Prima di diventare un grande allenatore, Carlo Ancelotti nella sua 'prima vita' calcistica è stato un ottimo centrocampista, come forse non tutti i più giovani sanno. Conquistata una promozione in Serie B a Parma con una sua doppietta, è conteso da Roma e Inter.
Il ragazzo vorrebbe i milanesi, che sono la sua squadra del cuore. Gioca persino una partita amichevole da mezzapunta dietro Altobelli e Anastasi, ma l'Inter decide di puntare su Beccalossi e non se ne farà nulla. Ancelotti va così alla Roma di Liedholm, che non se lo lascia sfuggire. Vince uno Scudetto e 4 Coppe Italia, affermandosi come grande centrocampista ma venendo frenato da due gravi infortuni alle ginocchia.
Nel 1987, però, i giallorossi lo considerano ormai finito dopo 8 anni e il presidente Viola lo cede. In lui crede Arrigo Sacchi, che convince Berlusconi ad acquistarlo per il nuovo Milan. E Ancelotti, superati i problemi fisici, torna grande, diventando un tassello imprescindibile del Grande Milan che vince Scudetto, Supercoppa Italiana, due Coppe dei Campioni, due Supercoppe europee e 2 Coppe Intercontinentali.
In Nazionale perde i Mondiali del 1982 che lo avrebbero visto protagonista, ma partecipa ad Euro '88 e ai Mondiali di Italia '90.
GLI ESORDI
Carlo Ancelotti nasce a Reggiolo il 10 giugno 1959. La sua è un'umile famiglia emiliana: papà Giuseppe lavora come contadino nei campi, mamma Cecilia fa la casalinga.
"Vivevamo con i nonni e mia sorella, tutti nella stessa casa", racconterà a Walter Veltroni su 'Il Corriere dello Sport'.
"Insieme a noi c'erano quattro-cinque famiglie - aggiungerà al 'Daily Mail' - Case diverse, ma la stessa terra. Quando ci incontravamo era come se fosse una grande festa. Non potevo capire quanto mio padre lavorasse duro, lavorava sempre, ogni giorno, non c'era tempo libero".
Carletto studia e aiuta il padre nei campi, ma quando ha un po' di tempo libero non perde occasione di giocare con il pallone, la sua grande passione, e calciarlo contro un muretto.
"Anch'io in estate davo una mano a curare la terra. Mio padre aveva le mucche e produceva latte. Ricordo un'infanzia serena anche se non c'era una lira e si contavano i soldi per comprare un ghiacciolo o andare al cinema di Reggiolo".
Grazie ad un amico di suo padre, partecipa ad una corsa ciclistica per i Giochi della Gioventù, e la vince. Ma non è il ciclismo la sua strada, bensì il calcio. A 14 anni entra a far parte delle giovanili del Reggiolo, la squadra del suo paese, ma la svolta arriva a 15 anni con l'approdo al Parma.
"Io non ero un granché. - affermerà a 'Il Corriere dello Sport' - Dovevo fare da accompagnatore a un ragazzo più forte di me che non avrebbe avuto l'autorizzazione del padre se non ci fossi stato io con lui. L'anno dopo andai in collegio, dai salesiani. Roba dura, mica mammole. Però mi ha fatto bene, ho imparato l'indipendenza e l'organizzazione. Ma si faticava tanto fra studi, allenamenti, partite e orari di rientro. Tante volte la domenica sera ho pianto all'idea di tornare in collegio il lunedì. Con gli altri ragazzi stavo bene ma mi mancava la famiglia. Soprattutto il cibo di casa".
L'ESPLOSIONE COL PARMA
Carletto però tiene duro e viene fuori come talento emergente della squadra gialloblù. Da centravanti, anche perché non è velocissimo, si trasforma in trequartista-rifinitore dietro le punte. Nella stagione 1976/77 fa l'esordio da professionista in Prima squadra con Giorgio Visconti in panchina, ma è dal 1977/78 che diventa titolare. E fa subito molto bene, segnando 8 reti in 21 presenze, con anche due doppiette al Teramo e al Giulianova.
