Jehad Muntasser GFXGoal

L'Arsenal e la Serie A, un minuto per cambiare la storia: Muntasser, l'internazionale

“Lo prendevamo sempre in giro, ma alla fine pensavamo: ‘Lui va a giocare le qualificazioni per i Mondiali e noi rimaniamo a giocare qui, in Serie C’”.

Non capita a tutti di avere una pagina dedicata sul sito ufficiale dell’Arsenal, per quanto questa possa essere sintetica. “La carriera di Jehad Muntasser all’Arsenal è durata un minuto”, recita il titolo: un giro d’orologio, 60 secondi, qualcosa in più, per entrare nella storia. Insomma: quel minuto che vale (e dura) un’eternità.

L’unico reperto video che si trova su YouTube e relativo alla sua presenza con i Gunners lo ha caricato un account che porta il suo nome: è un riassunto estremamente stretto di quella sera di Highbury dell’ottobre 1997. Prima di arrivarci, però, sarebbe ingeneroso non dare un po’ di contesto alla sua storia.

A Muntasser manca un po’ il fisico, forse: tutto il resto, dalla tecnica all’attitudine, fanno pensare a un centrocampista che ben si sarebbe sposato con l’idea del giocatore moderno alle soglie del nuovo millennio. Inizia a giocare in Italia, nonostante sia nato in Libia: anche perché da quelle parti il calcio tra gli anni ’70-’80 non era proprio una delle priorità, quanto un possibile ostacolo in termini di notorietà e creazione di idoli al regime di Gheddafi. Pur con qualche ritrosia, qualche anno più tardi il rais si sarebbe dovuto ricredere, spinto dalla passione del figlio, Saadi, vecchia conoscenza del calcio italiano.

“In TV non si poteva neanche nominare i giocatori: il telecronista doveva limitarsi a chiamarli per numero di maglia. Non c’è mai stata la possibilità di sviluppare il calcio in Libia: l’unico campo in erba che esiste tutt’ora, a Tripoli, è stato costruito da italiani”, ha raccontato a TMW, diversi anni fa.
Jehad Muntasser LibyaGetty

Ben al di là delle questioni politiche fortunatamente non di soli idoli vive il calcio, prezioso nel mantenere il suo valore salvifico e rivoluzionario: quella di Muntasser, di rivoluzione, inizia alle soglie degli anni ’90, quando dopo essersi trasferito a Milano viene notato da Mino Favini che lo porta all’Atalanta. Una Dea lontana dal progetto attuale, ma che comunque gli permette di crescere, prima di trasferirsi alla Pro Sesto. È il preludio al grande passo: il pallone rotola talmente veloce, a volte, che neanche te ne accorgi. Un attimo prima sei tra i palazzi di Sesto San Giovanni, quello dopo ti trovi su un aereo di sola andata e con in mano la possibilità di un provino all’Arsenal strappata a Liam Brady, con una valigia piena di sogni e speranze.

Vivere nel 1997 in Inghilterra vuol dire fare i conti con due dei fenomeni che più riusciranno a segnare la successiva storia del mondo: la prematura scomparsa di Lady Diana e l’inizio della decadenza del Britpop. In radio suonano le canzoni di alcuni dei migliori album mai pubblicati: si passa facilmente da “No Surprise” dei Radiohead a “Song 2” dei Blur. Altri, chiaramente, ricorderanno “Bittersweet Symphony” dei Verve e “Stand by Me” degli Osasis. Che periodo, quello.

Proprio mentre il Regno Unito affrontava uno dei periodi più drammatici della sua storia, l’Arsenal si trova esattamente a metà tra una stagione, la prima di Arsène Wenger in panchina, conclusa al terzo posto e quella della vittoria in Premier League. Per intenderci: è anche l’anno del clamoroso trasferimento di Nicolas Anelka dal PSG ai Gunners. Clamoroso nella forma e nella sostanza: storico, per tutti gli effetti sul calciomercato, tra conferenze e contro-conferenze internazionali. È in questo clima di profondo caos che si incastona, come una gemma, l’arrivo di Muntasser a Londra.

È il primo giocatore libico del calcio inglese, ma non gioca praticamente mai: sorride, questo lo fa sempre. Fa bene: anche perché a migliaia di chilometri di distanza, lì dove il calcio non era amato, iniziano a guardare al pallone con interesse.

