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Marco Pilato, modello per Buffon che lasciò il calcio a soli 21 anni

Stefano Turati: 18 anni. Gigio Donnarumma: 16 anni. Tu chiamali, se vuoi, baby predestinati. Specialmente il gigante del Milan, passato rapidamente dallo status di promessa a quello di realtà del calcio italiano. Non sempre, però, precocità fa rima con una carriera da mostro sacro dei pali. E il caso di Marco Pilato, possibile enfant prodige entrato ben presto nel dimenticatoio, ne è l'esempio più calzante.

Pilato se lo ricordano a Bologna. Gli altri, invece, ne hanno scordato nome e fattezze. Debutto in A a 18 anni esatti, poche partite, i consueti prestiti per farsi le ossa nelle serie minori. E poi... e poi basta. Di Marco, nel grande calcio, si sono perse le tracce. Un po' per le decisioni altrui e molto per la scelta controcorrente di un personaggio a cui certi meccanismi, magari assodati e considerati normali, non sono mai andati giù.

Guai a pensare che si parli di uno qualsiasi, del classico giovanotto sopravvalutato che indirizza la propria carriera sui binari sbagliati tornando rapidamente coi piedi per terra. Pilato era un portiere vero, con qualità visibili a occhio nudo anche da giovanissimo. Un modello di riferimento per chi si avviava alla propria professione di portiere. Tra cui Gigi Buffon, uno dei più grandi della storia. Che nella propria autobiografia “Numero 1”, scritta assieme a Roberto Perrone poco più di una decina d'anni fa, ha dedicato qualche riga proprio a lui.

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“Era la tarda primavera del 1991. Ero alto, magro ed ero un portiere. Erano bastati nove mesi per diventarlo. Ero un portiere e non uno qualsiasi. Convinzione personale a parte, lo dicevano gli altri. Si accorsero di me alcune società importanti. Mi cercarono in tre. Bologna, Milan e Parma. Al Bologna mi segnalò il Bonascola. Andai a fare due provini a Casteldebole, al centro sportivo rossoblù. In una di queste occasioni l'allenatore dei portieri, Persico, indicando un giovane della Primavera mi disse: “Guarda, se diventassi la metà di quello saresti già un ottimo portiere”. Questo ragazzo si chiamava Pilato e giocò anche qualche partita in Serie A”.

Vero: Pilato la gioca, qualche partita in Serie A. Ma tutto va storto. Senza che lui possa addossarsi troppe colpe. Perché quello del 1990/91 è un Bologna disastrato, lontano anni luce dal calcio champagne di Gigi Maifredi. In Coppa UEFA si è inerpicato fino ai quarti, venendo eliminato dai portoghesi dello Sporting, ma in campionato viaggia dritto verso la retrocessione, nonostante abbia in rosa Antonio Cabrini e in panchina Gigi Radice, volti e personaggi storici del pallone tricolore. Chiuderà ultimo, non a caso.

Il 14 aprile 1991, ecco il Pilato day. Marco diventa maggiorenne proprio quel giorno e Radice gli fa fare un doppio salto carpiato: da terzo portiere a primo, scavalcando in un colpo solo Cusin e Valleriani. 6 giornate alla conclusione di quel disgraziato torneo. Al Dall'Ara, dove tira aria di pesante contestazione, c'è il Parma, neopromosso e destinato a vivere gli anni più entusiasmanti della propria storia. Finisce 3-1 per i gialloblù, che passano con Melli, si fanno raggiungere da Turkyilmaz e allungano con Grün e con un rigore di Minotti.

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Pilato fa quel che può, se la cava bene quando viene sollecitato e ha l'unica macchia di commettere il fallo da rigore del tris parmense. Nel suo servizio per la 'Domenica Sportiva' Antonio Capitta, giornalista sardo per l'occasione a Bologna, ne tesse le lodi:

“È stato lui, Marco Pilato, il fatto più lieto della partita. 18 anni compiuti proprio oggi, ha subìto tre goal senza colpa ed è stato protagonista di ottimi interventi. Farà strada”.

La previsione si rivelerà clamorosamente errata, anche se Pilato non può ancora saperlo. Anzi, il portierino bolognese ci prende gusto e rimane tra i pali fino all'ultima giornata. Senza soddisfazioni, però: nelle ultime 6 partite, il Bologna racimola 4 sconfitte, un pareggio e una sola vittoria. Con 16 reti al passivo. Di cui 6 in un tennistico, quanto umiliante, Milan-Bologna 6-0.

Fine della corsa. Per il Bologna, che riparte dalla B e di lì a un paio di stagioni sprofonderà addirittura in C, ma anche per Pilato, per il quale si aprono le porte dei prestiti: Trento prima, Centese poi, sempre in C2. Quando è il momento di fare l'ennesimo rientro alla base, il portiere decide che questo calcio non gli piace più. E si fa da parte. Si ritira ad appena 21 anni, con parecchia rabbia in corpo. Sfogata qualche anno fa in un'intervista al 'Fatto Quotidiano':

"I procuratori mi venivano a cercare a casa: una volta smesso, non si è fatto più sentire nessuno. Guardo con ammirazione chi è arrivato, accettando un sistema che a me non piaceva. Non c'era rispetto, dominavano solo i soldi, mentre non venivano considerate l'applicazione e la voglia d'imparare".

Una stoccata, Pilato l'ha riservata a Lele Oriali. Ieri campione mundial con la Nazionale dell'82', oggi braccio destro di Antonio Conte all'Inter. E, nel mezzo, dirigente di quel Bologna.

"Rimasi colpito dalla sua freddezza di fronte a un ragazzino che gli diceva di non voler più giocare. Forse lui la lesse come una scusa per svincolarmi dai rossoblù, mentre la mia era una confidenza. Bastava mi chiedesse 'Perché?'; ci saremmo confrontati e mi avrebbe convinto a continuare: avevo ancora la borsa in macchina. Quel giorno ho avuto la controprova che al sistema non interessano i valori umani".

Game over. Il portiere da cui Buffon avrebbe dovuto trarre ispirazione non gioca più. Di Pilato non si sentirà più parlare fino a una decina d'anni più tardi, quando la voglia di rimettersi in gioco diventa troppo forte. Anche a 32 anni. Non in Serie A, non in Serie B, ma nei campionati dilettantistici bolognesi. Senza indossare i guanti. No, quelli fanno parte di un passato indigesto: se la cava da difensore, da centrocampista, pure da attaccante. Senza stress, per puro divertimento.

Oggi Pilato gestisce un negozio di abbigliamento sportivo a Sasso Marconi, in provincia di Bologna, proprio dove è iniziata la sua seconda carriera. Senza guardarsi indietro. Ma con la consapevolezza di avere un posto speciale nel calcio italiano. Perché a indicare la retta via a Gigi Buffon, pur senza saperlo, c'era lui, mica un altro.

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