Gerardo Bedoya GFXGoal

Gerardo Bedoya, il giocatore più 'cattivo' della storia: in Colombia è un idolo

"Mi spiace per quello che ho fatto e la cosa più difficile è stato spiegarlo a mia figlia. Spero di non essere ricordato solo per le mie espulsioni".

Ci sono i giocatori duri, che si esaltano nella battaglia agonistica e provano in tutti i modi a fermare l'avversario. Poi ci sono quelli che vanno oltre, gente che preferiresti non incontrare su un campo di calcio, quelli 'sporchi e cattivi' che usano mezzi che poco hanno a che fare con lo sport. E poi c'è Gerardo Alberto Bedoya Munera, per il quale esiste una categoria a parte.

Parliamo semplicemente del primatista mondiale per numero di espulsioni  da calciatore (45), ma mai come in questo caso il nudo dato numerico non 'rende giustizia' alle sue prestazioni, visto che si spazia dalle gomitate alle testate, dalle ginocchiate sulla nuca ai pugni nello stomaco, dalle entrate assassine fino ai calci rifilati all'avversario già a terra. La galleria dei soprannomi è stata meritata sul campo, in 20 anni di onorata carriera: chi gli vuole bene e soprattutto tifa per la sua squadra, lo chiama 'El Gladiator' oppure 'El General', con riferimento all'omonimo Harold Bedoya Pizarro, comandante dell'esercito nazionale colombiano. Per il resto del mondo invece è la 'Bestia' , o ancora 'Tarjeta roja' o 'Samurai', termine quest'ultimo che unisce in un unico concetto il suo aspetto fiero e le mosse di attacco all'uomo.

Bedoya nasce il 26 settembre 1975 a Ebéjico, in Colombia. Spinto al calcio dal padre, mentre la madre sogna per lui - ottimo studente - un futuro lavorativo diverso, il giovane Gerardo comincia la sua scalata nelle giovanili del Deportivo Pereira, dove la sua grinta, ma anche un buon piede mancino, lo mettono in luce come terzino sinistro o all'occorrenza difensore centrale, aprendogli le porte della prima squadra. A 22 anni viene notato dal Deportivo Calì e si afferma subito ad alto livello, vincendo alla prima stagione il campionato colombiano nel 1998.

Poi nel 2001 si trasferisce in Argentina al Racing Club di Avellaneda, dove diventa immediatamente titolarissimo. Avanzato a centrocampo, nel suo primo campionato mette a segno 3 goal, di cui uno pesantissimo - e tuttora celebrato come uno dei momenti più memorabili del club - nel match contro il River Plate a 3 giornate dalla fine: un missile che pareggia a 4 minuti dal termine il vantaggio iniziale segnato da Cambiasso. Un 1-1 che fa esplodere il Cilindro e che sarà decisivo per la vittoria del Racing di Gustavo Barros Schelotto e Diego Milito nel torneo Apertura, conquistato con un punto di vantaggio proprio sul River. All'epoca uno squadrone con gente come il 'Cuchu' futuro interista, Celso Ayala, Yepes, D'Alessandro e Ortega, una compagine che poi avrebbe vinto a mani basse il Clausura.

Gerardo Bedoya Racing Club 2001Getty Images

Ad Avellaneda non si vinceva un titolo da 35 anni, Bedoya lo fa da protagonista e si impone anche a livello internazionale facendo il suo esordio a 24 anni con la maglia della Colombia e vincendo da titolare - anche qua al primo colpo, una costante della sua carriera - la Copa America 2001, giocata in casa dai Cafeteros. Segna un gran goal da fuori area nella semifinale contro l'Honduras, poi solleva il trofeo nella finale di Bogotà vinta sul Messico.

