fillol, è più giovane di lui di sei anni ed è altrettanto affidabile. A complicare i piani è un infortunio a un ginocchio che il Loco rimedia nei mesi precedenti l'inizio della competizione. A distruggerli, qualche incomprensione con il ct Menotti. A sbarrargli la porta del sogno, la propria decisione di farsi da parte. Per non sentirsi complice del regime di Videla, sosterrà qualcuno. Per non fare da secondo a Fillol, diranno altri. Un mistero mai completamente risolto.

“Gatti è venuto da me a dirmi che il suo ginocchio non è guarito del tutto – dice Menotti al momento di annunciare le convocazioni – e di aver bisogno di un tipo di lavoro diverso per poter recuperare completamente”.
“Da tempo – è la versione del Loco – volevo lasciare la Selección”.

Così, il mondo di Gatti si chiama e continua a chiamarsi Boca Juniors. Dove, a un certo punto, conosce Diego Armando Maradona. I due diventeranno amicissimi. Anche se il primo impatto, da avversari, non era stato il massimo della vita. Accade nel 1981, quando Diego gioca nell'Argentinos. È soprannominato Pelusa e non ancora Pibe de Oro, ma è già entrato nel mirino del Boca e di lui si parla un gran bene. Hugo si sta bevendo un whisky in hotel e viene avvicinato da un giornalista, Oscar Bergesio. Questi gli chiede di Dieguito e l'altro non perde l'occasione di provocare:

“Maradona è un giocatore molto buono, il migliore in questo momento. Ma sai che cosa mi preoccupa di lui? Il suo fisico. Non riuscirà a tenere a bada la sua tendenza a diventare grassottello”.

Diego non è presente, quando Gatti sparla di lui. Ma le parole del portiere arrivano lo stesso alle sue orecchie. Così va da Jorge Czysterpiller, amico e poi agente, e giura: “Gli faccio quattro goal. In ogni modo”. A nulla servono le successive scuse di Gatti prima della partita, rinsaldate da successive dichiarazioni: “Non ho mai detto che è un grassottello, semplicemente di stare attento al suo fisico, perché non lo aiuta molto”. Sta di fatto che l'Argentinos vince 5-3 alla Bombonera e quattro reti – la prima su rigore, la seconda con una punizione inumana calciata da una posizione inumana, la terza con un lob ravvicinato, la quarta con una punizione un filino più umana – le segna Maradona.

Gatti rimane al Boca fino al 1988. Chiude a 44 anni, amaramente e con un errore rimasto nella storia: alla Bombonera arriva il piccolo Deportivo Armenio, che vince 1-0 grazie a una rete di Sergio Maciel, abile a sfruttare una palla persa dal Loco in una delle sue tante passeggiate fuori dall'area. Questa volta nessuno è più disposto a perdonargli nulla. Nemmeno la Doce, con cui è da tempo in rotta per questioni politiche. E nemmeno l'allenatore, il 'Pato' Pastoriza, e la società.

“Sono uscito dall'area per contrastare l'attaccante, che però mi ha anticipato – si giustifica ai tempi al 'Clarín' – Non è nulla di eclatante. Non è stato tanto un mio errore, quando un pezzo di bravura di Maciel. Semplice”.

La realtà dice che, da quel momento, le porte del Boca Juniors per lui si chiudono. Definitivamente. Pastoriza lo lascia in panchina e al suo posto inizia a schierare il secondo, Carlos Fernando Navarro Montoya. Il Mono, altro personaggio bizzarro e storico del fútbol argentino e sudamericano. Uno che ha sempre definito Gatti “il mio idolo”. E che ora si ritrova a dover rimpiazzarlo. Anni dopo i due si ritroveranno a condividere un'intervista sul 'Grafico' assieme a Oscar Cordoba, l'ex Perugia, altro beniamino boquense. E Gatti dirà ai due, scherzando ma neppure troppo: “Se avete giocato nel Boca, il merito è mio”.

Gli eredi di Gatti, istrionici e fuori dalle righe, iniziano a proliferare. Navarro Montoya, ma anche Burgos, l'altro Mono. E poi il Gato Sessa. Senza dimenticare il re dei re, René Higuita. Il Loco, invece, non metterà più piede ufficialmente su un campo di calcio. Molto per colpa sua, va detto. Nei giorni in cui pare fatta con il Deportivo Cali, Gatti si presenta in Colombia per giocare la partita d'addio di Willington Ortiz, uno dei centravanti più prolifici della storia del calcio cafetero. Solo che scende in campo con la maglia dell'altra squadra di Cali, l'America, la squadra in cui Ortiz ha chiuso la carriera. E la firma sfuma.

Il post carriera di Gatti è un fiume di parole. Sparisce la bandana, prende sempre più piede la vis polemica. Praticamente contro chiunque. Il Loco si trasferisce in Spagna, collabora anche col Chiringuito e ogni tanto spara a zero. Ce l'ha soprattutto con Leo Messi. Una volta dice che “Benzema è più forte di lui”. Un'altra che Leo “sembra un ex giocatore”. E un'altra ancora che "è meno forte di Di Maria e paragonato a Maradona non esiste". E via così, senza sosta. Ma nel mirino finisce anche Gigi Buffon. Qualche anno fa si parla di un (improbabile) approdo al Boca e Gatti non resiste: “È un portiere a fine carriera, se mi rimetto in piedi sono meglio io”.

Qualcuno, qualche anno prima, l'aveva preso in parola. Nel 2006 Ricardo Palasón, presidente de El Indio, piccolo club di una cittadina a 80 chilometri da Buenos Aires, aveva sparato: “Abbiamo un accordo con Gatti, giocherà con noi”. Ma l'ex portiere si è immediatamente affrettato a smentire: “Ho 61 anni, sarebbe una mancanza di rispetto tornare in campo”. Come dire che anche i locos, ogni tanto, sanno porsi qualche limite.

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