La "Boutique" di Córdoba, nel Barrio Jardín, è il perfetto esempio di "art déco" prestato al calcio: spigolosa, geometricamente precisa, ma raffinata. Soprattutto: elegante. Prima di bussare alla porta della casa del Club Atlético Talleres, ci si imbatte nella figura dominante del giavellottista Capitanelli, adeguatamente scolpita da Ramacciotti: anticamera della storia e allo stesso tempo monito rivolto al futuro. Leggerezza e lungimiranza, con sguardo lontano e consapevole.
È ormai cosa nota, assodata, che da quelle parti, più o meno alla fine degli anni Novanta, nella quasi totalità dei tornei calcistici disputati in campi regolari o anche solamente immaginati (storie di strada, polvere e sudore) si poteva trovare lo stesso ragazzino che votò il proprio nome a una definizione decisamente più simbolica, attribuitagli dalla famiglia: se cresci alto e magro, in Argentina, sei “El Flaco” senza dover passare per forza dall’ufficio anagrafe.
Javier Pastore, in realtà, è stato molto di più. Quando Walter Sabatini riesce ad acquistarlo dall’Huracán sa benissimo di aver fatto un affare. Qualche mese prima, il Manchester United aveva scomodato i propri emissari inviandoli a Buenos Aires per convincere il giocatore e i suoi agenti (per prelevarlo dal Talleres, nel 2008, l’Huracán chiese aiuto a una holding) a trasferirsi in Inghilterra: El Flaco sostenne anche un provino in Spagna, con il Villarreal. “Il vero obiettivo era fare una foto con Riquelme, il mio idolo” , dirà. Cresce un po’ “dieci”, un po’ tanto altro: è pura fantasia, espressione artistica di chi dà del tu al pallone, fermando le lancette.
Prima di assaporare Palermo, nel 2009, passa dall'Austria, tradizionalmente legata ai ritiri precampionato dei rosanero: un altro Walter, Zenga, una volta lasciato Catania aveva promesso alla piazza lo Scudetto. Ambizione massima per chiunque: forse un po’ troppo, per molti. Javier è appena arrivato in Italia, stanco per il viaggio, ma Maurizio Zamparini vuole a tutti i costi presentarlo ai tifosi: entra cinque minuti in amichevole, stop e tunnel d'esterno, con palla profonda. “Mi giro verso Zamparini, che non è una mammoletta, e lo vedo piangere. Dico: 'Presidente, che ha?', e lui mi risponde 'Mi sono commosso'", ha raccontato, nel 2019, Sabatini al Social Football Summit. Avevano entrambi ragione.
Getty ImagesA Palermo Pastore è stata la rottura del sistema, nella terra “più argentina” tra tutte, in Europa, per distacco. In fondo, la distanza che separa Volvera, in provincia di Torino, terra natìa della famiglia Pastore, e Córdoba è solo mera apparenza resa vana dal gemellaggio tra le due città: lungo il percorso, una Sicilia che in quegli anni, calcisticamente, era diventata seconda casa di molti sudamericani alla ricerca dell’affermazione europea.
Riassumere “El Flaco”, comunque, rimane un compito immediato e allo stesso tempo complesso: nel settembre del 2010, seconda stagione di Pastore al Palermo (la migliore, tra l’altro, con 13 reti, miglior marcatore della squadra, in 45 presenze tra Serie A, Coppa Italia ed Europa League), i rosanero battono la Juventus all’Olimpico di Torino per 1-3. Oltre al goal al secondo minuto, destro preciso di controbalzo che dal limite batte Storari, l’argentino si rende autore di un gesto tecnico da palcoscenico: al ventitreesimo raccoglie palla su un lancio, si porta sull’esterno resistendo alla pressante marcatura di Chiellini e senza guardare serve Ilicic, alle spalle di entrambi. Di tacco, con un tunnel all'ormai ex capitano della Nazionale. Imprendibile. Imprevedibile.