Gerardo Bedoya ColombiaGetty Images

Nella finale Bedoya incassa un cartellino giallo, ma vabbè, ci può stare in una partita dal peso così grande. Però ormai è abbonato fisso ai cartellini : saltano all'occhio non solo i tanti gialli, ma anche le espulsioni. In due anni al Racing sono 5, addirittura 14 in totale nelle due esperienze al Deportivo Calì, dove torna nel 2002 dopo aver lasciato Avellaneda. Si è già costruito la fama di giocatore spietato sull'avversario, macinando cartellini rossi ovunque vada: Colón (2), Atletico Nacional (2), Millonarios (7), Envigado (2), Independiente Santa Fe (8), Cucuta Deportivo (2). Quest'ultimo sarà il club con cui chiuderà la carriera a 40 anni nel 2015. Aggiungendo le 2 espulsioni di inizio carriera col Deportivo Pereira, quando si faceva le ossa nella lotta per non retrocedere, e la sola incassata con la maglia della Colombia, si arriva alla cifra mostruosa di 45 partite finite in anticipo.

Gerardo Bedoya Independiente Santa FeGetty Images

Ma è la tipologia degli interventi che gli ha fatto guadagnare l'appellativo di giocatore 'più sporco' della storia, stagliandosi come colui che incarna in maniera ideale un certo clima bollente diventato quasi un luogo comune nei racconti del calcio sudamericano. Diavolo che cerca di purificarsi con l'acqua santa, Bedoya non solo assomma un totale di giornate di squalifica che equivalgono a vari ergastoli calcistici (93 partite saltate, equivalenti a due campionati a mezzo di 38 giornate!),  ma ci aggiunge fuori dal campo ore e ore di impegno sociale nelle scuole per insegnare ai bambini che certe cose non vanno fatte e che anzi il calcio può essere un veicolo di riscatto sociale per evitare di prendere strade pericolose, che in Colombia spesso significa unirsi a qualche banda criminale.

Un'anima tormentata, una dicotomia interiore che vede la sua massima esplosione in un match del 2012 a Bogotà tra il Santa Fe - dove è un idolo assoluto - e la sua ex squadra dei Millonarios, in quello che è uno dei derby più caldi del pianeta: il suo 41simo cartellino rosso è il manifesto del Bedoya 'Bestia'. Ha 37 anni e dovrebbe aver ormai imparato a controllare certi istinti selvaggi, invece ad un certo punto gli si chiude la vena e colpisce con una gomitata in faccia Jhonny Ramirez, peraltro suo ex compagno al Boyaca Chico, facendolo stramazzare al suolo. Non contento, gli si avvicina mentre si rotola a terra e gli rifila un calcio sulla fronte. Ovviamente segue la classica rissa a squadre unificate, l'espulsione di Bedoya e la mega squalifica di 15 giornate, poi ridotte a 11 in appello.

Bedoya hard foulYoutube

Pochi giorni dopo l'episodio, Bedoya si presenta in conferenza stampa per chiedere scusa davanti a un plotone di esecuzione mediatico: scuse all'intero Paese, oltre che al club, per l'orrendo spettacolo messo in mostra. Fuori dal campo è un'altra persona, come dimostrano le sue numerose iniziative sociali, e nella circostanza appare davvero pentito e affranto.

"È stato un errore e non ho una giustificazione per quello che ho fatto. L'unica cosa che so è che devo fare tutto il possibile per cercare di correggere questi errori. È qualcosa da sradicare dalla mia vita. Ho parlato con Jhonny, mi sono scusato e abbiamo parlato a lungo per un po'. La colpa è stata mia, Jhonny può provocare e fare quello che vuole, ma il modo di rispondere è quello che devo controllare e io non lo controllo. Nei giorni dopo la partita mi vergognavo di vedere in faccia i miei compagni".

La pubblica richiesta di perdono sconfina nell'amore infinito per la figlia piccola Avril.

"Per cercare di evitarlo, spero di pensare a mia figlia, che è ciò che amo di più al mondo, per controllarmi e ad avere più pazienza in quei momenti. Penso che non l'abbia visto, stiamo cercando di impedirle di vederlo, perché non le servirà a niente. Ho pensato molto a cosa risponderle se dovesse farmi delle domande. La cosa che mi ha ferito di più è sapere che siamo visti come idoli dai bambini. Ora il mio dovere è riconoscere la mia colpa e mandare loro un messaggio che non è giusto quello che ho fatto. Ritirarmi? Ancora non ci penso, il giorno in cui avverrà, lo farò attraverso la porta di casa e guardando tutti in faccia, come ho sempre fatto".

