Makelele Real MadridGetty Images

Claude Makelele, l'equilibratore del Real Madrid 'Galactico'

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"A centrocampo corre per tre".

Potrebbe bastare questo per descrivere Claude Makelele. Uno 'alla Makelele' lo avrebbero voluto tutti, perché lui era l'uomo capace di darti equilibrio e lasciar liberi i più tecnici di sprigionare il proprio talento. Il talento del francese nello strappar palloni, però, lo possedevano in pochi. Pochissimi.

Ce ne si rende conto nelle tre stagioni di Makelele al Real Madrid, una camiseta pesante in termini di prestigio che la gente immagina veder indossata soltanto dai fuoriclasse. O quantomeno da calciatori coi piedi buoni. Non proprio i connotati presenti nel DNA del transalpino, stilisticamente lacunoso ma capace di prendersi una maglia in mediana e non mollarla più. Come? Sputando sangue per i compagni.

"Trovammo un ruolo che era fatto apposta per lui - spiega l'allora allenatore del Nantes (vecchio club di Makelele), Jean-Claude Suaudeau, in un'intervista concessa a 'Press Ocean' - La smise di tentare i dribbling o cercare gli assist e pensò a fermare quelli degli avversari: fu la scelta giusta".

Sì, perché lo stantuffo nato in Zaire e cresciuto a Parigi dall'età di 4 anni in principio giocava come... esterno offensivo! Un ruolo che, ad immaginarlo oggi dopo averlo ammirato in vesti totalmente differenti, fa un po' ridere. Risate con le quali Makelele al suo approdo al Real deve fare i conti, ma che presto trasforma in applausi.

"Durante il mio primo mese a Madrid tutto lo stadio mi fischiava ogni volta che toccavo palla - racconta a 'Four Four Two - ma quando abbiamo iniziato a vincere…".

"Chiamarono la squadra 'Galacticos', e non era solo un soprannome. Essere al Real era il picco massimo raggiunto da un calciatore: quando fai bene i tifosi ti esaltano, altrimenti accade il contrario. Sentivo molto la pressione, giocavo nel ruolo di Fernando Redondo, da quelle parti una specie di 'Dio': all'inizio è stato difficile".

Figo Makelele Hierro Ronaldo Real Madrid 03122002Getty

Una sfida impervia per chi nel curriculum ha Brest, Nantes, un'esperienza flop al Marsiglia ("Facevo il terzino destro, non ero contento né mi divertivo") e Celta Vigo: in Galizia però Makelele si fa notare a apprezzare, guadagnandosi la chance della vita. In terra iberica Claude trova un mentore, il classico angelo azzurro: Vicente Del Bosque.

"Da lui mi sentivo molto apprezzato, un buon allenatore capisce esattamente la tua importanza. Conosceva la mia posizione e sapeva che ero un elemento chiave per l'equilibrio della squadra".

Makelele nel triennio al 'Bernabeu' condivide lo spogliatoio con pedine del calibro di Raul, Luis Figo, Zinedine Zidane, Fernando Morientes, Steve McManaman, Santiago Solari e Ronaldo il Fenomeno, che del difendere difficilmente ne avrebbero fatto un dogma: 'croce' e lavoro sporco, così, erano tutti sulle spalle del povero compagno.

"Claude era il più importante centrocampista della squadra, ma anche quello il cui valore era meno riconosciuto", sentenzia nettamente McManaman.

Dall'inglese, nei confronti del transalpino, un attestato di stima enorme. Quanto quello elaborato dalla mente e uscito dalla bocca bocca del connazionale Zidane quando nel 2003 Florentino Perez taglia Makelele per arricchire il progetto 'Galactico' con David Beckham.

"Perché mettere un altro strato di vernice dorata sulla Bentley quando le togli l'intero motore?".

Claude rappresentava le fondamenta dei Blancos, l'uomo su cui poggiava il Real per potersi spingere all'attacco e limitare i danni in fase difensiva. Perez, però, forse ricordandosi del cappellino da baseball indossato dal mediano nel giorno della presentazione a Madrid, non se ne frega molto.