IL MANCATO PASSAGGIO ALL'INTER E LA PROMOZIONE IN B
I grandi club iniziano a mettergli gli occhi addosso, in particolare l'Inter, la sua squadra del cuore, lo invita a disputare un'amichevole il 20 maggio 1978. Ancelotti ha 18 anni e l'occasione di dimostrare il suo valore in un palcoscenico importante come San Siro. I nerazzurri sfidano i tedeschi dell'Hertha Berlino e chiedono agli emiliani la possibilità di schierarlo.
Per il giovane centrocampista offensivo, che ha in Sandro Mazzola il suo idolo, è come un sogno che si avvera.
"È importante avere dei punti di riferimento, persone che fungono da esempio, modelli di comportamento. - scriverà Carletto nella sua autobiografia 'Il leader calmo', del 2016 - Da piccolo ammiravo tantissimo Sandro Mazzola… Dopo mio padre, ovvio. Allora tifavo per l’Inter e Mazzola era il mio calciatore preferito, credevo fosse il più forte del mondo. Poteva fare l’attaccante e il centrocampista, adoravo la qualità del suo gioco".
L'amichevole è l'occasione giusta per il presidente Ivanoe Fraizzoli e i suoi collaboratori di visionare da vicino possibili futuri acquisti: fra questi ci sono gli attaccanti avversari Karl-Heinz Granitza e Jörgen Kristensen (danese) e il ventiduenne difensore Hans-Joachim Förster, ma anche due giovani italiani che vengono a rinforzare l'organico di Bersellini: oltre ad Ancelotti c'è infatti anche Walter Viganò, prelevato dall'Abbiategrasso, ma cresciuto nelle giovanili del club milanese.
Carletto è impiegato da Eugenio Bersellini come trequartista dietro le due punte Altobelli e Anastasi, che con due goal decidono anche il match. E si mette in evidenza, mentre i tre osservati speciali dell'Hertha non vanno nemmeno in campo. Il D.s. nerazzurro Beltrami e Mazzola restano colpiti favorevolmente dal ragazzo.
Il giorno dopo il suo nome (storpiato in 'Ancellotti' con due l) finisce pure su qualche giornale, come 'Il Corriere dell'Informazione', quotidiano milanese del pomeriggio fratello de 'Il Corriere della Sera', che titola: 'L'Inter fa il pieno contro i tedeschi e scopre un Ancellotti'.
Wikipedia"L’esordio di Ancelotti, diciotto anni, mezzapunta, ha divertito e interessato i presenti. - si legge fra le righe - il ragazzo viene dal Parma e il suo agonismo, ma in particolare i suoi spunti, hanno favorevolmente impressionato e non è da escludere che il ragazzo venga addirittura impiegato a Firenze in Coppa Italia (il 28 maggio 1978, n.d.r.) contro la Fiorentina".
Il sogno di Ancelotti di indossare la maglia della sua squadra del cuore viene però spezzato dall'acquisto di Evaristo Beccalossi, che ne preclude l'arrivo a Milano assieme alle esose richieste economiche del Parma.
"Ho fatto una sorta di provino per l'Inter, - racconterà ad 'AS' nell'agosto 2013 - un'amichevole contro l’Hertha Berlino in una squadra con gente come Anastasi e Altobelli. Me la son fatta sotto. Trascorsa una settimana non c’era giorno in cui Bersellini non mi pensasse e continuasse a ripetermi: 'Se resti qui dovrò inventare una dieta specifica solo per te'. Alla fine decisero che costavo troppo e presero Beccalossi".
Ancelotti, suo malgrado, deve giocare un'altra stagione con il Parma, ma il suo ultimo con gli emiliani non sarà un campionato qualunque. A marzo, un rigore fallito da Carletto contro lo Spezia, sembra precludere le ambizioni di promozione dei gialloblù, che non vanno oltre il 2-2 coi liguri. Ma il presidente esonera l'allenatore Landoni e affida la panchina a Cesare Maldini.
