Deve esserci qualcosa di speciale nel Santa Lucia, uno storico club di Prato. Non può essere altrimenti, visto che sui suoi campi sono cresciuti tanti giocatori che poi hanno avuto carriere importanti nel mondo del calcio. Da qui sono passati Paolo Rossi e Christian Vieri, due tra i più forti attaccanti italiani di sempre, e da qui è passato anche un calciatore che attaccante non è, ma che ha di goal ne ha segnati parecchi, spesso di straordinaria fattura: Alessandro Diamanti.
La sua è però una storia diversa da tutte le altre e questo perché per lui il Santa Lucia era semplicemente una cosa di famiglia. Per molti anni il presidente della società è infatti stato suo nonno, Rodolfo Becheri, un’autentica istituzione per il calcio giovanile toscano, un uomo che non solo ha saputo amare profondamente il calcio, ma che era dotato di quella sensibilità speciale che lo aiutava a capire all’istante se un ragazzo aveva dentro un qualcosa di particolare.
E’ stato lui probabilmente a trasmettere ad Alino la passione per il calcio nel senso più puro del termine, il calcio inteso come sacrificio ma anche soprattutto come gioia. Sì perché Diamanti, nel suo modo di vivere il pallone ha sempre trasmesso quel qualcosa di puro e sincero che poi l’ha portato ad essere diverso da molti dei suoi colleghi, così diverso che in molti hanno impiegato più tempo del previsto per capire che il Dio del calcio gli aveva donato una classe sopraffina: quella classe che è propria solo dei grandi campioni.
Diamanti sui campi del Santa Lucia, quelli che poteva vedere anche da casa, ci è nato e ci è cresciuto. La sua è stata un’infanzia vissuta a pane e pallone, un’infanzia fatta di quella voglia irrefrenabile di mettersi gli scarpini subito dopo la scuola, per poi giocare con gli amici partite interminabili.
Che fosse forte lo si si era capito ben presto e d’altronde non poteva essere altrimenti con un sinistro come il suo, ma la strada per arrivare a quel calcio nel quale avrebbe potuto affrontare i migliori giocatori della sua generazione è stata di quelle lunghe e tortuose.
Di Diamanti infatti per molto tempo si è parlato come di uno di quei tanti talenti non destinati a fare carriera. Fino ai ventiquattro anni infatti, la sua vita nel mondo del pallone è scivolata via tra tanta Serie C ed un assaggio di Serie B, il tutto sempre dando l’impressione che gli mancasse qualcosa per poter emergere realmente. Tante giocate abbinate anche a tanta panchina, poi la graduale esplosione e le prime gesta raccontante nei trafiletti di giornale, quelli ai quali di solito un lettore fatica ad arrivare.
Eppure di lui si raccontavano cose impressionanti ed il suo era un nome noto anche a molti di quegli appassionati che mai avevano in realtà avuto modo di vederlo. In lui non aveva creduto l’Empoli, nella cui Primavera era visto come la riserva di Lodi, e nemmeno la Fiorentina che aveva la possibilità di riscattarlo per settanta milioni di lire, ma che non se la sentì di fare un tale esborso. Le chance per fare il salto di qualità c’erano state quindi, ma non erano state sfruttate.
Quando ormai la sua carriera sembra già arrivata ad un vicolo cieco, è il ritorno al Prato e l’incontro con Pierpaolo Bisoli a rappresentare il doppio punto di svolta. Il tecnico riesce a valorizzare al meglio il talento di un ragazzo che ricambia la fiducia con dieci goal in venticinque presenze nel campionato di C2, ai quali si aggiungono altri cinque nella Coppa Italia di Serie C. Le sue qualità iniziano ad emergere quando in molti ormai avevano smesso di crederci e da lì in poi quella strada tortuosa e in salita si farà quasi per incanto in discesa.
