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Agnelli-Juve, fine di un’epoca: inizia l’era Ferrero-Scanavino

I diciannove trofei conquistati dalla prima squadra sotto la sua gestione certificano una verità incontrovertibile: Andrea Agnelli è il presidente più vincente della storia della Juventus. Un cammino iniziato il 19 maggio del 2010, con un 35enne manager rampante a caccia della massima consacrazione, trovata al timone dell’amore degli amori.

Già, la Juve, una passione senza tempo per l’ormai ex numero uno della Continassa. Che, oggi, ha effettuato il passo d’addio in concomitanza con l’assemblea degli azionisti chiamata a eleggere il nuovo consiglio di amministrazione.

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Finisce un’epopea che, indelebilmente, verrà ricordata per i nove scudetti consecutivi. Un record inimmaginabile da eguagliare, figuriamoci da superare. Basti pensare ai 102 punti della stagione 2013-14, il massimo per una squadra al termine della massima competizione nostrana. O alle zero sconfitte nel 2011-12, in cui la Vecchia Signora ha chiuso il campionato senza neanche un ko, l’unica formazione a riuscirci in Serie A in un campionato a 20.

Le grandi intuizioni non sono mancate, affatto. Fondamentale quella che ha (ri)portato Antonio Conte in bianconero. L’uomo giusto al posto giusto, scelto con convinzione proprio da Agnelli, che il 24 maggio 2011 gli affidava la panchina dopo un’annata complicata targata Gigi Del Neri. Un avvio traumatico, insomma, ma che non ha scoraggiato AA. E nemmeno Beppe Marotta e Fabio Paratici, pedine imprescindibili nel rilancio di una nobile decaduta.

Agnelli ha sempre delegato: presente ma mai invadente. Un modus operandi che, per parecchio tempo, ha funzionato. Almeno fino alla permanenza dell’attuale ad dell’Inter.

Andrea Agnelli Pavel Nedved Maurizio Arrivabene desktopGetty Images

Ecco, aver messo Marotta alla porta non s’è rivelata una scelta felice, soprattutto considerando come il piano “giovani” sia fallito inesorabilmente. In tono originario Fabio Paratici, Marco Re e Giorgio Ricci – in tre macroaree – avrebbero dovuto rappresentare un’evoluzione innovativa. E, invece, per più motivi la strategia non ha portato i risultati sperati.

Resta il fatto che, di pari passo con il percorso giudicato dal rettangolo di gioco, Agnelli sia riuscito a dare un’identità finanziaria al club portando la capitalizzazione da 160 milioni a 1,5 miliardi. Poi, ed è un dato oggettivo, gli ultimi tempi hanno certificato scarsa lucidità nelle decisioni apicali. Con investimenti scadenti, assai scadenti, considerando gli oltre 500 milioni messi sul tavolo dal 2018.

C’è chi sostiene che aver preso Cristiano Ronaldo nell’estate del 2018 abbia rappresentato il vero punto di non ritorno. Una spesa monstre: 100 milioni al Real Madrid, 31 netti al giocatore per quattro anni (usufruendo del decreto crescita). Un esborso che ha dovuto fare i conti con il Covid. Già, perché la pandemia ha complicato - e non di poco - le idee della Juventus: biglietteria e merchandising, binomio messo in ginocchio dal contagio che ha sconvolto il mondo.

Il resto è anche politica sportiva. Con Agnelli nominato presidente dell’ECA il 5 settembre del 2017, con annesso ingresso qualche giorno dopo nell’esecutivo UEFA. Il resto bis è storia recente, con il tentativo legato alla creazione della Superlega, con conseguenti rapporti saltati in aria qua e là. Ogni riferimento ad Aleksander Ceferin è puramente voluto.

Europa, Champions League, con due finali dal sapore amaro: Berlino 2015 e Cardiff 2017, il massimo splendore del periodo AA. Eh sì, questo sarà il vero rimpianto.

Gianluca Ferrero, indicato da Exor (la holding che controlla anche Juventus), prenderà il posto di Agnelli, mentre Maurizio Scanavino – già direttore generale – assumerà pure la carica di amministratore delegato. Alla Continassa, è tempo di voltare pagina.

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