L'arrivo del tecnico triestino è decisivo, perché gli emiliani ottengono una serie di risultati positivi e alla penultima giornata espugnano il campo della Triestina e la agguantano in classifica: è spareggio. Il 17 giugno 1979, al Menti di Vicenza, Parma e Triestina si sfidano in gara secca per decidere chi salirà in Serie B assieme al Como.
Ancelotti (33 presenze e 5 goal nella stagione regolare) è regolarmente in campo con il numero 10 sulle spalle. Dopo un primo tempo tattico, le reti di Scarpa e Panozzo su rigore fissano il risultato dei tempi supplementari sull'1-1.
Si va così ai supplementari, ed è qui che Carletto, appena diciannovenne, dimostra una personalità non comune per un giovane: segna una doppietta (un goal di rapina e uno su calcio di punizione) e trascina gli emiliani in Serie B. In tribuna d'onore al Menti, per osservarlo, c'è tutto lo stato maggiore della Roma: il presidente Dino Viola e il tecnico Nils Liedholm non hanno più dubbi. Ancelotti indosserà la maglia giallorossa a partire dalla stagione successiva.
"Feci una doppietta nella partita di spareggio con la Triestina per andare in B. - ricorderà - Segnai due bei goal, eravamo ai supplementari e gli altri erano sulle ginocchia. Fu una gioia per la città e per quella squadra, alla quale penso sempre con affetto. Sapevo però di dover andar via. Il nostro allenatore, Cesare Maldini, mi aveva segnalato al suo vecchio amico Nils Liedholm...".
SIMBOLO DELLA ROMA FRA SUCCESSI E INFORTUNI
A chiudere l'operazione è il consulente di mercato Luciano Moggi, che con 750 milioni di Lire preleva la comproprietà del cartellino del ragazzo dai ducali. Carletto sbarca così a Roma nell'estate del 1979. All'inizio non è facile, per lui abituato alla tranquillità della campagna emiliana, ambientarsi nella grande metropoli, ma presto si adatta e diventa un punto ferma della squadra del 'Barone'.
Lo svedese completa la sua trasformazione, tramutandolo in centrocampista centrale bravo in entrambe le fasi di gioco. Debutta in Serie A il 16 settembre 1979: curiosamente la partita è Roma-Milan, che termina senza goal. Già alla seconda giornata, contro il Pescara, fuoricasa, realizza la sua prima rete nel massimo campionato. E i giornalisti imparano a scrivere il suo cognome nel modo giusto.
Le prime due stagioni in giallorosso sono molto positive per il centrocampista, che tutti chiamano 'Il Bimbo' perché è il più giovane del gruppo. Il primo anno totalizza in tutto 36 presenze e 3 reti, e il 17 maggio 1980 porta a casa il primo trofeo della sua carriera, la Coppa Italia, trasformando il rigore decisivo nella serie di finale contro il Torino (3-2).
Nel 1980/81 i giallorossi sfiorano lo Scudetto e si ripetono in Coppa. Ancelotti è sempre protagonista con 37 presenze e 5 goal. Il giocatore di Reggiolo debutta in Europa, segnando anche una rete in Coppa delle Coppe, ed è il grande protagonista della doppia finale di Coppa Italia, che vede opposta la Lupa ancora una volta al Torino. Va in goal nell'andata a Roma e trasforma ancora il suo penalty nella lotteria della gara di ritorno che assegna il trofeo.
A partire dalla stagione 1981/82 sorgono per Carletto i primi problemi di natura fisica. Le ginocchia gli danno problemi e il 25 ottobre 1981 arriva il primo dramma della sua carriera. Al 10' di Roma-Fiorentina dopo un contrasto da dietro di Casagrande la sua gamba destra fa una brutta torsione. Carletto urla, si tiene la gamba fra le mani e sollecita l'intervento in campo dei sanitari. Falcão è il primo ad accorgersi della gravità della situazione.
