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Defendi, il ‘Caniggia di Pognano’: dagli Europei U21 a bandiera di Bari e Ternana

In ambito calcistico spesso si sente parlare di ‘consacrazione’. I giocatori, d’altro canto, fin dal momento stesso in cui capiscono che quello che fino ad un certo punto è stato un semplice gioco può trasformarsi in un lavoro, la inseguono con tutte le loro forze, mettendo in quella lunga rincorsa ciò che hanno in termini di talento e forza di volontà.

La strada che conduce alla consacrazione, ovvero al riconoscimento definitivo delle proprie qualità, può essere ovviamente più o meno breve: il tutto è legato ad un insieme di fattori che poi vanno a tracciare il corso di un’intera carriera.

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A Marino Defendi in molti avevano pronosticato un raggiungimento in tempi rapidissimi della agognata consacrazione, la sua storia calcistica però dice che prima di definirsi realmente come giocatore, ha dovuto fare il giro d’Italia e del campo.

D’Italia perché è partito dalla sua Bergamo, si è poi spostato a Verona, è tornato a Bergamo, è ripartito da Lecce, ha fatto di nuovo un passaggio veloce a Bergamo e poi si è trasferito prima a Grosseto, poi a Bari ed infine a Terni, del campo perché ancora oggi, in un momento nel quale il suo percorso calcistico si è avvicinato alla sua naturale fase finale, è complicato stabilire quale sia il suo vero ruolo.

Ha mosso i suoi primi passi da attaccante, salvo poi diventare un elemento ‘buono’ per tutte le posizioni. O quasi. Dotato di grande velocità e di una tecnica invidiabile, si è guadagnato giovanissimo non solo le attenzioni di Mino Favini, il ‘Mago della Meda’, ovvero uno dei più grandi scopritori di talenti dell’intera storia del calcio italiano, ma anche un soprannome che anni fa ben riassumeva le sue caratteristiche, ma che oggi può sembrare quasi senza senso: il ‘Caniggia di Pognano’.

Proprio come il campione argentino infatti, Defendi era uno di quelli che quando ti puntava non ti lasciava scampo e, ancora come il ‘Figlio del vento’, anche lui ha vestito la maglia dell’Atalanta.

Caniggia ha abbracciato la Dea dopo essere esploso nel River Plate ed aver fatto intravedere parte delle sue qualità con il Verona, per il ‘Caniggia di Pognano’ invece, l’Atalanta è sempre stata ‘casa’. E’ cresciuto nel suo settore giovanile in un momento nel quale anche solo per entrarci dovevi essere dotato di qualità fuori dal comune. E’ entrato infatti a far parte della famiglia nerazzurra quando lo stesso club orobico stava consolidando la sua fama di ‘Barcellona d’Italia’.

Un accostamento, quello con la società catalana, figlio dell’immensa bravura nell’individuare i migliori talenti in circolazione, inserirli nel mondo del calcio nel modo più naturale possibile e poi trasformarli in autentici gioielli da esibire con orgoglio al cospetto delle big del calcio italiano.

Morfeo, Tacchinardi, Bonaventura, Montolivo, Pazzini, Rolando Bianchi, Gabbiadini, i gemelli Zenoni, Dalla Bona e Andrea Lazzari sono solo alcuni dei ragazzi che sono partiti da Zingonia per poi consacrarsi ad alti livelli e con alcuni di essi Defendi ha anche condiviso il campo.

Nel settore giovanile dell’Atalanta ha fatto tutta la trafila e tra l’altro venendo considerato uno degli ‘enfant prodige’. Per molti degli osservatori del tempo, era uno di quei giocatori sui quali scommettere ad occhi chiusi e d’altronde non si rappresenta l’Italia con tutte le sue rappresentative dall’U15 all’U21 e non si esordisce in Serie A a diciannove anni se non si ha un qualcosa di speciale.

La strada che ha portato Defendi al calcio che conta è stato breve: ovvero quello che porta dalla Curva dello stadio allora denominato Atleti Azzurri d'Italia, al terreno di gioco, tuttavia sarà solo lontano dai palcoscenici del massimo campionato italiano che riuscirà a trovare la sua dimensione.