"Non era una stella e raramente faceva passaggi più lunghi di tre metri, arriveranno calciatori che lo faranno dimenticare".

Il numero uno dei Merengues nell'estate 2003 liquida così Makelele, ceduto al Chelsea in seguito a un divorzio fatto di promesse mancate.

"Dopo la mia terza stagione, la dirigenza mi assicurò che erano felicissimi del mio rendimento promettendomi un aumento d'ingaggio come riconoscimento. Ero felice, giocavo nel miglior club al mondo, perchè sarei dovuto andar via? Poi presero Beckham e durante il precampionato mi comunicarono che non era più possibile adeguare il contratto. Mi dissero che dovevo già considerarmi felice di giocare per il Real Madrid".

"A quel punto sentii che per me lì era finita, volevo andarmene. All'inizio non arrivarono offerte, nessuno pensò che il Real voleva cedermi per davvero, allora iniziai a spingere io parlando alla società. Quando si resero conto che stavo per partire, mi offrirono lo stesso stipendio di alcune stelle presenti in rosa: ma ormai era troppo tardi, avevo già deciso".

PS Zidane-Makelele Real Madrid 2003

Dopo tre anni, la 'liaison' tra Makelele e il Madrid si conclude. E' la fine di un sogno, se si considera quanto il francese aveva desiderato quella camiseta ai tempi di Vigo.

"Per forzare la dirigenza del Celta - rivela Marc Roger, allora procuratore di Makelele, nella sua biografia - presentai denuncia in commissariato raccontando che i tifosi avevano preso di mira l’auto del calciatore. Le sassate al parabrezza, ovviamente d'accordo con Claude, invece le avevo tirate io".

L'uomo da 145 presenze (e 2 goal, per capirci), due Liga, una Supercoppa di Spagna, una Champions League, una Supercoppa Europea e un'Intercontinentale dice addio. Destinazione Londra, più precisamente Stamford Bridge, dove il nostro Claudio Ranieri non vede l'ora di accoglierlo al Chelsea e fa scendere lacrime ai tifosi dei Blancos.

Filtro, corsa e legnate: il Makelele Real era questo. Ne sa qualcosa Ronaldinho, trattato senza troppi complimenti dal transalpino negli incroci sul prato verde avuti tra club e Nazionale (ah, con la Francia per Claude 71 gettoni, compreso quello nella finale mondiale del 2006 persa ai rigori contro l'Italia).

"Piccolo, preferisco che tu mi dribbli senza i tuoi trucchi da PlayStation, altrimenti ti mando in ospedale".

Un avvertimento, quello svelato da Makelele a 'RMC Sport', che servì a far abbassare la cresta al funambolico Dinho.

"Mi diede il pallone e mi chiese scusa".

Dopo la Spagna e cinque anni in Blues (dove si rivela un pilastro come al Real, contribuendo ad alzare trofei), Makelele torna in patria: lo fa al PSG (titoli anche sotto la Tour Eiffel) dove lega con Carlo Ancelotti, tanto da entrare nello staff dell'allenatore di Reggiolo una volta appesi gli scarpini al chiodo nel 2011.

Da qui inizia il percorso in panchina del 'balancer' dai polmoni inesauribili, fatto di gavetta come vice/assistente tra Montecarlo e Swansea e caratterizzato dalle parentesi (deludenti) in prima linea al timone del Bastia e dei belgi dell'Eupen.

Oggi Makelele - opinionista televisivo a 'Telefoot' nelle notti di Champions - è di nuovo al Chelsea: figura nell'organigramma dell'Academy, col preciso compito di aiutare i giovani nella crescita e monitorare i progressi dei talenti spediti in prestito dal club di Abramovich a farsi le ossa.

Chissà nel calcio moderno, sempre più offensivo e dove l'equilibrio viene spesso sacrificato in favore di attaccanti, qualità e costruzione, quanto spazio troverebbe Makelele: la cosa certa, però, è che nella testa di Perez qualche rimpianto l'ha lasciato.

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