Kevin Malcuit SPAL Napoli

Goal da bordocampo - Da Milik a Malcuit: 'Mazza-ta' per il Napoli

Prepartita. Bordocampo, il Mazza è proprio bello. È nuovo, ordinato, aperto, rumoroso, profumato, sa di prato tagliato fine.

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Si scalda la SPAL: Petagna entra per ultimo, da vicino è più grosso di un pugile, è quasi un wrestler. Dall'altra parte si scalda il Napoli. Gioca Milik, qui due anni fa, per la seconda volta si è rotto il ginocchio. Passa in quella zolla, dove il crociato ha sbagliato strada, non ha seguito la rotula. Ci passa sopra a quella zolla lì e schiaccia il piede per terra. Schianta i ricordi, poi si gira e c'è Zielinski, è polacco come lui, parlano la stessa lingua, basta un indice, portato alla testa. Riscaldamento-RiscaldaMENTE.

Il Napoli finisce, la SPAL pure, -10' al calcio d'inizio. In campo c'è solo Petagna, che continua a calciare, da fermo ora. Prova le punizioni. Calcia e chiede un pallone, calcia e un altro pallone, calcia ancora e un altro pallone ancora. Entra il team manager della SPAL: "Andrea entra, è tardi". 3' dopo l'inizio ne batte una dalla stessa zona: traversa. Ne avesse provata una in più...

Il Mazza è la casa di una famiglia. Il nucleo familiare tifoso c'è tutto. Nonni in tribuna, papà in campo, bimbi nel tunnel. Prima di iniziare ne vedo uno: indice in bocca, due occhi grandi così, lacrimoni. Voleva entrare in campo con suo papà Sergio, ma non può. Sergio parte dalla panchina. È vestito col completino del Napoli, voleva entrare col papà numero 10, deve entrare con Berisha, che è numero 1 e alla fine anche migliore in campo. Per questa volta, papà Floccari, va bene così.

Dietro Berisha c'è Murgia, che entra con sua figlia per la prima volta e chiude con suo nipote. La SPAL è riuscita a resistere, ha tenuto il punto. La squadra ha ringraziato il Mazza, i giocatori sono tutti dentro, Murgia è ancora in campo: "Lasciami un pallone", lo chiede allo staff. Aspetta suo nipote. A entrare in campo il bimbo, dalla tribuna ci mette 10 secondi, perché al Mazza di barriere non ce ne sono. Murgia in porta, suo nipote calcia. Goal, ovvio. La curva Ovest esulta come a un goal dello zio. Famiglia SPAL.

Fine primo tempo. 1-1. Llorente rientra in campo, va in panchina. Le giovanili della SPAL lo assalgono. Saluti, sei un grande Fernando, mi dai la maglietta? Mi dai la maglietta? Me la dai a me? E a me? Llorente ride, mastica una barretta di cioccolato. Tratta coi ragazzi. Niente maglietta, gli servirà, si chiude a un pezzo di quella barretta al cioccolato.

Ancora 1-1, il Napoli gioca, ma ancora 1-1. Tensione. Ogni allenatore ha il suo antistress. Sarri mastica i filtri delle sigarette, Spalletti ha un anello che si gira tra le dita. Ancelotti ha le chewing gum, le Brooklyn. Capito quali? Quelle lunghe, che il gusto lo tengono poco. Ne scarta una, passano 10', cambio. Ne scarta un'altra, 10', cambio. Avanti così. Nel gioco delle gomme, le sostituzioni non si fermano a tre. Per fortuna.

Kevin Malcuit SPAL Napoli

Ancelotti mastica anche quando Malcuit si fa male. Salta sul ginocchio, cade. Lo shock è un dolore sordo lì per lì, per due-secondi-due Malcuit non reagisce. Si sfrega il ginocchio, come a riscaldarlo, ma alza la mano verso la panchina. Un gesto istintivo, lo fece anche Del Piero a Udine nel 98. Lo alzano, il dolore è un cacciavite che ti entra nel ginocchio e non si ferma. Appoggia il ginocchio e il cacciavite non si ferma, alza il ginocchio e il cacciavite è sempre lì. Prova a rientrare, ma piange, guarda la panchina, ma è già in lacrime. Zoppica per 50 metri, si siede, cambio. Lo portano fuori in due, mi passa accanto, piange. Che botta. Stadio Mazza-ta alle ginocchia del Napoli.

La partita finisce fuori. Uno spritz, una birra, un aperitivo. Becchiamo Felipe. "BELEZA", saluta i tifosi, esce dal bar, non ha giocato, ma la tensione e l'adrenalina aprono stomaci, si sa. Mangia un panino, "ciao"-"ciao". Ci vede, ci riconosce. "Qui è uno spettacolo, io allo stadio ci vengo in bici". È finita e noi torniamo in treno.

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