Carlos VolanteWikipedia

Un nome, un ruolo: perché il 5 sudamericano si chiama "volante"

Chi mastica un pizzico di calcio sudamericano lo sa: c'è il goleiro, il portiere, ci sono i due laterais, ossia i terzini, e poi il meia, il trequartista, e via così. E c'è il volante. Ovvero il classico centrocampista centrale davanti alla difesa, caratteristiche solitamente difensive e l'esperienza adatta per prendere in mano le redini di una squadra.

L'unica posizione dello scacchiere tattico che ha la stessa denominazione in portoghese e in spagnolo, dunque in Brasile e nel resto del Sudamerica, è proprio questo: il volante. E la motivazione è legata a un personaggio che ha scritto la storia al tramonto della propria carriera, tanto da traslare il proprio cognome a un ruolo: Carlos Martin Volante. Il simbolo per eccellenza del centrocampista sudamericano con il numero 5 sulle spalle.

UN NOME, UN RUOLO

Volante è argentino, di Lanus, dove nasce nel 1910. Ma è in Brasile, la terra nemica per eccellenza, dove diventa una sorta di leggenda. Vi arriva nel 1938, dopo aver giocato in patria, ma anche in Italia (Napoli, Livorno, Torino) e in Francia (Rennes, Lilla, CA Paris), ed essere rientrato frettolosamente in Sudamerica per sfuggire all'ondata bellica scatenatasi sull'Europa con l'avvento di Fascismo e Nazismo.

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L'inizio del suo legame con il Brasile è particolare: Volante si inventa infatti, quasi in incognito, massaggiatore della Seleção che ai Mondiali del 1938 chiude al terzo posto dopo essere stata superata in semifinale dall'Italia di Silvio Piola. Un modo ingegnoso per organizzare la propria fuga dall'Europa. Poi lo nota il Flamengo, ed è amore. Duraturo e vincente.

Volante ha 28 anni quando arriva a Rio de Janeiro, e conquista tutti. Il suo stile di gioco davanti alla difesa è così particolare che i brasiliani iniziano a chiamare quel ruolo come il suo cognome: Carlos è infatti un supporto mobile per i centrali di difesa, in mezzo ai quali va spesso a piazzarsi per consentire loro un migliore posizionamento lungo la linea della retroguardia. Un espediente tattico utilizzato ancor oggi dagli allenatori in Brasile.

Carlos VolanteEl Grafico

L'ESPERIENZA IN ITALIA

Volante ha origini italiane, in quanto il padre Giuseppe è emigrato in Argentina da Alessandria. E in Italia torna nel 1931, da calciatore del Napoli. Dopo gli esordi nel Lanus, ai tempi gioca nel Platense, che disputa alcune amichevoli in giro per l'Europa e affronta pure gli azzurri. Che vedono all'opera questo centrocampista e decidono di provare a portarlo alla corte dell'inglese William Garbutt.

"In casa mia ci fu una grande discussione - il ricordo di Volante al 'Grafico' - devi andarci, sì, no... Io speravo un giorno di poter riportare mio padre in Italia, paese di cui sentiva la nostalgia, ma mia madre non voleva lasciarmi andare. Così le ho detto: 'Chiederò al Napoli 150mila lire per due anni e 4mila lire al mese: così può andar bene?'. Accettò. Feci la proposta al club, che la accettò. Mi diedero anche due biglietti aerei, uno per me e uno per mio padre. Il grande sogno si realizzò e per 9 anni giocai in Italia e poi in Francia. Vidi grandi squadre come la Juventus, l'Internazionale, la Roma, il Torino".

Nei tre anni in cui rimane nel nostro paese, Volante veste altrettante maglie: quella del Napoli nel 1931-32, poi quella del Livorno - con cui conquista una promozione dalla Serie B alla Serie A - e infine quella del Torino. Fino a quando lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale non lo costringe ad abbandonare il nostro Continente.

In Italia ci tornerà, questa volta per vivere la propria pensione, una volta appese le scarpe al chiodo. Ed è proprio qui, nella terra dei propri genitori, che morirà a 79 anni.

"GIOCATE COME VOLANTE"

Se il sogno europeo va a buon fine, è come detto in Brasile che Volante tramanda il proprio nome di generazione in generazione. Grintoso e sempre sul pezzo, nonostante nei suoi anni argentini non avesse mai rimediato alcun cartellino giallo, a Rio è apprezzato dai tifosi e rimpingua il proprio palmares: tre Campionati Carioca di fila in una squadra che vanta parecchi connazionali, tra cui l'oriundo italiano Raimundo 'Mumo' Orsi, campione del Mondo nel 1934.

Il suo gioco, in un calcio ancora legato a schemi e posizioni fisse, ha un impatto talmente notevole che gli allenatori dell'epoca consigliano ai propri centrocampisti di "jogar como Volante", di giocare come Volante. Una raccomandazione che diventa ben presto "jogar de volante", con la v minuscola, ovvero giocare "nella posizione di volante". Davanti alla difesa, appunto.

Allenatore lo diventerà anche Volante, in un secondo tempo. Ancora una volta, prima in Argentina e poi in Brasile. Al Lanus e poi all'Internacional, club che per i gringos, anche per la propria posizione geografica di confine con l'Uruguay, ha una particolare predilezione. Nel 1959, alla guida del Bahia, conquisterà la Taça Brasil: la prima, storica edizione del campionato nazionale brasiliano.

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