Jacopo Sala - HamburgGetty

Dagli allenamenti con Drogba e Lampard alla grande chance Amburgo: gli inizi di Jacopo Sala

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Da un piccolo comune della Val Seriana a Londra, a 15 anni. Jacopo Sala di certo sa cosa significhi l’espressione ‘compiere il grande salto’. Partito da Vertova, nella provincia di Bergamo, arrivato a Londra quando in pochissimi lo conoscevano. Anche se all’Atalanta si stava già facendo un nome, tanto che solo quattordicenne aveva esordito con la Nazionale Under 16.

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In nerazzurro ci era arrivato quando aveva 10 anni, dopo aver mosso i primi passi vicino a casa, nell’AlbinoLeffe. Il passaggio all’Atalanta era una logica conseguenza del suo talento, espresso già dalla pre adolescenza. Tanto da stregare il Chelsea, che lo seguiva sia nel settore giovanile del club orobico, sia in azzurro. Per poi decidere di portarlo a Cobham con un ricco contratto da semi-professionista. Un’offerta irrinunciabile, negli anni in cui il club era una delle potenze europee e contava su fuoriclasse di primissimo piano in campo e in panchina.

L’arrivo di Sala in Inghilterra aveva provocato una pioggia di paragoni con Samuele Dalla Bona, un altro giovane talento partito dall’Atalanta e acquistato dai Blues nel 1998. Anche se il ruolo era diverso: il classe 1991 già dal settore giovanile si era imposto come esterno d’attacco, prevalentemente sulla fascia destra. Con due idoli da emulare: Roberto Donadoni e Robert Pirés.

Prima tappa dell’avventura inglese è stata l’Under 16, ma giusto di passaggio prima di essere promosso nell'Under 18. Quel giovane sedicenne impressionava: già nella prima stagione aveva messo a segno otto reti, compresa una meravigliosa tripletta al Portsmouth. È stato allenato anche da Paul Clement, uomo fidato di Carlo Ancelotti che a metà della prima stagione lo aveva promosso da Under 16 a Under 18. Dove Drummy e Newton in seguito gli avrebbero affidato anche la fascia di capitano.

Jacopo Sala Chelsea 2009 (no header)Getty Images

Nel 2010 si è tolto la soddisfazione di vincere anche la FA Youth Cup e conquistarsi stabilmente un posto nella seconda squadra, l’Under 23. La porta d’accesso per la prima squadra, con la quale spesso si allenava sotto la gestione Ancelotti. Tra Drogba, Essien, Terry e Lampard, c’era anche lui. Che vedeva nel numero otto la sua ispirazione.

“Lampard è un modello per tutti. Ho avuto la fortuna di allenarmi con lui, riuscire a rubare qualcosa dai suoi allenamenti è stato importante. Si allena al 110% tutti i giorni. È un grandissimo calciatore".

Con la prima squadra, però, Sala non è mai riuscito a esordire. Otto panchine, quattro delle quali ani Premier League. Occasioni mancate. Con qualche rimpianto, come quando nel 2010 in Champions League contro lo Zilina Ancelotti aveva fatto entrare Mellis anziché lui. Oppure contro il Sunderland, pochi giorni prima, quando il tecnico aveva dato chances a McEachran e Kakuta. Da febbraio in poi, il bergamasco è tornato in seconda squadra. Senza più risalire. Forse un segnale.

Nell’estate 2011 Sala ha deciso di voltare pagina, di giocarsi le proprie opportunità in Bundesliga, firmando un triennale con l’Amburgo. Lo aveva chiamato Arnesen, allora direttore sportivo del club anseatico, ma fino a pochi mesi prima capo dell’academy del Chelsea. È stato lui a fargli firmare il primo contratto nel 2007. Quattro anni dopo, la reunion. In una sessione di mercato in cui la tratta Londra-Amburgo è stata particolarmente battuta: oltre al talento bergamasco, erano arrivati anche Töre, Mancienne, Rajkovic e Bruma.

Per il nativo di Alzano Lombardo, però, l’inizio non si è rivelato facile: tanti problemi muscolari, già dalla preparazione, lo hanno limitato molto. Tanto che è riuscito a esordire soltanto il 22 gennaio 2012 subentrando a Marcel Jansen (attuale presidente dell’HSV). I sui primi 25 minuti in Bundesliga e in generale da professionista, la prima di 21 presenze complessive con i Rothosen.

Nella sua esperienza tedesca - che lo ha portato anche a militare nell’Under 21 dell’Italia - è riuscito a segnare soltanto un goal, ma di certo se lo ricorderà per tutta la vita. Perché non è stato un goal banale, ma il momentaneo vantaggio contro il Bayern Monaco, il 4 febbraio 2012. Un tiro al volo al limite dell’area su assist di Guerrero che aveva sbloccato il punteggio, prima del pareggio di Olic.

"Quando ho visto la palla entrare sono esploso di gioia, è stata davvero una grande emozione. L’allenatore mi aveva chiesto grande sacrificio e di stare attento a Ribéry. Dopo il gol ho cercato di mantenere la calma e di seguire le indicazioni del mister. La maglia l'ho tenuta io, la porterò a casa e la appenderò al muro”.

Dopo quel goal, un’altra manciata di presenze prima di finire ai margini. Nel secondo anno è scomparso quasi del tutto dai radar dell’allenatore Thorsten Fink, collezionando solo minuti nel finale di partita e presenze con la seconda squadra. Segnale che era arrivato il momento di tornare in Italia, come aveva già dichiarato di voler fare negli anni precedenti. Gli ha dato fiducia il Verona, club con cui ha giocato la prima partita in Serie A di 154. Oggi la sua nuova realtà si chiama Spezia, con meno sogni e più consapevolezza.

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