Quando arrivano i medici, Ancelotti è disperato:
"Il ginocchio… - grida - m’è uscito il ginocchio… m’è uscito il ginocchio".
La diagnosi farà chiarezza: rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro. È operato e sembra recuperare in tempo per poter disputare la seconda parte di stagione, ma nel gennaio 1982, in un allenamento prima della partita contro l'Ascoli, arriva la ricaduta: ancora rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro e nuovo intervento chirurgico e conseguente stop, che lo estromette di fatto dai Mondiali di Spagna 1982. In quella stagione maledetta colleziona appena 14 presenze e 3 goal.
Il riscatto arriva nella successiva, il 1982/83, l'anno in cui la Roma di Liedholm conquista il secondo storico Scudetto della sua storia. Mette insieme 32 presenze e 2 goal in tutte le competizioni, in un centrocampo che lo vede protagonista con Falcão, Cerezo e Bruno Conti.
"Ero stato troppo fortunato: la Roma, la Nazionale, mi sembrava di vivere dentro un sogno. - dichiarerà - Ora mi sono svegliato. E dimostrerò che sono tornato".
La sfortuna però è pronta a tendergli un nuovo agguato l'anno seguente, il 1983/84, che vede la Lupa protagonista in Coppa dei Campioni. Il 4 dicembre 1983 a Torino si gioca Juventus-Roma, e dopo un contrasto con Cabrini, a Carletto salta il ginocchio sinistro. Il responso degli esami strumentali è nuovamente da mani sui capelli: rottura dei legamenti crociati.
La prospettiva è di un anno di inattività, per alcuni la carriera del ragazzo ad alti livelli può considerarsi già finita. La Roma lo perde per il resto della stagione. Carletto non c'è il 30 maggio del 1984, la serata in cui i giallorossi si giocano la gara più importante contro il Liverpool e perdono ai rigori. È la seconda grande amarezza della sua carriera. Vince anche la terza Coppa Italia della sua carriera, ovviamente senza scendere in campo.
E in silenzio, prepara il suo ritorno. Rivede il campo il 24 ottobre 1984, indossando eccezionalmente la fascia da capitano in Coppa delle Coppe contro il Wrexham. È la prima volta per lui, non sarà l'unica. Diventa infatti il leader incontrastato della nuova Roma di Sven Goran Eriksson, che gli consegna stabilmente la fascia nel 1985/86, quando sfiora nuovamente lo Scudetto e si aggiudica la quarta e ultima Coppa Italia del suo palmarés (non è però in campo nella doppia finale).
"Essere capitano della Roma - scrive l'ex centrocampista nella sua autobiografia - è come essere capitano di una città intera".
Il 1986/87 è l'ottava e ultima stagione nella capitale e dopo un 7° posto il presidente Viola è convinto che abbia ormai intrapreso la fase discendente della sua carriera. Così di fronte ad un'offerta del Milan da 5 miliardi e 800 milioni di Lire lascia partire il vecchio guerriero dopo 227 presenze e 16 goal.
"Questo è il mio ultimo regalo alla Roma. - dichiara non trattenendo una lacrima, il giorno in cui saluta la capitale - Sono sicuro che con questi soldi sarà possibile prendere altri giovani più vogliosi e, nel frattempo, la mia cessione consentirà a Desideri di crescere in fretta".
LA SCOMMESSA VINCENTE DI SACCHI
Sacchi aveva convinto il nuovo patron rossonero Silvio Berlusconi, affatto convinto della bontà dell'operazione, ad acquistare Ancelotti. L'episodio è piuttosto noto.
"Chiamai Berlusconi e gli dissi: 'Se mi prende Ancelotti vinciamo il campionato'. - racconterà il Profeta di Fusignano - 'Ma Ancelotti ha un'inabilità del 20% al ginocchio', affermò il Cavaliere. Ed io replicai: 'Sì, però ha il 100% di abilità nel cervello. Il Cavaliere ci pensò e lo prese".
