Pasquale Foggia GFXGetty GOAL

Il Milan, la Lazio e la toccata e fuga a Dubai: il Pasquale Foggia calciatore

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Stadio Carlo Castellani, sono le ore 15.00 di domenica 14 settembre 2003, quando l’arbitro Paolo Dondarini decreta l’inizio di Empoli-Reggina. Per il resto del mondo è una partita come tante altre e tra l’altro nemmeno particolarmente attesa, visto che saranno circa 6000 i tifosi che prenderanno posto sugli spalti, ma per Pasquale Foggia il discorso è totalmente diverso.

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Entrando infatti in campo al 57’ al posto di uno spento Francesco Tavano, corona quello che è sempre stato un suo grande sogno: esordire in Serie A.

La strada che l’ha portato fino a quel preciso istante non è stata propriamente breve, ma già l’esserci ripaga ampiamente di tutti i sacrifici fatti. Foggia ha venti anni quando si affaccia per la prima volta nel calcio che conta davvero, ma ha già alle spalle un lungo cammino scivolato via tra tanta gavetta e anche diverse rinunce.

Il calcio ha sempre avuto un ruolo importante a casa sua. Suo padre, Francesco (per tutti Ciccio) Foggia è stato infatti un bomber vero, uno di quelli con oltre 500 goal all’attivo tra C2 e serie inferiori campane, ma oltre ad aver calcato per tanti anni i campi di periferia, ha soprattutto trasmesso al figlio oltre che la passione anche dei geni speciali che l’hanno portato fin da bambino ad emergere su tutti i suoi coetanei.

Che Pasquale Foggia avesse le carte in regola per fare carriera lo si è capito fin da subito, tanto che nel giro di pochissimi anni, quando era ancora un bambino, si è ritrovato dall’essere il ‘campioncino’ del suo rione, l’elemento che tutti gli amici volevano in squadra, a capire che per arrivare dove sognava di arrivare, oltre a tanto talento ed un sinistro fatato, serviva di più. Anche soffrire se necessario.

Ha solo 13 anni quando il Padova lo scova nella sua Napoli e decide di scommettere sulle sue qualità. Si riscopre catapultato in un mondo nuovo, lontano dagli affetti, dal quartiere nel quale è cresciuto e aggrappato a quella scheda telefonica che sebbene usata con parsimonia lo aiuta a rendere la nostalgia un po’ meno crudele.

Lui napoletano e tifoso del Napoli, si è dovuto allontanare di centinaia di chilometri da casa per emergere e per imparare come si sta nel mondo del pallone, ma saranno anche quegli anni vissuti lontano da quella che per lui è normalità a renderlo ciò che diventerà dopo.

“E’ stata molto dura, non è semplice allontanarsi da tutto quando si è così piccoli. Alla fine però posso dire che quella che ho fatto è stata una scelta giusta”.

È il 1997 e mancano ancora sei anni al ‘suo’ Empoli-Reggina, ma intanto ha già modo di vedere da vicino il calcio vero. Nel 1999 è il Milan a notarlo e a volerlo. Foggia ha dimostrato a livello giovanile di saperci fare e i meneghini pur di portarlo a Milanello decidono di rinunciare ad un altro talento, di qualche anno più grande, che intanto in rossonero ha già fatto una trafila importante che lo porterà a sfiorare anche l’esordio in prima squadra, e che ha già alle spalle una mezza stagione in Serie B con il Monza: Roberto De Zerbi.

Al Milan, Foggia avrà modo di vedere da vicino alcuni tra i più grandi giocatori del pianeta e capirà che a rendere speciale quella squadra è molto di più che il semplice tasso tecnico. Trova una struttura perfettamente organizzata, nella quale ogni elemento, anche se si tratta di un fuoriclasse assoluto, ha un suo posto ed un ruolo ben definito. Serve tanta personalità per guadagnarsi una maglia da quelle parti e sebbene non avrà mai modo di esordire tra i ‘grandi’, il semplice stargli a pochi metri di distanza sarà così importante da valere come il vero e proprio inizio di carriera.

Foggia le qualità per emergere le ha sempre avute. Agile, veloce, dotato di grande tecnica e fantasia, oltre che di un sinistro che da quell’Empoli-Reggina in poi gli consentirà di calcare altre 169 volte i campi di Serie A, e lo porterà a spingersi fino al realizzare il sogno di ogni bambino: indossare la maglia Azzurra.

Il suo giro d’Italia intanto è già iniziato e prima ancora di toccare quella importante tappa in Toscana, lo porterà anche a Treviso, dove avrà la possibilità di giocare le sue prime partite da professionista prima in Serie B e poi in Serie C e soprattutto di conoscere quello che si rivelerà essere il tecnico più importante incontrato durante il suo lungo percorso da calciatore: Marco Giampaolo.

“Lo considero il mio padre calcistico. Avevo 17 anni quando l’ho incontrato a Treviso ed è stato lui che mi ha insegnato a stare in campo. E’ vero quello che si dice e cioè che è un vero maestro di calcio”.

Sarà grazie a ciò che farà a Treviso che si guadagnerà l’accesso alla Serie A, ma prima della vera consacrazione dovrà passare di nuovo per la Serie B, con Empoli e Crotone, e poi attendere la stagione 2005-2006 quando è proprio Giampaolo, al quale intanto è stata affidata la guida dell’Ascoli, anche se formalmente l’allenatore in prima è Massimo Silva, a trovargli la giusta collocazione in bianconero.