A notarlo sui campi della periferia del calcio che conta è Fabio Galante che, su suggerimento di un suo amico, inizia a seguire quel ragazzo che pare che con la Serie C abbia poco a che fare. Lo studia, intuisce che le voci sul suo conto sono assolutamente vere e chiede al presidente del suo Livorno, Aldo Spinelli, di tentare la scommessa.
Nel 2007, a ventiquattro anni, Diamanti compie il triplo salto che lo condurrà dalla C2 alla Serie A e, sebbene all’inizio siano in molti a pensare che il massimo campionato sia troppo per lui, riesce fin da subito a ritagliarsi un posto tra le sorprese del torneo.
Getty ImagesIl cambio di prospettive non lo condiziona, anzi il suo modo di vivere il calcio in maniera differente da tutti si rivelerà una delle sue armi migliori. Per Alino il fatto di aver giocato tanti anni in Serie C non è motivo di timidezza anzi, lui la Serie C se la porta dentro. Gli bastano dieci minuti per capire se una partita ‘non è la sua’ e quando intuisce che non può fare la differenza con i suoi colpi, si mette al servizio della squadra lottando come un leone. E’ un dieci atipico, è uno che dà tutto e che torna sempre negli spogliatoi con la maglia bagnata.
Il Livorno rappresenterà molto di più che la semplice svolta per la sua carriera. Diventerà un idolo del popolo amaranto, un trascinatore nella corsa che riporterà la squadra dalla B alla A dopo una dolorosa retrocessione e, una volta svelate al mondo la sue doti fuori dal comune, arriverà anche una chiamata dalla Premier League.
E’ l’agosto del 2009 quando accetta l’offerta del West Ham. A volerlo fortemente a Londra è uno che da giocatore con i piedi ha parlato la sua stessa lingua e quindi sa bene come e dove utilizzarlo: Gianfranco Zola.
“Alessandro mi ricorda me. A volte fa delle cose imprevedibili. Diventa più efficace quando arriva da dietro, quando gioca il pallone per gli altri dà il meglio di sé. E’ un po’ un incrocio tra me e Paolo Di Canio”.
Quello che approda al West Ham non è più il ragazzo di provincia pronto a confrontarsi con i ‘grandi’. E’ viceversa un giocatore già fatto e finito che tra l’altro si è già guadagnato le attenzioni anche dei top club italiani. Piace all’Inter e soprattutto al suo presidente Massimo Moratti, uno che per i mancini dotati di classe e fantasia ha sempre avuto una particolare predilezione.
“Moratti era malato di me perché gli ricordavo Recoba. Mi voleva all’Inter, ma Mourinho allora avrebbe voluto Deco. Quando Deco andò al Chelsea chiamai il mio agente per chiedergli se questa volta si potesse fare, ma lui mi disse che a quel punto Mourinho voleva Sneijder. Io alla fine sono andato al West Ham e loro hanno completato il Triplete, quindi hanno fatto bene”.
Il West Ham si rivelerà una delle più belle parentesi della sua carriera, ma al tempo stesso anche un rimpianto. Diamanti infatti non ha difficoltà ad adattarsi ad un calcio nel quale ‘si danno e si prendono’ proprio come in Serie C, inizia a sfornare magie a ripetizione, diventa un idolo indiscusso della tifoseria, segna anche sette goal alla sua prima stagione in Premier ma, quando ormai sembra avere finalmente tutto, si accorge che gli manca qualcosa: la Nazionale.
“Lasciare il West Ham è stata forse l’unica vera scelta sbagliata. Lì ero un idolo dei tifosi, ma sapevo che dovevo andare via per giocare in Nazionale”.
La decisione presa è di quelle dure, ma alla fine l’obiettivo sarà raggiunto. Diamanti ripartirà dal Brescia, squadra con la quale non riuscirà ad evitare la retrocessione, ma le sue prestazioni sono assolutamente all’altezza delle aspettative e nel novembre del 2010 sarà Cesare Prandelli a regalargli la gioia del debutto in Azzurro.
