Fortuna che ci sono "i fatti": quelli sciorinati, in termini di expected goals, dai guru del "Fùtbol" e del bel gioco. L'unica via possibile, a detta loro, per ritornare ai livelli degli anni Novanta: ai fasti del calcio italiano. Profeti della verità assoluta in formato tascabile: quella che non può e non deve passare dal pragmatismo e dalla concretezza. Fortuna che ci sono "i fatti". Sì.
E fortuna, poi, che il calcio non vuole professori, ma interpretazioni: che non c'è una legge scritta per decifrare gli eventi di uno sport, se non quella (pur non scritta, in questo caso) "del campo". Insindacabile: a due anni dagli Europei e a meno di uno dal ritorno al successo di un club italiano in una competizione europea, il "Pallone" ha risposto nuovamente al "Fùtbol" dello spettacolo anteposto al "fatti". Questi sì, tangibili: in semifinale, tra Champions, Europa e Conference League non ci vanno le chiacchiere sulle filosofie di gioco. Ci vanno cinque squadre italiane. E il resto conta fortunatamente sempre meno.
Ci va anche, nella maggior parte dei casi, una proposta di gioco che continua a far storcere il naso agli esteti del "Pallone", che antepongono lo spettacolo ai risultati. Per poi essere pronti, in caso di eliminazione, a commentare anche quelli, che in tal caso non arrivano, che non sono alla portata dell'Italia. Che serve la riforma, serve il bel gioco, servono le idee: ripartire dalle scuole calcio, insegnare la tecnica. "Ai nostri tempi" si faceva meglio. E tutto il resto dei discorsi convenienti che si usano in quelle circostanze.
L'Italia ha vinto un Europeo con questa proposta di gioco: anche in quel caso criticata, sia mai, ma pur sempre efficace. Delle cinque squadre italiane in semifinale, l'unica che ha operato, col suo progetto tecnico, un distacco dalla tradizione, abbracciando un gioco europeo è la Fiorentina di Vincenzo Italiano. Poi si va "a scalare": il Milan di Stefano Pioli e l'Inter di Simone Inzaghi seguono la strada degli automatismi, che male non fa. Non una via di mezzo, quanto un costante adattamento alle circostanze. La Juventus di Massimiliano Allegri e la Roma di José Mourinho, invece, fondano le loro "Chiese" sulla concretezza, sul cinismo e sulla solidità difensiva (leggasi, per alcuni, "catenaccio e contropiede"). E che male c'è? Che male c'è nel farlo, se poi si arriva in fondo (nel caso della Roma si vince pure, come nella passata Conference League)?
Che poi, anche qui: bisognerebbe approfondire il senso stretto e ultimo di "catenaccio" e squadra "catenacciara". In Europa la lista delle squadre che hanno vinto con un atteggiamento, ripetiamo, "catenacciaro" è lunga: non stiamo qui, però, ad argomentare per non perdere il focus. Cinque club, si diceva. Uno, tra Inter e Milan, di sicuro in finale di Champions League dopo sei anni dall'ultima volta (la Juventus di Allegri, altro "nemico" del "bel gioco").
Ma il calcio, quindi, è rinato? E' davvero ripartito? Dal 2020 c'è almeno una squadra italiana in semifinale delle Coppe europee (l'Inter in finale di Europa League nel 2020, la Roma in semifinale nel 2021, sempre la Roma in finale e in trionfo nel 2022, ma in Conference). Non abbiam fatto i Mondiali (sappiamo che, poi, questo è il tema a cui si vuole arrivare) e la Nazionale di Roberto Mancini è in grossa difficoltà, ma non è segno di un "Pallone" in cattiva salute.
Quindi, è rinato? E' presto, ancora, per dirlo: è ripartito, però? Sì, è ripartito dalle sue certezze: anche con un po' di fortuna? Sì, ma il calcio si basa, come tutti gli altri sport, su una buona dose di fortuna e di eventi contingenti, intrecciati, concatenati, a favore o meno.
E, soprattutto, è ripartito da un record: non era mai successo, prima di quest'anno, che l'Italia avesse cinque club nelle semifinali delle competizioni europee. Nella stagione 1998/99 ce n'erano quattro: la Juventus in Champions League (eliminata poi dal Manchester United), il Parma e il Bologna in Coppa UEFA (con i Ducali vittoriosi in finale contro il Marsiglia) e la Lazio in Coppa delle Coppe (poi vinta in finale contro il Maiorca). Proprio in quel periodo "adorato", in tutti gli aspetti, dai guru che portano avanti il verbo del "bel calcio", anteponendolo a qualsiasi evidenza pratica. Su quest'ultima non possono farci nulla: amen, sta succedendo davvero. Con buona pace di tutti.