Milan Brasile

Quella volta che si giocò Milan-Brasile, partita d'addio di Ancelotti

Immaginatevi – in questo periodo di astinenza da calcio è forse più facile – partite tipo Spagna-Chelsea, o Barcellona-Italia, o Francia-Roma. Abbinamenti totalmente nonsense, anche perché il rischio per alcuni giocatori di non sapere per chi giocare sarebbe molto elevato. Eppure, c’è stato un periodo non troppo lontano in cui questo tipo di partite era possibile, sebbene non fosse proprio all’ordine del giorno.

Il periodo pre Sentenza Bosman rendeva tutto più facile: numero di stranieri per squadra limitato, spesso e volentieri erano della stessa nazionalità (il Milan degli olandesi, l’Inter dei tedeschi), e questo rendeva tutto teoricamente più facile. Per questo, quando il 20 maggio 1992 il Milan affrontò il Brasile in amichevole a San Siro, la sensazione era quella di una partita un po’ bislacca ma tutto sommato con un po’ di senso.

Un senso televisivo, soprattutto. Il Milan della stagione 1991/92 aveva disputato solamente campionato e Coppa Italia: la stagione prima si era qualificato per la Coppa UEFA, ma non vi aveva potuto partecipare a causa di una squalifica di un anno, comminata per aver abbandonato il campo nella celebre notte di Marsiglia dell’anno prima. Così, una squadra fortissima, appena transitata dalle mani di Arrigo Sacchi a quelle di Fabio Capello, con i tre olandesi in rosa eccetera eccetera, non aveva alcuna vetrina internazionale da poter risaltare sulle reti Fininvest (oggi Mediaset).

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La cosa ebbe i suoi pro: Capello fece concentrare la squadra sul campionato, talmente bene da vincerlo senza sconfitte (eguagliando il record del Perugia, successivamente ci arriverà pure la prima Juve di Conte), perdendo in stagione solo una partita, al Delle Alpi contro la Juventus in semifinale di Coppa Italia. Per chiudere degnamente la stagione, serviva una vetrina internazionale. Così, dopo l’improbabile “Coppa dell’amicizia” di marzo, ovvero una trasferta riparatrice al Velodrome di Marsiglia, ecco due amichevoli anomale, con gli occhi di oggi.

Prima la trasferta a Tel Aviv con tanto di amichevole contro la Nazionale israeliana (2-0, gol di Massaro e Simone), poi il gran galà di San Siro contro il Brasile. La motivazione è nobilissima: salutare l’addio al calcio di Carlo Ancelotti, che a nemmeno 33 anni sente le ginocchia implorargli “basta” dopo anni di battaglie, e di ferite.

Carlo Ancelotti Milan

Il Brasile del resto è un buon Brasile, in fase di ricostruzione dopo il disastro di Italia’90, affidato a Carlos Alberto Parreira, che sta curando la transizione tra la nuova generazione dei vari Bebeto e Mauro Silva e i “senatori” come Careca. Un lavoro non semplice, quello della ricerca di una nuova “brasilianità” dopo lo snaturamento della gestione Lazaroni e il breve interregno di Falcao, che non mancherà di dare i suoi frutti due anni dopo a Pasadena. Ironicamente, contro l’Italia allenata da Arrigo Sacchi, che avrà in Carlo Ancelotti un fidato vice dentro cui sta germogliando il seme del futuro, grande allenatore.

Davanti a 62mila spettatori sarà proprio il 32enne Careca, atteso dall’ultima stagione napoletana, a firmare l’unico gol della partita, un 1-0 per il Brasile che non rovina il giro di campo di Ancelotti molto più della pioggia battente su San Siro.

Silvio Berlusconi, che ovviamente ha mandato la partita in diretta su Canale 5, si prende la scena a fine partita come ama fare: glissa sul possibile arrivò di Lentini (spoiler: alla fine arriverà), e sogna un San Siro da 75mila abbonati (spoiler: non ce la farà, ma solo perché si fermeranno a 71585, una cifra mostruosa, inimmaginabile oggi). Sul festeggiato, dice “Anche lassù qualcuno si è commosso”: lì per lì pare un’esagerazione, ma vent’anni dopo la gratitudine nei confronti di Carletto sarà se possibile ancora più grande.

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