Nelle Marche vivrà una stagione condita da tante soddisfazioni. L’Ascoli gioca un gran calcio, innovativo secondo molti, e Foggia con le sue 34 presenze condite da 4 goal, darà un contributo fondamentale nel corso di una stagione che si chiuderà con un decimo posto in Serie A.

Intanto in molti si sono ormai accorti del suo talento e anche al Milan valutano se riportarlo alla base, ma in una squadra così forte e piena di campioni in attacco sarebbe dura per chiunque e quindi il club decide di cederlo alla Lazio, nell’ambito di un’operazione che porterà Massimo Oddo alla corte di Ancelotti.

La maglia rossonera non la vestirà più, ma in Roma troverà una sorta di seconda casa. Il primo anno alla Lazio sarà di quelli complicati, ma quando nel 2008 vi tornerà dopo le esperienze vissute in prestito alla Reggina e al Cagliari, lo farà da giocatore nel pieno della maturità calcistica, con due delle tre presenze complessive in Nazionale già collezionate e con la consapevolezza di poter fare la differenza anche ad alti livelli.

In quella stagione totalizzerà 33 presenze in Serie A e vincerà da protagonista una Coppa Italia, mentre in quella successiva metterà in bacheca una Supercoppa Italia e farà il suo esordio a livello europeo. Quando tutto ormai sembra pronto per la definitiva consacrazione, qualcosa si incepperà.

Pasquale Foggia LazioGetty

Lo spazio nella capitale sarà sempre meno ed Edy Reja gli riserverà più panchine che campo. Per tornare a fare la differenza, Foggia deciderà quindi di fare ciò che aveva già fatto in passato: un passo indietro per rilanciarsi.

Ripartirà dalla Serie B e dalla Sampdoria, squadra nella quale tornerà a sentirsi protagonista e con la quale otterrà una promozione in Serie A, ma quella a Genova sarà un’avventura destinata a non durare a lungo.

“Io avrei fatto di tutto per restare alla Samp anche in Serie A, avevo voglia di esserci dopo essermela guadagnata.  Arrivò un allenatore che interpretava il calcio in un modo diverso, nel quale non poteva starci uno con le mie caratteristiche e fecero quindi altre scelte. Serviva un elemento più difensivo. Per me fu una delusione”.

Di fatto Foggia non metterà mai più piede su un campo di Serie A da calciatore. Tornerà alla Lazio e Vladimir Petkovic gli comunicherà fin dal primo giorno di ritiro che non rientra nei suoi piani. Ad attenderlo ci saranno lunghi mesi fuori rosa e anche nel corso della sessione invernale di calciomercato, quando sembra che possa concretizzarsi un ritorno alla Sampdoria, non arriverà la svolta che cambi il volto delle cose. Per la prima volta in carriera chiuderà una stagione senza presenze.

È il 28 maggio 2013 quando ormai, svincolatosi dalla Lazio, firmerà il contratto che gli varrà la prima ed unica esperienza all’estero. Firma con il Dubai FC sapendo che si sta allontanando dal calcio che conta, ma anche che ad attenderlo potrebbe esserci un’esperienza straordinaria.

“Fortunatamente avevo la possibilità di scegliere sia di rimanere in Italia che di andare all’estero - spiegherà a Panorama - io e la mia famiglia avevamo però il desiderio di fare un’esperienza diversa anche dal punto di vista della qualità della vita. Se avessi voluto svernare, come si dice in questi casi, sarei andato in Cina, dove mi offrivano tre anni di contratto al doppio di quello che guadagnavo negli Emirati. A Dubai invece ho scelto io di firmare per un anno con opzione sul secondo”.

E’ fermo da un anno ed ha una voglia incredibile di tornare a giocare, ma quello che troverà a Dubai sarà un calcio troppo diverso da quello al quale è abituato. Così diverso che quella parentesi si chiuderà meno di tre mesi dopo.

Foggia tornerà in Italia per regalarsi un’ultima avventura alla Salernitana in Lega Pro, prima di ritirarsi ad appena 31 anni.

Quello che appende gli scarpini al chiodo nel 2014 è comunque un giocatore che ha realizzato tutti i suoi sogni. Ha giocato Serie A, ha vinto, ha vestito la maglia della Nazionale segnando anche un goal e si è imposto come un giocatore di grande talento. Tra le tante cose fatte, una sola non gli è riuscita, una di quelle alle quali teneva di più: vestire la maglia del suo Napoli.

Ci è andato vicinissimo nel 2010 ed aveva già i bagagli pronti per tornare a casa da calciatore ‘vero’, ma la trattativa si arena quando ormai si attendeva solo la fumata bianca.

Pasquale Foggia ancora oggi è nel mondo del calcio, dove dal 2017 al 2023 ha ricoperto il ruolo di direttore sportivo del Benevento. Nella sua Napoli ci è tornato davvero, ma non per giocare con la maglia azzurra addosso, bensì per restituire qualcosa al suo quartiere: il Rione Traiano.

In quello spicchio di Napoli, dove sono cresciuti altri giocatori che poi hanno avuto carriere importanti come come Fabio e Paolo Cannavaro e Antonio Floro Flores, ha creato una scuola calcio che è più di un semplice trampolino per giovani talenti.

Può seguire da vicino tanti ragazzi, intravvedere nel loro percorso quello che è stato il suo percorso, ma l’obiettivo principale non è mai stato quello di scovare nuovi campioni.

“Per me è stato come tornare alle origini, lì dove sono cresciuto. L’obiettivo è aiutare i ragazzi, trasmettere loro dei valori. Chi è bravo viene fuori, ma noi vogliamo che i bambini imparino a rapportarsi tra loro. L’idea è quella di fare di loro prima degli uomini con dei principi sani e poi dei calciatori”.

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