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Dallo Scudetto alla tragedia: l'assurda morte di Luciano Re Cecconi, 'L'angelo biondo' della Lazio

E'  la sera di martedì 18 gennaio 1977. Mancano pochi minuti alle 19.30, e due giocatori della Lazio, il difensore Pietro Ghedin e il centrocampista Luciano Re Cecconi, assieme a un amico comune, il profumiere Giorgio Fraticcioli, entrano nella gioielleria di Bruno Tabocchini, in Via Nitti, nel quartiere Flaminio, a Roma.

Fraticcioli deve consegnare alcuni prodotti. 'L'Angelo biondo' ha il bavero del cappotto alzato e le mani in tasca. Ama gli scherzi, e non può certo immaginare che di lì a poco una delle sue trovate, secondo quella che è la ricostruzione ufficiale dei fatti, gli costerà la vita. Così intima ad alta voce al gioielliere: "Fermi tutti, questa è una rapina!". 

Erano quelli gli Anni di piombo, e Tabocchini l'8 febbraio 1976 aveva subito un'autentica rapina durante la quale aveva ferito e consentito l'arresto di un rapinatore. Sentendosi nuovamente in pericolo, il gioielliere non ci pensa neanche, e in un istante, estrae un revolver calibro 7,65, puntandolo contro Ghedin. Se il difensore della Lazio d'istinto estrae le mani dalle tasche, quando l'arma gli viene puntata contro, Re Cecconi non è altrettanto svelto.

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Parte uno sparo, e Luciano è colpito in pieno petto. L'angelo biondo emette un gemito e si accascia a terra. "Era uno scherzo, era solo uno scherzo", fa in tempo a mormorare. Ghedin si volta e dice al compagno di rialzarsi, che lo scherzo è terminato. Ma si accorge del sangue che scorre dal torace di Re Cecconi: la tragedia è compiuta.

Qualcuno ferma una pattuglia della polizia, che, a sirene spiegate, lo porta all'Ospedale San Giacomo. Ma al nosocomio romano, Luciano, immediatamente portato in camera operatoria, viene dichiarato morto alle 20.04. Lui, che per un amaro scherzo del destino, è uno dei pochi della Lazio di quegli anni a non avere il porto d'armi, e che i compagni chiamavano 'il saggio'. In pochi minuti la notizia della sua morte si diffonde per tutta Roma.

Fra i primi ad accorrere i compagni di squadra e il presidente Umberto Lenzini, letteralmente pietrificati dal dolore. Il portiere Felice Pulici è l'unico a vederlo all'obitorio, gli altri invece non ce la fanno. Ghedin è in preda alle convulsioni in stato di shock. Solo dopo ore riuscirà a fare una deposizione alle autorità giudiziarie raccontando la sua versione dei fatti. Il gioielliere Tabocchini è invece arrestato con l'accusa di 'eccesso colposo di legittima difesa'. Processato per direttissima 18 giorni dopo, è assolto 'per aver sparato per legittima difesa putativa'.

I funerali di Re Cecconi si svolgono presso la Chiesa di San Pietro e Paolo all'Eur, e vi partecipa una gran folla di persone. Il suo corpo è poi tumulato nel cimitero di Nerviano in provincia di Milano. Luciano ha appena 28 anni, e lascia sua moglie Cesarina e suo figlio Stefano di 2 anni, mentre pochi mesi dopo nascerà sua figlia Francesca.

Nato a Nerviano il 18 gennaio 1977, Re Cecconi da giovane giocava a calcio come hobby, mentre lavorava come carrozziere. Dopo i primi calci nell'oratorio di Sant'Ilario Milanese, la sua carriera agonistica parte con l'Aurora Cantalupo, mentre la prima maglia da professionista che indossa è quella della Pro Patria, con la quale, il 14 aprile del 1968 fa il suo debutto in Serie C. 

La folta chioma bionda e il modo in cui sa imporsi a centrocampo gli valgono il soprannome di 'CeccoNetzer', con chiaro accostamento con il tedesco Guntar Netzer, stella del Borussia Monchengladbach e della Germania. La brillante stagione con la Pro gli vale la chiamata del Foggia in Serie B. Re Cecconi è richiesto espressamente dall'allenatore rossonero Tommaso Maestrelli, che lo fa esordire all'11ª giornata del campionato 1969-70.