Questo perché si è trovato a fare i conti con grandi attese, qualche problema fisico arrivato nel momento meno opportuno, ma anche con una lacuna non da poco per un giocatore offensivo: la scarsa confidenza con il goal.

Ne ha sempre fatti pochi e se sei una seconda punta o un attaccante esterno, si tratta di un difetto non da poco. Di fatto, la carriera ad alti livelli di Defendi può riassumersi in 43 partite di Serie A in tutto (condite da una sola rete), eppure il gusto del grande calcio l’ha assaporato davvero.

Marino Defendi AtalantaGetty

E’ il 2006 ed ha appena contribuito in maniera fondamentale alla promozione dell’Atalanta in Serie A, quando Claudio Gentile inserisce anche il suo nome nella lista dei ventidue convocati per i Campionati Europei U21 che si terranno in Portogallo.

Ha già alle spalle un altro grande torneo, ovvero i Mondiali U20 del 2005 (quelli vinti dall’Argentina trascinata da un giovanissimo Lionel Messi), e già da qualche mese è entrato a far parte di un gruppo che, tra gli altri, comprende Chiellini, Pepe, Palladino, Rosina, Foggia, Montolivo, Pazzini e Rolando Bianchi. Nemmeno a dirlo diversi tra quegli Azzurrini provengono dal settore giovanile dell’Atalanta.

L’Italia si presenta ai nastri di partenza di quel torneo come una delle favorite d’obbligo e non potrebbe essere altrimenti. E’ quello infatti il periodo d’oro della nostra Under 21, quello nel quale il nostro calcio produceva talenti in quantità industriale. Dopo i trionfi agli Europei del 1992, 1994 e 1996, erano arrivati anche quelli del 2000 e del 2004.

L’Italia sbarca dunque in Portogallo da campione in carica e squadra da battere e, nei pensieri di Claudio Gentile (che da commissario tecnico aveva vinto proprio gli Europei di categoria nel 2004) Defendi è l’attaccante esterno capace di scombinare le carte in tavola anche a partita in corso. Lo schiera titolare nel 3-3 contro la Danimarca, mentre nell’1-0 (a decidere sarà un goal di Chiellini) all’Ucraina lo getta nella mischia al 70’ in sostituzione di Pasquale Foggia. Lo porta con sé in panchina anche nella sfida decisiva per l’approdo alle semifinali, quella con l’Olanda, e questa volta gli concede l’ultima mezz’ora in sostituzione di Rosina.

Il goal siglato al 74’ da de Ridder vorrà dire eliminazione già alla fase a gironi e soprattutto la fine di un’era. Di lì a qualche mese Gentile verrà sostituito in panchina da Pierluigi Casiraghi, che a Defendi concederà l’ultima delle sue dieci presenze con l’U21, ma soprattutto l’Italia smetterà di sfornare talenti a profusione e a risentirne saranno i risultati di una rappresentativa che era diventata il fiore all’occhiello di un intero movimento.

Per il ‘Caniggia di Pognano’ però ormai le porte del grande calcio si sono dischiuse ma, quando non resta da compiere che l’ultimo passo, qualcosa si inceppa. Colantuono non riesce a garantirgli il giusto spazio e lo stesso, complice anche una fastidiosa pubalgia, non riesce a fare nemmeno Delneri, che intanto gli ha cambiato ruolo ed orizzonti: da attaccante esterno lo arretra a centrocampista di fascia.

Defendi, nel gennaio del 2008 decide di ripartire dalla Serie B e dal Chievo, ma l’annata è di quelle storte e l’esperienza in gialloblù non va come dovrebbe. Rientra quindi all’Atalanta, dove non riesce nuovamente ad imporsi e nel 2009 scende ancora in B accasandosi al Lecce.

Per lui deve essere una semplice annata di transizione, di quelle che precedono un pronto ritorno in Serie A, e le aspettative sono molto alte.

