Carrascal River Talleres Fecha 4 Superliga 2019/20Marcelo Endelli/Getty Images

Jorge Carrascal, il pupillo di Cassano: tra coltelli e il rischio amputazione

Entrare nelle grazie di uno come Antonio Cassano non è semplicissimo. Diciamola fino in fondo: è un'impresa particolarmente complicata. Per questo qualcuno si è stupito quando Fantantonio, uno che ha notorialmente ha la puzza sotto il naso quando si tratta di giudicare colleghi ed ex colleghi, qualche settimana fa si è idealmente inginocchiato a Jorge Carrascal:

“Un mostro, può diventare il prossimo fenomeno del calcio”.

Però. Mica male come investitura. Ma si tratta di un apprezzamento meritato, per un semplice motivo: qui si è di fronte a un talento purissimo. Su cui mezza Europa, tra cui la Serie A e tra cui la Juventus e la Fiorentina, ha posato gli occhi. Il suo cartellino è per il 90% di proprietà nel River Plate, che se l'è comprato a titolo definitivo dagli ucraini del Karpaty. tre milioni di euro la cifra sborsata, con un ragionamento piuttosto banale quanto sensato: tra non molto incassiamo cinque, sei, addirittura sette volte più di quel che abbiamo speso. Sì, sarà così. La clausola rescissoria presente nel suo contratto, del resto, non lascia troppo spazio all'immaginazione: per portarlo via dall'Argentina servono 20 milioni.

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22 anni, colombiano, Carrascal può vantare un primo scorcio di carriera tutt'altro che convenzionale: nei primi sei anni ha vestito quattro maglie e cambiato altrettanti paesi e campionati. Non sarà un record, questo no, ma non è nemmeno la traiettoria più normale di questo mondo. Dalla Colombia alla Spagna, dalla Spagna all'Ucraina, dall'Ucraina all'Argentina. Dai Millonarios di Bogotá ai Millonarios di Buenos Aires. E nel mezzo il Siviglia Atletico, filiale del Siviglia, e il Karpaty. Percorso piuttosto lontano dal paradigma del predestinato che abbaglia in Sudamerica e in un amen si ritrova catapultato, solitamente in cambio di un bel mazzo di milioni, sotto i riflettori europei.

Jorge Carrascal Colombia Preolímpico 2020Federación Colombiana de Fútbol

Carrascal lo chiamano “il Neymar colombiano”, e in effetti qualche somiglianza nelle movenze si potrebbe anche intravvedere. Ma non ditelo a Jorge: potreste seriamente farlo arrabbiare.

“Questo soprannome se l'è inventato la stampa colombiana. Non mi piace per nulla. Ognuno ha il proprio percorso, io ho il mio. Non ho mai preso sul serio questo paragone di Neymar, non voglio avere una pressione del genere sulle spalle”.

Meno attaccante e più trequartista rispetto al brasiliano, Carrascal è in realtà il classico 10 che ama svariare tra le linee, forte di un piede zuccherino e di una qualità che non molti possono vantare. È piuttosto alto (1.80 circa) e ha un fisico strutturato, messo in mostra da un'immancabile serie di tatuaggi. Quando parte palla al piede ricorda Kaká (anche a Cassano). Sa mettere un compagno davanti alla porta, eccome. E in più ci mette quel pizzico di irriverenza sudamericana che non guasta mai: negli scorsi mesi sui social è circolato il video di una partitella del River in cui, tra tunnel e sterzate col pallone incollato ai piedi, ha fatto ammattire mezza squadra avversaria. Per fermarlo, per la cronaca, hanno dovuto abbatterlo.

Al River, che al suo arrivo a Baires era reduce dalla gioia senza paragoni della Libertadores conquistata al Bernabeu sul Boca Juniors, Carrascal ha iniziato a imporsi in maniera lenta ma costante. In casa del Cruzeiro, negli ottavi di ritorno della Copa, il suo primo grande test. Ha giocato poco nei primi mesi, sempre di più nei successivi. Mesi dolorosi per la squadra di Gallardo, che si è vista sfuggire in extremis sia il campionato che la Libertadores, ma positivi per lui.