La stagione di Re Cecconi è ancora una volta brillante, e il centrocampista dà un apporto importante alla promozione dei pugliesi in Serie A. L'anno dopo arriva l'esordio nella massima serie contro il Milan. Maestrelli lo fa crescere con pazienza, e lui apprende e migliora, dimostrandosi umile, calmo e predisposto al sacrificio per i compagni. A fine stagione la retrocessione in B dei Diavoletti suona come una beffa: a decidere è infatti la differenza reti.

Luciano non si scompone e commenta: "Ci rifaremo, non può finire qui...". Tornato in B, viene utilizzato da Puricelli, nuovo allenatore del Foggia, come regista di centrocampo. Il suo maestro Maestrelli intanto è passato alla Lazio, e con il ritorno in Serie A dell'Aquila lo vuole con sé a Roma. 

Nella capitale Re Cecconi diventa per tutti 'L'angelo biondo', e nel 1973-74 è uno dei pilastri della squadra che conquista il primo storico Scudetto biancoceleste, al termine di un'avvincente duello con la Juventus. In difesa, davanti all'estroso portiere Felice Pulici, Petrelli e Martini sono i due terzini di spinta, Oddi lo stopper e Wilson il libero e capitano.

A centrocampo Nanni e Re Cecconi agiscono ai lati del regista Frustalupi, con il giovane Vincenzo D'Amico libero di inventare sulla trequarti per il 'panzer' Chinaglia e il guizzante Garlaschelli. Con un gioco totale che ricorda quello delle squadre olandesi, l'Aquila riesce ad aggiudicarsi il tricolore con una giornata d'anticipo il 12 maggio 1974, grazie a una vittoria di misura proprio sull'ex squadra di Luciano, il Foggia. E l'anno seguente l'avventura, seppur breve, in Coppa dei Campioni.

Fuori dal campo quella squadra sarà ricordata per i 'clan' e le risse da far west, ma non Re Cecconi, detto 'Il saggio' proprio per la calma che lo contraddistingueva. Amava semmai gli scherzi, Cecco, e alcuni sono rimasti memorabili. Come quando, mentre sta per buttarsi con il paracadute da 600 metri di altezza con il suo amico e compagno di squadra Martini gli fa: "E se adesso non si apre il paracadute?". Il terzino sbianca in volto e gli risponde: "Cecco, ma ci pensi adesso?".

Luciano viene convocato da Valcareggi anche nella Nazionale maggiore, ma in maglia azzurra, pur partecipando ai Mondiali del 1974, non riesce a ritagliarsi molto spazio. Le stagioni seguenti con la Lazio lo consacrano centrocampista di livello assoluto, ma la squadra non è più quella dello Scudetto. Nel 1976 Re Cecconi, al suo quinto anno nella capitale, si infortuna al ginocchio contro il Bologna e deve star fermo per un po' di mesi.

Forse un sinistro presagio, come quello della morte del caro Maestrelli il 2 dicembre 1976, una sorta di secondo padre per lui. Ma martedì 18 gennaio 1977 Re Cecconi gioca finalmente per intero la partitella d'allenamento con il resto della squadra. È felice, corre verso il dottor Ziaco e gli confida: "Va meglio Dottore, mi sento pronto. Domenica a Cesena sono convinto che giocherò, facendo rimanere tutti a bocca aperta". 

Soltanto poche ore dopo, in via Nitti, si sarebbe consumata l'assurda tragedia. Sulla quale, negli ultimi anni, sta emergendo una verità diversa da quella 'ufficiale' sancita dal processo a Tabocchini. A ribaltare la tesi è stato il giornalista Maurizio Martucci con il suo libro-inchiesta 'Non scherzo. Re Cecconi 1977, la verità calpestata', pubblicato nel 2012.

Il giornalista romano cerca di dimostrare che 'Cecco' rimase vittima di una tragica circostanza, ma non avrebbe mai pronunciato le parole "Fermi tutti, questa è una rapina", che innescarono nel gioielliere la reazione armata, e che quest'ultima sarebbe stata scatenata da una sorta di fobia di cui avrebbe sofferto Tabocchini dopo la prima tentata rapina subita. Una nuova versione dei fatti che trova peraltro concorde la famiglia del giocatore. 

E' stato uno scherzo finito male, quindi, o semplicemente, una tragica fatalità? Il mistero sulla morte di Re Cecconi rimane, anche perché Ghedin, attuale Ct di Malta, finora si è sempre rifiutato di testimoniare come andarrono realmente i fatti dopo la prima deposizione alla polizia. Ma il ricordo de 'L'angelo biondo', 38 anni dopo quell'assurda e prematura morte, resta sempre vivo nel cuore di tutti i tifosi della Lazio. 

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