Merito del calcio da strada e dei tornei tra i quartieri di Córdoba: ma il meglio doveva ancora venire. Nonostante un anno d’esordio passato ad ambientarsi a Palermo (non molto prolifico, con 3 reti in 37 presenze tra Serie A e Coppa Italia), “El Flaco” pochi mesi dopo il suo arrivo trova la seconda grande svolta della sua carriera. La prima era arrivata nel 2008, quando Ángel Cappa, allenatore dell’Huracán, gli aveva restituito la fiducia quasi perduta tra le promesse d’inizio carriera: bisognerà aspettare l’esonero di Walter Zenga perché qualcosa cambi di nuovo, in meglio. A fine novembre del 2009 in rosanero arriva Delio Rossi: e il mondo inizia a girare a favore del Flaco.
“Mi ha insegnato dei movimenti in un mese che nessuno mi aveva mai detto in tutta la mia carriera. Mi disse “per un po’ non giochi titolare e vai in panchina, quando finisci un mese di tattica con me ti rimetto in campo”. Fu di parola: dopo trenta giorni mi schierò titolare, ero un altro giocatore”, ha raccontato Pastore al sito ufficiale della Roma, nel novembre del 2019.
Getty“Ho avuto delle diversità d’opinioni con Zamparini, perché era innamorato di questo giocatore: Mi sono accorto subito che un talento del genere non poteva rimanere fuori: ho solo aspettato di essere sicuro che una volta messo dentro dal primo non avrei più dovuto toglierlo” - spiega Delio Rossi a Goal - “Non è un regista: è un tuttocampista. Chi ha Javier sa che si trova in squadra un giocatore come Falcao, ovvero un giocatore che deve trovare da solo la posizione. Ed è uno, ed è la sua unicità in un certo senso, che se dopo tre passaggi non tocca la palla va al manicomio": la strada tracciata dall’allenatore rosanero, ben delineata, porta presto i frutti sperati.
Poco meno di un anno dopo l’arrivo di Delio Rossi, il Palermo ospita il Catania al Renzo Barbera nel derby di Sicilia: non certo una sfida qualunque.
“In quella partita, molto importante, dopo quattro, cinque minuti in cui non trovava posizione e non gli davano palla si è fermato a metà campo. È stato fermo per cinque minuti, ma senza dire niente a nessuno. Pensi: “Si è fatto male”. Invece, secondo lui, la squadra avrebbe dovuto passargliela di più. Questo ti fa capire chi era Javier”, racconta Delio Rossi.
Alla mezz’ora il risultato si sblocca. Cross dalla sinistra di Balzaretti, stacco di testa di Pastore: 1-0 e corsa verso la curva. Quindi pari del Catania in apertura di secondo tempo. Trenta secondi più tardi, Miccoli per Pastore che entra in area: 2-1 e corsa verso l’altra curva. Ultimi cinque minuti, lancio lunghissimo per Maccarone che, quasi dal fondo, serve al centro ancora Pastore, infaticabile: 3-1. Tripletta: Pastore Masterclass.
Dietro le apparenze d’eleganza sfrontata, quella calcistica, “El Flaco” nasconde il carattere introverso di chi è consapevole del suo posto nel mondo: “Non è un ragazzo superficiale: anzi, ha una grande umanità”, spiega Delio Rossi. “Vedere che a Roma viene trattato meno di un giocatore qualsiasi mi fa stare male, perché conosco il vero Javier Pastore”. E no, non è quanto credono in tanti: e non basta una parentesi non troppo positiva come quella romana a disinnescare la potenza evocativa del "Flaco".
È di più: è l’art déco sfoggiata dalla “Boutique”, lo stadio del suo Talleres. Il primo tassello di un PSG che nel 2011 ha pensato a lui per inaugurare il nuovo corso di Nasser Al-Khelaïfi, scegliendo l’eleganza e la spigolosità, la decisione dei dribbling e la precisione dei tunnel (elementi che portarono Eric Cantona a dire, nel 2015, che "Pastore è il miglior giocatore del mondo"), come apripista all’arrivo di tante altre stelle. Simbolo e spirito guida del calcio a Palermo: eternamente impresso nella memoria di tutti come “El Flaco”, la certezza che un colpo di tacco ci salverà, tutti, dalla fine del mondo.