Tornando al paragone con Neymar, poi, Carrascal ha dovuto convivere con un percorso di crescita – calcistica e non – meno banale  rispetto al più illustre collega. Per dire: a rallentarlo ci hanno pensato tre-operazioni-tre al menisco del ginocchio destro, l'ultima nel 2016. Anche per questo non è riuscito a sfruttare come avrebbe desiderato la chance offertagli dal Siviglia, che facendolo partire dal Siviglia Atletico avrebbe voluto far di lui l'ennesima perla presa a poco e rivenduta a tanto. Cinque anni di contratto, addirittura. All'epoca (2016) lo voleva pure la Juve. Tutto andato in frantumi in poco tempo.

Nemmeno la vita, cominciata in un quartiere povero di Cartagena, è stata benevola con Carrascal. Se è vero che non è troppo raro ascoltare la storia del campione sfuggito grazie al pallone a un'infanzia difficile e pericolosa, beh, qui non si sfugge al classico cliché.

“Nella mia città sono sempre mancate le opportunità – ha raccontato a 'Olé' – Molti talenti si sono persi per strada proprio per questo motivo. Perché lì o giochi a pallone oppure ti metti a rubare, finisci in carcere e vieni ucciso. Non ci sono altre vie. Senza il sostegno della mia famiglia, o di altre persone che mi sono sempre state vicine, oggi sarei ancora a Cartagena, in carcere o a rubare”.

“In campo non sento la pressione. La pressione vera era giocare nel mio quartiere, dove le porte erano un paio di pietre, dove si giocavano i tornei contro gli altri quartieri e quelli che perdevano rincorrevano gli altri coi coltelli. In posti così bisogna lottare, farsi rispettare. Anch'io andavo in giro coi coltelli. Era un quartiere poverissimo, dovevo difendermi”.

In ogni caso, Carrascal con un pallone tra i piedi ci sa fare. Lo dimostra prima al Club Deportivo Heroicos, squadretta formata dagli zii, e poi alla Selección de Bolivar. Il carattere non è semplicissimo da gestire, la personalità del ragazzo del barrio straborda dai pori della pelle, ma la qualità è evidente a tutti. Anche ai Millonarios, il leggendario club che all'inizio degli anni Cinquanta ospitava Alfredo Di Stefano, che nel 2014 lo porta a Bogotá. Più che le (poche) apparizioni in campionato, sono le costanti convocazioni nella Nazionale giovanile colombiana e la partecipazione al Sudamericano Under 17 ad attirare l'attenzione degli scout del Siviglia. Che un nel 2015, tramite il Siviglia Atletico, lo portano in Spagna.

Jorge Carrascalas

Peccato che in Europa non funzioni quasi nulla. Un infortunio al menisco lo costringe a un calvario infinito: tre operazioni. E, come se non bastasse, un misterioso virus rischia di spezzargli gamba e carriera. Jorge non si sente bene da giorni, ha vomito, febbre e vertigini, quasi non riesce a rimanere in piedi. Si fa portare in ospedale dalla madre, che lo ha accompagnato nella sua avventura a Siviglia, e ascolta la tremenda verità dal medico che lo cura:

“La gamba è completamente infettata. Ha un virus. Se foste arrivati solo qualche giorno più tardi, forse avremmo dovuto amputarla. Avete avuto fortuna”.

“Dopo il recupero mi resi conto di aver perso molto terreno – ha confessato Carrascal al 'Clarin' – L'allenatore aveva già la rosa al completo e io non rientravo nei suoi piani. Così ho chiesto di andar via. Volevo giocare, non importava dove. E ho accettato di andare in Ucraina”.

Al Karpaty Carrascal si comporta bene, si prende una maglia da titolare dopo un inizio non semplice e fa circolare il proprio nome dopo una rete fantascientifica all'Odessa: elastico-tunnel a un avversario sulla linea di fondo e destro vincente da posizione impossibile. Ma nel 2019 il club di Lviv accetta l'offerta del River Plate, che punta sul giovane colombiano. Inizialmente in prestito, poi a titolo definitivo. Scelta ripagata, perché ora la fila per il talento di Cartagena si è fatta piuttosto lunga. E comprende pure nomi illustri del calcio europeo.

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