Gerardo Bedoya and his daughter AbrilGetty Images

Bedoya giocherà altri 3 anni e nonostante le promesse incasserà altri 4 rossi. Poi, appena ritiratosi, tornerà all'Independiente Santa Fe cominciando una seconda carriera da assistente allenatore: prima partita in panchina, prima espulsione dopo appena 21 minuti, giusto per non perdere l'abitudine.

"Quando è successo, i giocatori in panchina ridevano, non potevano crederci - ricorda un cronista colombiano - Sapevano che sarebbe successo. Certamente, la sua reputazione non lo ha aiutato".

Seguiranno altre due espulsioni, sempre da vice, e poi ancora un altro paio da primo allenatore. Il conto attuale dice 50 totali e il tassametro corre ancora. Insomma, Bedoya invecchia ma a quasi 45 anni è sempre bello sanguigno, anche se stavolta non può più nuocere fisicamente agli avversari. Al di là della fama da killer con cui resterà suo malgrado nel ricordo, il giocatore colombiano può mostrare con orgoglio una bacheca da vincente, cui nella seconda parte di carriera ha aggiunto altri due titoli col Santa Fe, che non ne vinceva uno da 37 anni. Un lungo digiuno, proprio come lo era per il Racing, e le coincidenze nello sport spesso fanno una prova di valore. Non meno degna di nota la militanza in Nazionale, 8 anni quasi sempre da titolare come terzino sinistro, con un bilancio finale di 48 presenze e 4 reti.

Gerardo Bedoya Santa FeGetty Images

Già, perchè Bedoya non solo segna, una sessantina di goal in carriera, ma lo fa anche in maniera quasi sempre spettacolare, con sassate mancine oppure calci di punizione vellutati. E se un giocatore passato alla storia per la sua furia agonistica è il tiratore designato per le soluzioni da fermo della sua squadra, vuol dire che quel piede è ben educato e oltre i falli e i cartellini c'è di più, molto di più. Eppure Bedoya resterà per tutti il "macellaio di Ebéjico", nonché "el jugador más sucio de la historia del fútbol".

Anzi, lo resterà per quasi tutti. Ex compagno di squadra di Bedoya ai Millonarios, il connazionale Omar Vasquez ha spesso dormito con lui prima delle partite.

"Non è insolito nella nostra società che le persone ricordino solo le cose brutte, ma Bedoya deve essere ricordato come un grande giocatore del nostro Paese - ha detto alla BBC - È stato un vincitore, uno che fatto la storia e che ha vinto titoli con le migliori squadre in Argentina e Colombia. Per me è stato un privilegio condividere lo spogliatoio con lui, con qualcuno che ha ottenuto grandi cose nella sua carriera. Mi sono divertito molto e ho molti bei ricordi. Era un leader e uno che lottava su ogni pallone. Ma anche un ragazzo sensibile sempre pronto ad aiutare gli altri. Una persona con un cuore grande e nobile".

Gerardo Bedoya Colombia 2008Getty Images

Bedoya in Colombia è un simbolo, il suo nome resterà scolpito per sempre nell'undici che ha portato a casa l'unica Copa America della storia dei Cafeteros , questo forse spiega perché gli sono state offerte così tante seconde possibilità nonostante il suo orribile record.

"Non rimpiango nulla, sono orgoglioso della mia carriera. Mi considero una brava persona che ha dato cose positive al calcio e alla vita. Spero di non essere ricordato solo per le mie espulsioni".

Nel nostro piccolo, speriamo di aver contribuito. E se non fosse bastato, godetevi i goal di Gerardo Alberto Bedoya Munera, idolo di Colombia. Assieme al suo lato oscuro: sono e saranno sempre inscindibili.

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