“Avevo iniziato a giocare nell’Arsenal e il figlio di Gheddafi mi chiamò perché incuriosito nel sapere che un libico facesse il calciatore professionista in Inghilterra: essendosi appassionato al calcio mi ha chiesto di giocare con la Nazionale libica. Così c’è stata l’apertura al calcio”.

In Nazionale Muntasser gioca le qualificazioni ai Mondiali, senza mai arrivarci: disputerà una Coppa d’Africa nel 2006 scendendo in campo contro Egitto e Costa d’Avorio, ma è all’Italia che la carriera calcistica del centrocampista libico associa i ricordi migliori. Dopo una parentesi senza presenze al Bristol si trasferisce all’Empoli, quindi entra a far parte del Perugia dei Gaucci, vestendo praticamente tutte le maglie legate alla proprietà. Alla Viterbese non fa male, al Catania vive una di quelle stagioni che per poco non finiscono in gloria, spezzata, quest’ultima, in finale Playoff per la promozione in Serie B contro il Messina.

“Era l’unico giocatore internazionale della nostra squadra. La presenza all’Arsenal vuol dire, al di là della presenza in sé, anche potersi allenare a un certo livello. È sempre stato un ragazzo con qualità importanti: introverso sì, ma si sapeva adattare bene”, racconta a GOAL Giuseppe Baronchelli, suo capitano al Catania nel corso di quel campionato, spento al Celeste.

Lungo la strada per Messina, chissà, Muntasser avrà ripensato alla gara d’andata della stagione regolare: il Derby al Massimino chiuso con un netto 4-0. Al 24’ c’è un contropiede per la formazione rossazzurra: il centrocampista libico si propone sulla sinistra e viene servito. Si porta avanti il pallone quasi con la suola, quindi scarica un destro fiacco che, però, riesce a battere Aiardi per il momentaneo 2-0. È la prima rete tra i professionisti: Muntasser impazzisce. Corre verso la Curva Sud e toglie la maglia: non riescono a fermarlo, manda baci in tribuna. Altra giornata indelebile.

“Credeva molto a quello che stavamo facendo: era in sintonia con la parte emotiva di Catania e del Catania. Mi ricordo che un paio di volte è andato via a fare le qualificazioni ai Mondiali con la sua Nazionale, lo prendevamo un po’ in giro, ma alla fine pensavamo: ‘Lui va a giocare le qualificazioni per i Mondiali e noi rimaniamo a giocare qui, in Serie C’'”, aggiunge Baronchelli.

Le esperienze alla Triestina e al Perugia gettano basi solide per la scalata tra le categorie: accumula presenze in Serie B (56 in totale, che sarebbero presto diventate 65, con 2 goal), prima di trasferirsi al Treviso. Il suo esordio in Serie A è da sogno: Ezio Rossi lo inserisce al 62’ della prima giornata contro l’Inter, a San Siro. Poco importa il risultato, come la tripletta di Adriano: la stagione, si sa, sarà sfortunata. Per lui, comunque, indimenticabile.

Appesi gli scarpini al chiodo, nel 2011, si è trasferito a Dubai, lavorando come collaboratore del direttore sportivo dell’Al-Ahli: nello stesso anno, caduto il regime di Gheddafi, in piena Primavera araba, si è impegnato insieme ad altri nomi noti del calcio (Javier Zanetti e Fabio Cannavaro tra gli altri) nell'organizzazione di una partita di beneficenza dal titolo “Friends of Libya’s Children” per aiutare i bambini colpiti dal conflitto. Sempre, l’avrete capito, con il sorriso.

Come quando nel pre-partita di Highbury, in coppa di lega, si riscaldava accanto a Luis Boa Morte, quest'ultimo inconsapevole che di lì a poco avrebbe siglato una tripletta, prima di vivere la classica notte che ti cambia la vita. Al 119’ e sul risultato di 4-1 Wenger gli rivolge le ultime parole prima di inserirlo al posto del giocatore portoghese, che tiene tra le mani la testa del compagno quasi come in segno di benedizione.

Il primo e sostanzialmente unico tocco della partita di Muntasser è un colpo di tacco al volo indirizzato a Christopher Wreh. “La carriera di Jehad Muntasser all’Arsenal è durata un minuto”, può darsi: un minuto che, però, è riuscito a cambiare la storia calcistica di un Paese, la Libia, e di un giocatore che del peso del destino si è fatto carico, riscrivendolo.

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