Prima di Milan, Inter e Juventus, prima dei trionfi solo sfiorati di Roma e Sampdoria, ci fu la Fiorentina. Altri tempi, altro calcio, decisamente un’altra Coppa dei Campioni, ma i viola hanno l’indiscutibile primato di essere stato il primo club italiano a disputare una finale europea.
La Fiorentina del periodo a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 a livello di risultati è sicuramente la migliore della storia, un ciclo che iniziò nella stagione 1955/56 con la vittoria del primo scudetto: un campionato dominante, vinto con cinque giornate d’anticipo con la vecchia regola dei due punti a partita. Automatica quindi l’iscrizione alla Coppa dei Campioni dell’anno successivo.
La Coppa dei Campioni 1956/57 è un torneo ben diverso rispetto alla Champions League attuale, non solo perché ci partecipano solo le squadre campioni nazionali. Nemmeno tutte: le rinunce erano ancora all’ordine del giorno, mancavano i campioni di Grecia, Unione Sovietica, Norvegia e via scendendo. Il Manchester United, campione d’Inghilterra in carica, si impose ottenendo l’iscrizione al torneo nonostante lo snobismo della FA, che definiva i tornei europei “una distrazione”. Avranno tempo per cambiare idea.
La formula era quella del tabellone tennistico, con turni progressivi a eliminazione diretta: minimo garantito di due partite, chi è dentro è dentro chi è fuori è fuori, le fasi a gironi non erano probabilmente nemmeno ipotizzate. Di più: i sorteggi del primo turno non si basavano sulle teste di serie, bensì su gruppi per base geografica. Come al Risiko, c’era l’Europa dell’Est, l’Europa del Nord-Ovest e l’Europa del Centro-Sud. Due le principali ragioni: ottimizzare la logistica e organizzare il minor numero possibili di viaggi al di qua della Cortina di Ferro per le squadre dell’Est, con annessi tentativi di fuga, varie ed eventuali.
La Fiorentina venne baciata sulla fronte dalla Dea Fortuna saltando il turno preliminare (dove il Manchester United battè l’Anderlecht 10-0 e il Borussia Dortmund andò alla terza gara contro i lussemburghesi dello Spora…) e infilando dagli ottavi in poi un cammino senza fronzoli: 1-1 a Firenze e 1-0 in Svezia contro il Norrkoeping, 3-1 a Firenze e 2-2 in Svizzera contro il Grasshoppers, tutto questo mentre il Real eliminava il Nizza e faceva lo spareggio contro il Rapid Vienna negli ottavi.
Non restano che le semifinali: il Real Madrid eliminò il Manchester United dei “Busby Babes”, mentre la Fiorentina, contro la Stella Rossa, se la cavò vincendo a Belgrado 1-0 con un goal nel finale di Prini, difeso con ogni mezzo nello 0-0 della gara di ritorno in casa.
Appuntamento dunque al 30 maggio 1957, per la finale contro il Real Madrid. Una finale che per la Fiorentina si presentò impervia sin dalle premesse: il Real non solo era campione in carica, ma giocava pure la finale in casa, nello stadio di Chamartìn da un paio d’anni intitolato al suo Presidente, ancora in vita: il mitico Santiago Bernabeu. Le fonti parlano di 135mila spettatori presenti, evidentemente i posti a sedere obbligatori erano molto di là da venire; ovviamente nessuna diretta televisiva (la RAI aveva iniziato le trasmissioni regolari da appena tre anni), i tifosi viola si dovettero accontentare della radiocronaca di Nicolò Carosio sul Programma Nazionale, il papà dell’attuale Radio 1.
Stando alle cronache dell’epoca, la Fiorentina giocò la sua onesta partita senza però mai realmente impensierire il Real, che pure per sbloccare il risultato dovette attendere il 69’ e un rigore generoso. Vittorio Pozzo, proprio l’ex CT della Nazionale italiana campione del mondo nel 1934 e nel 1938, inviato per La Stampa, descrisse così l’azione:
“Un rigore che, secondo noi, è irregolare. Esso nacque da un sospetto di fuorigioco non rilevato dall’arbitro. Comunque Mateos, la mezz’ala destra, filò via e fu atterrata con uno sgambetto da Magami. Lo spagnolo cadde lungo disteso in area, ma secondo noi il fallo contro di lui fu commesso al di qua della linea. L’arbitro concedette subito la punizione massima, e non si lasciò commuovere dalle proteste dei fiorentini che volevano fosse sentito uno dei guardialinee…”.
Prosa antica per un calcio antico che però, come vediamo, mostrava le stesse questioni di oggi. Alfredo Di Stefano trasformò il rigore del vantaggio, e sei minuti dopo Francisco Gento sigillò il definitivo 2-0 per il Real Madrid. Per la Fiorentina, un’occasione a posteriori unica e irripetibile che sfumò, anche se i viola seppero comunque confermare negli anni successivi, con la vittoria in Coppa delle Coppe nel 1961 e la finale persa contro l’Atletico Madrid dell’anno dopo, una solida reputazione internazionale. Per il Real, invece, quelle due Coppe dei Campioni furono solo l’inizio.