Ancelotti a 28 anni assimila gli schemi di Sacchi prima dei suoi nuovi compagni e diventa una pedina fondamentale della squadra che conquista subito lo Scudetto 1987/88 e l'anno seguente vince la Supercoppa Italiana superando la Sampdoria e si laurea campione d'Europa battendo in finale la Steaua Bucarest al Camp Nou di Barcellona (4-0). Nella cavalcata europea dei rossoneri c'è il suo timbro, visto che proprio Ancelotti, impiegato nell'inedito ruolo di esterno sinistro di centrocampo, avvia la goleada sul Real Madrid nella semifinale di ritorno al Meazza (5-0) con un gran tiro dalla distanza.
In mezzo l'ennesima operazione, stavolta per rimuovere il menisco dal ginocchio destro.
"Una volta Maradona mi disse, - ricorda ancora Sacchi - 'Ma corre forte anche Ancelotti?'. Io gli risposi 'No, pensa veloce'".
Nel 1989 il Milan di Ancelotti si aggiudica anche la prima Supercoppa Europea, battendo il Barcellona, e la prima Coppa Intercontinentale, superando 1-0 i colombiani del Nacional de Medellin.
Anche nel 1989/90 i problemi fisici non mancano e l'ex capitano della Roma si fa male al ginocchio sinistro nei quarti di finale di Coppa dei Campioni contro il Malines. Torna però in tempo per disputare la finale vittoriosa contro il Benfica 1-0 e bissa i successi nella Supercoppa Europea e in Coppa Intercontinentale, superando Sampdoria e Olimpia di Asunción.
Nel 1991/92 sulla panchina rossonera approda Fabio Capello, che lo gestisce in quello che sarà il suo ultimo anno di carriera. Ancelotti ancora una volta dà il suo apporto, e chiude con una partita leggendaria a San Siro contro il Verona (4-0 per i padroni di casa) in cui blinda il risultato con una spettacolare doppietta nel secondo tempo.
Quella contro gli scaligeri è la 160ª presenza in gare ufficiali condita da 11 goal con la maglia del Milan. Poco prima di compiere 33 anni saluta i suoi tifosi il 20 maggio 1992 nell'amichevole con il Brasile, che è anche il suo addio al calcio giocato. Ancelotti lascia il campo al 65', sostituito da Aldo Serena, guadagnandosi gli applausi scroscianti di tutti i tifosi rossoneri.
Ci metterà poco, ancora una volta grazie a Sacchi, che lo vuole come suo vice in Nazionale, ad intraprendere la carriera da allenatore per scrivere nuovamente la storia.
GettyUN EUROPEO E DUE MONDIALI IN NAZIONALE
Enzo Bearzot aveva intravisto in Ancelotti grandi potenzialità, e per questo lo aveva fatto esordire in Nazionale il 6 gennaio 1981 ancora ventunenne nel Mundialito. Carletto debutta alla grande con un goal all'Olanda, partecipa ad amichevoli e qualificazioni Mondiali ma a causa del grave infortunio al ginocchio destro è costretto a saltare il torneo spagnolo nel 1982.
Quando si riprende è nuovamente convocato e partecipa alla spedizione di Messico 1986, pur senza mai scendere in campo. È invece protagonista, con Azeglio Vicini Ct., agli Europei del 1988 in Germania, in cui disputa tutte le gare da titolare, e ai Mondiali di Italia '90, quando uno stiramento al quadricipite della coscia destra nel match inaugurale contro l'Austria lo rende disponibile a singhiozzo. Riesce comunque a scendere in campo 3 volte, e gioca la finale per il 3° posto contro l'Inghilterra.
Disputa l'ultima gara in azzurro il 13 novembre 1991 contro la Norvegia, chiudendo la sua avventura in Nazionale, che senza gli infortuni avrebbe potuto essere certamente più ricca, con 26 presenze e una rete.