Cosa conta per un calciatore? Cosa conta nella vita? Seguire le orme del proprio padre, tirare calci ad un pallone, fare entrambi, guardare al futuro senza dimenticare il passato. Concentrandosi su di esso, ricordandolo con gioia, ponendosi ad un bivio e svoltare. Si passa dall'altra parte della scrivania, si fanno firmare contratti invece di firmarli, si indossano scarpe eleganti invece che scarpini. Da giocatore ad allenatore, dirigente, presidente. Oppure no, via dal calcio, dall'allietare ad aiutare. Dalla Juventus a Lanusei, dal calcio all'ortopedia. Giovanni Sulcis.
Ai tempi del coronavirus, ai tempi in cui la salute è l'unica cosa su cui basare tutto. Le speranze oscillano, il futuro è nebuloso. C'è chi come Sulcis il mondo del pallone l'ha lasciato tanti anni fa, prendendo la strada paterna, abbandonando quel gioco che era veramente solo un gioco. Sì, una professione di una parte della sua carriera, non per sempre. Dopo Cagliari e Perugia la laurea, la svolta. Ognuno fa quello che può.
Cresce a Bosa, Sulcis, anime meno di 9000 in quel 1975, neanche 8000 oggi. Cresce nel Calmedia mentre il padre Antioco è primario di medicina interna nell'ospedale locale. Cresce con quei valori, ma anche con il Cagliari, simbolo dell'isola, ponte verso il continente dopo lo Scudetto. Dovere e doveri, sogni e sognatori. Prima uno, poi l'altro. Riuscirà a far tutto. E' rossoblù, della Torres, dell'Atletico Catania e del Chievo, poi a 24 anni finiscono i prestiti e torna nella squadra della regione, la squadra di un popolo. A chent'annos di carriera calcistica, si augura a volte. Ma convinzione massima no, c'è sempre l'altra possibilità.
Sulcis, Giovanni Sulcis, che ha il cognome del territorio sudoccidentale della Sardegna, non arriverà al livello più alto del calcio, ma a lui basta e avanza aver calcato grandi palcoscenici di Serie A, qualcosa che la maggior parte dei calciatori ha sperato e non ha realizzato. Lui sì, gli è bastato prima di andare avanti senza voltarsi.
Non è un campione, non è un fuoriclasse. E' un buon centrocampista, un operaio del pallone con la mente da dottore. Gioca undici gare in Serie A, dieci delle quali nel 1999/2000. Gioca a San Siro, ferma il Milan con il suo Cagliari. 2-2. Affronta Inter, Lazio, poi arriva il 30 gennaio 2000 e il nuovo millennio non potrebbe iniziare meglio.
Davanti a sé c'è Zidane dietro Inzaghi e Del Piero, c'è Van der Sar tra i pali. C'è la Juventus a Torino, che lotta per lo Scudetto come da routine. Che annegherà a Perugia, sotto Calori. La squadra a cui si unirà Sulcis due stagioni dopo, prima di dire addio al calcio a 28 anni. Un anno e mezzo prima, due dei punti persi dai bianconeri, fatali per il titolo, saranno 'colpa' del ragazzo di Bosa.
C'è il compianto Mayelé (sigh) sulla sinistra, che crossa di destro da fermo, perfetto, soave e preciso. Il vantaggio di Inzaghi sfuma sulla staticità di Ferrara e Tacchinardi. Sulcis salta in mezzo a loro, colpisce di testa, facendolo venire, il mal di testa, ad Ancelotti. E a Van der Sar, osservatore sperduto della palla, dell'avversario, dei compagni. Niente da fare, la palla è dentro. Il punto più alto della carriera di GiSu.
Sulcis esulta, ma non esagera. Non l'ha mai fatto. A fine carriera, nel 2003, dovrà rispondere e decidere quale bivio scegliere. Meglio il goal alla Juventus o la doppietta alla Sampdoria in B? Tutto uguale:
"I tifosi ricordano soprattutto i goal, per me è stata tutta una festa, dalla prima all'ultima partita. Non è da tutti poter dire di aver marcato Shevchenko o Zambrotta, di aver calcato l'erbetta di San Siro. Ho lasciato i milioni di quel mondo? Questa se vogliamo è la conferma che per me il calcio è sempre stato un gioco. Ma ci sono anche altre cose".
Gioca a Perugia sotto l'adorato Cosmi una volta sola. Lascia il calcio, cambia vita. Narrerà quei tempi così:
"Semplicemente ho pensato che fosse giunto il momento di dedicarmi agli studi. Il calcio nella vita è una parentesi, anche se mi sentirò sempre all'interno di questo mondo che continuo ad amare. Ci stavo pensando da un po', avevo ed ho intenzione di seguire le lezioni, di fare pratica in ospedale. Sono al quarto anno, devo accelerare".
Accelerava in campo, la nuova curva è l'accelerata seduto a studiare, in piedi ad ascoltare. Il premio, dopo il goal alla Juventus, è la laurea del 2007, 110 e lode presso Cittadella Universitaria di Monserrato (CA) con specializzazione in Ortopedia e Traumatologia. Viene da una famiglia di medici, lo diventa anche lui, cercando di specificare che no, i parenti non hanno mai messo pressioni. Ha scelto, ha puntato, ha ottenuto.
Da Torino a Lanusei, dove grazie ad un concorso ottiene la possibilità di approdare all'Asl cittadina come ortopedico. Sì, ha calcato San Siro, segnato alla Juventus, corso agli ordini di Tabarez. Alzata di spalle: è solo calcio, il gioco del calcio. Nessun futuro in quell'ambiente: ha scelto.