Nel 2011 un altro grande bivio. Sulla panchina del Bologna siede infatti quel Bisoli che anni prima lo aveva aiutato ad esplodere al Prato. Quando quindi arriva la chiamata da parte del club felsineo il ‘sì’ è praticamente immediato.
GettyAll’ombra delle Due Torri Diamanti vivrà la fase migliore della sua carriera da calciatore. Leader indiscusso della squadra dentro e fuori dal campo, oltre che capitano, si esprimerà a livelli così alti da diventare un punto fermo di quella Nazionale con la quale sfiorerà il trionfo a Euro 2012.
Con Bologna si viene a creare una sorta di simbiosi. Ama la città e l’amore viene abbondantemente ricambiato, tanto che quando nel febbraio del 2014 deciderà di ripartire dalla Cina e dal Guangzhou Evergrande, in molti vivranno quella separazione come una sorta di tradimento. Sul suo addio si dirà il tutto ed il contrario di tutto, quello che è certo è che il club, grazie a quella cessione, troverà ossigeno vitale per le sue casse, e che comunque Diamanti in precedenza aveva ampiamente dimostrato fedeltà ai colori rossoblù quando sulle sue tracce si erano messi club del calibro di Juventus e Milan.
“Nella Juventus e in altre due grandi squadre non ci sono andato a giocare per scelta - racconterà anni dopo al Corriere dello Sport - È mancato sempre qualcosa. No, sì, no, sì, no, sì, e poi alla fine non se n’è fatto niente. E un’altra volta non ci sono andato per riconoscenza nei confronti del Bologna, che l’anno prima mi aveva consentito di giocare in nazionale”.
L’esperienza in Cina gli regalerà la soddisfazione di un campionato vinto, ma sarà breve. Tornerà in Italia per una parentesi alla Fiorentina, poi farà toccata e fuga al Watford per la sua seconda avventura inglese, vestirà ancora le maglie di Atalanta e Palermo in Serie A e poi si legherà al Perugia in Serie B.
La sensazione di molti è quella che ormai Diamanti abbia già abbondantemente dato il meglio di sé, ma nel 2018 riuscirà a far ricredere in molti. Dopo nove anni tornerà a vestire la maglia di un Livorno neopromosso in Serie B. Nei suoi pensieri c’è la possibilità di chiudere la carriera lì dove era esploso ad alti livelli. Aveva promesso che sarebbe tornato e l’ha fatto e soprattutto in campo torna a regalare magie.
La sua è una stagione così importante che alla sua porta tornano a bussare club di Serie A, ma ormai per lui e la sua famiglia cerca altro. Ha sempre ragionato in maniera diversa da tanti ed è consapevole del fatto che un ultimo giro nella massima serie non avrebbe aggiunto nulla alla sua carriera e non gli avrebbe cambiato la vita.
Per ciò che lui vuole c’è bisogno di altro, altro che trova in Australia. Sarà il progetto Western United ad attrarlo insieme alla possibilità di iniziare una nuova vita. Troverà un calcio fatto di tanta professionalità, ma anche di meno pressioni, un calcio più genuino al quale approcciarsi con maggiore spensieratezza.
Fino alla soglia dei 40 anni, Diamanti è stato l'uomo simbolo di un progetto tutto nuovo e in campo si è tolto quelle soddisfazioni che al termine della sua prima stagione australiana l’hanno portato ad essere eletto miglior giocatore della A-League: il 24 aprile 2023 ha annunciato la parola fine per quanto riguarda la sua lunga carriera.
Non ha mai vestito la maglia di un top club e probabilmente non è riuscito nemmeno a sfruttare tutto il suo enorme potenziale, ha però vissuto e vive il calcio scegliendo in base al suo modo di vederlo. E’ anche per questo che Diamanti può essere considerato uno degli ultimi baluardi di un pallone che non c’è più.