“Defendi ha giocato con la Nazionale U21 e noi proveremo a mandarlo in Nazionale maggiore - dirà l’allora presidente del Lecce, Giovanni Semeraro, nel giorno della sua presentazione - Crediamo in lui e gli affideremo la nostra fascia destra. Noi vogliamo rilanciarci attraverso i giovani e Defendi rappresenta il giusto tassello per il nostro progetto”.

Ripartire da Lecce per trovare, a ventiquattro anni, la giusta dimensione. Quello che Defendi non può immaginare è che non calcherà mai più un campo di Serie A.

Al termine della stagione infatti, il club salentino decide di non riscattarlo e, una volta tornato all’Atalanta e preso atto che non rientra nei piani di Colantuono, accetterà di tornare in B per accasarsi in prestito al Grosseto.

Nel 2011 l’Atalanta lo cederà poi a titolo definitivo al Bari nell’ambito dell’operazione che porterà Andrea Masiello a Bergamo e sarà proprio in biancorosso che troverà la sua naturale collocazione nel mondo del calcio.

Marino Defendi BariGetty

Vivrà con i Galletti cinque stagioni da grande protagonista in Serie B, diventando prima uno dei leader tecnici della squadra e poi capitano. Raggiungerà la definitiva consacrazione lontano da dove aveva immaginato di raggiungerla, ma l’esperienza in Puglia gli lascerà in dote un qualcosa di impagabile.

Centocinquantanove battaglie scandite da tre goal faranno di lui un ‘barese d’adozione’ e quando nel 2016 lascerà a malincuore il club, lo farà con il rimpianto di aver solo sfiorato la promozione in A, ma anche con la consapevolezza di essere diventato un idolo.

“Cinque anni si fanno fatica a dimenticare - si leggerà nella sua lettera di addio diffusa dal Bari sul proprio sito ufficiale - soprattutto in questa città dove ho conosciuto persone, in campo e fuori, che resteranno per sempre nel mio cuore, che con la loro disponibilità e il loro affetto hanno fatto sentire me, mia moglie, i miei figli come persone di famiglia. Non potrò dimenticare i compagni di squadra con cui ho vissuto momenti ed emozioni incredibili ed indimenticabili, lacrime di tristezza ma soprattutto lacrime di gioia, calpestando l’erba del San Nicola”.

Bari non l’avrebbe mai voluta lasciare ma, superata la soglia dei trent’anni, Defendi riscopre nella Ternana un’altra realtà capace di offrirgli sensazioni forti. Si mette a totale disposizione della squadra, ne diventa guida dentro il campo e non solo, porta sul rettangolo verde tutta la qualità e l’esperienza che ha e si reinventa come calciatore.

DefendiGetty

Gli anni delle giocate da funambolo a Zingonia sono lontani, ma si regala una seconda giovinezza badando più al sodo. Mediano, mezzala, esterno di centrocampo o di attacco, ma anche terzino destro (ruolo nel quale Cristiano Lucarelli lo schiererà con continuità), Defendi vedrà migliorare il suo rendimento anno dopo anno grazie anche ad una inaspettata duttilità.

A Terni ha vissuto ogni tipo di emozione: dalle salvezze, anche insperate, alla retrocessione in Serie C, fino al ritorno in Serie B grazie ad un’annata da record, quella 2020-2021, che ha parlato di ventotto vittorie, sei pareggi e due sole sconfitte in trentasei partite.

“Finalmente la promozione è arrivata - racconterà al ‘Corriere dell’Umbria’ - ha un significato di liberazione unica e coronamento del grande e continuo lavoro svolto in questi anni. Porterò sempre con me la soddisfazione e la gioia di aver alzato un trofeo al Liberati. Ho sempre creduto nel progetto della società e sono legato a doppio filo con la tifoseria e la città. Sono rimasto perché non mi piace mai lasciare le cose a metà. Non volevo andare via lasciando qualcosa di incompiuto”.

A trentasette anni Defendi è oggi una bandiera della Ternana e pazienza se di Caniggia è rimasto poco. Non importa in quale ruolo lo si schieri, che sia difesa, centrocampo o attacco, l’impegno è sempre garantito. E’ anche così che si raggiunge la definitiva consacrazione.

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