Alessandro Lucarelli Raffaele Palladino ParmaGetty

19 Marzo 2015 - 19 Marzo 2020: il Parma dal fallimento alla nuova rinascita

Può sembrare un paradosso, ma il 19 marzo 2015 fu l’inizio della normalità dalle parti di Collecchio. Certo, riferirsi così al giorno in cui il Parma Calcio fu dichiarato fallito in Tribunale può suonare beffardo. Eppure beffardo non lo è affatto per chi ha vissuto quelle vicende in prima persona, calciatore o tifoso che sia. Perché non bisogna dimenticare una cosa. Quel giorno non è soltanto il momento in cui è stato stabilito l’esercizio provvisorio del club crociato.

È stato un autentico spartiacque tra tutto ciò che era accaduto nei mesi precedenti e il futuro che si sarebbe scritto con maggiore decisione a partire dal 22 giugno successivo, la data in cui anche l’asta fallimentare andò deserta e il Parma perse il titolo sportivo.

Non vi ricordate come si arrivò al tracollo? Beh, proviamo a riassumere per quanto possibile. Il 18 maggio 2014 il Parma si qualifica all’Europa League in una rocambolesca giornata di chiusura del campionato. Ma il giorno dopo si apre una crepa che diventa man mano uno squarcio nel vuoto. La Federcalcio non concede la licenza Uefa per una trattenuta Irpef (300mila euro) non saldata. Sembra un cavillo, è una spia di allarme. Qualcosa è andato storto nel sistema di circa 170 giocatori spartiti tra società satellite e club fidati, un meccanismo definito “il mercato delle vacche” dal Daily Mail o semplicemente “la pesca a strascico” per gli addetti ai lavori.

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E la differenza, in questo bilancio caotico, la fanno gli incentivi all’esodo che il Parma avrebbe dovuto corrispondere ai calciatori mandati in prestito qua e là. Qualcosa è sfuggito. E inizia un anno che, se non si fosse trattato di cruda verità calcistica, sarebbe da consegnare in blocco a uno scenografo da commedia all’italiana. I protagonisti assoluti, Tommaso Ghirardi e Pietro Leonardi, si sfilano gradualmente cedendo il passo all’imprenditore albanese Rezart Taçi. Che, però, non ci mette mai la faccia e affida il Parma alla Holding Dastraso. O Dastrosa, o Dastrato come si ostinerà a sbagliare nella conferenza stampa di presentazione l’avvocato Fabio Giordano, presidente d’ufficio per qualche giorno, giusto il tempo di vedere il timone del Parma passare da un gioielliere piacentino (Pietro Doca, italianizzazione di Petrit Doka) all’allora 29enne Ermir Kodra.

Giampietro Manenti Pietro LeonardiGetty

E, infine, approdare a febbraio a una nuova holding, il MapiGroup di Giampietro Manenti. Quello che regala una conferenza stampa da annali a tutti gli amanti del grottesco, quello del bonifico che non arriva mai, quello che il 18 marzo viene arrestato insieme ad altre 21 persone con l’accusa di aver cercato di utilizzare i POS delle biglietterie del Tardini per riciclare soldi provenienti da truffe finanziarie assortite. What else?

Questo il riassunto – molto sommario - dei dieci mesi che portarono al 19 marzo 2015. Ma, forse, ora capirete perché quel giorno in cui il Parma fu dichiarato fallito in Tribunale non fu la fine di tutto. Anzi, l’inizio di un nuovo capitolo. Illusorio dapprima, perché all’indomani dell’insediamento dei curatori fallimentari Guiotto e Anedda sarebbe iniziata la corsa verso l’asta. Con il tentativo, andato vano, di abbattere il debito sportivo del club (74 milioni di euro di cui oltre 63 nei confronti di tesserati) in modo da renderlo appetibile per un nuovo compratore e ripartire almeno dalla Serie B.

Mesi di tensioni nello spogliatoio, inizialmente diviso tra chi voleva indietro tutto e chi invece aveva accettato di rinunciare a gran parte dei crediti. Mesi di telefonate a ex giocatori per chiedere anche loro di rinunciare a crediti che comunque avrebbero riscosso soltanto in uno scenario ben poco realistico. Da una parte i leader del gruppo (Lucarelli, Gobbi, Mirante e Galloppa), dall’altra tutti gli altri. Tutto inutile, perché il debito sportivo fu ridotto sì, ma il timore di rivalse per l’altra fetta della torta debitoria (circa 140 milioni di euro) fece venir meno l’interesse delle uniche due cordate rimaste in piedi a giugno. Giuseppe Corrado avrebbe poi acquistato il Pisa, Mike Piazza si sarebbe indirizzato verso la vicina (e rivale) Reggio Emilia, quest’ultimo senza troppa fortuna.

Il 19 marzo 2015 il fallimento,  il 22 giugno l’asta deserta e la perdita del titolo sportivo. Con inevitabile ripartenza dalla Serie D all’insegna dell’azionariato misto, a metà tra azionariato popolare e un gruppo di sette imprenditori locali (Guido Barilla, Gian Paolo Dallara, Mauro Del Rio, Marco Ferrari, Angelo Gandolfi, Giacomo Malmesi e Paolo Pizzarotti). Il 19 marzo finì la tragedia, il 22 giugno terminò anche la cronaca.

Il 27 luglio, con la nuova affiliazione alla FIGC, ricominciò la storia. E che storia. Cinque anni di pagine semplicemente incredibili, ancor di più se paragonate a quanto accaduto prima di quel fallimento. Il ritorno di Nevio Scala nelle vesti di presidente con Lorenzo Minotti direttore generale e Gigi Apolloni in panchina, i giocatori acquistati alla spicciolata per potersi iscrivere al campionato di Serie D. La prima promozione, il 17 aprile 2016, la soffertissima annata in Serie C – con tanto di ribaltone dirigenziale, via i tre grandi ex e dentro Daniele Faggiano come dg e Roberto D’Aversa tecnico – conclusa dalla vittoria nella finale dei playoff sul Pordenone.

Lorenzo Minotti Nevio Scala

E l’altrettanto incredibile epilogo della successiva annata in B, specie se si considerano i postumi. Una tripla promozione mai riuscita prima nella storia del calcio professionistico, un cerchio chiuso. O forse non del tutto. Perché, in fondo, le porte dell’Europa non si sono ancora del tutto chiuse per il Parma.

Una bella storia per chi come Alessandro Lucarelli ha vissuto tutte le pagine, cadute e trionfi, di questi anni. Ma anche la prova che Cicerone aveva decisamente torto quando parlava di “storia maestra di vita”. Il “mai più casi Parma” che risuonava per tutta l’Italia pallonara nella primavera di cinque anni fa è rimasto soltanto un ritornello stantio. A quanti altri fallimenti abbiamo assistito da allora a oggi? Quanti giochi contabili esistono ancora? Quante plusvalenze?

Parma 2015-2016Getty

Quello che è accaduto a Parma ha colpito l’immaginario di molti perché conteneva tutti gli elementi della tragedia, perché ha racchiuso in sé ogni componente possibile (dai presidenti in stile Borgorosso Football Club al pignoramento della palestra del centro sportivo, passando per bonifici falsati e stipendi non pagati). Ma sezionando quel fallimento si possono scorgere atomi nemmeno macroscopici di altri fallimenti, quelli che sono ancora ben presenti nel calcio dei nostri giorni. Chissà che questo continuo oscillare tra ceneri e rinascita non sia il vero segreto della magia di questo sport.

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