Gianluca Petrachi Nottingham ForestGetty

Conte, lo scambio con Vieri, il Forest: la carriera del Petrachi calciatore

Archivio StorieGOAL

Il grande pubblico lo conosce come l'uomo che per un periodo ha negato Dzeko all'Inter. Come il dirigente di cui la Roma si era talmente invaghita da disfarsi di un paio di giovani pur di averlo. Come il personaggio che nella Capitale ha ballato meno di 12 mesi, tra acquisti, cessioni, tensioni, litigi veri e presunti. Fino alla traumatica separazione di giugno 2020. La seconda vita di Gianluca Petrachi, senza squadra in attesa della chiamata giusta, è questa. Ma ne esiste anche un'altra, perché non si arriva a 54 anni senza un passato. E il passato (calcistico) dell'ex ds giallorosso ha parecchio da raccontare.

Dicono che dietro un grande uomo ci sia sempre una grande donna, ma non sempre dietro un grande direttore sportivo c'è un grande calciatore. Discreto, magari. Onesto. Non eccelso, ecco. Tanta gavetta, parecchia Serie B, sprazzi di Serie A, un pizzico di Intertoto per assaporare il profumo d'Europa. Esterno destro come non ne fanno più, tutto guizzi e scatti verso il fondo. “Il migliore della B”, come si è autodefinito qualche tempo fa. Ma ha giocato pure da seconda punta. È stato un girovago del pallone: non ha quasi mai indossato la stessa maglia per due stagioni di fila.

L'articolo prosegue qui sotto

Tutto parte da Antonio Conte. L'allenatore, quello che Petrachi avrebbe tanto voluto portare con sé alla Roma e al quale, come accaduto nelle convulse settimane del caso Dzeko di qualche anno fa, può permettersi di dire “non rompere i cogl****. Ma soprattutto il giocatore. Si conoscono da una quarantina d'anni, i due. “Ci lega una profonda amicizia”, ha ricordato Gianluca. Del resto hanno iniziato insieme nelle giovanili del Lecce, quando ogni speranza sembrava essere possibile e allo stesso tempo lontanissima. Con loro Checco Moriero, poi protagonista nell'Inter di Ronaldo, e tanti altri.

Se Conte corona ben presto il sogno di esordire in Serie A, il percorso di Petrachi è più accidentato. Gianluca è figlio del cantante folk Bruno, una specie di leggenda in Salento, autore di alcuni inni dedicati al Lecce. Il fratello è Enzo, che del padre ha seguito le orme. Ma serve a poco. Carletto Mazzone gli regala l'esordio in B a 18 anni nell'ottobre del 1987 e altre tre presenze da titolare. E i giallorossi chiudono secondi e tornano in A dopo un paio di stagioni di purgatorio. Ma poi, mentre l'amico Antonio si sta preparando per la Juventus e la gloria, le strade tra Petrachi e il Lecce si separano. Per sempre.

Antonio Conte Gianluca PetrachiGetty Images

Niente esordio nella massima serie. Anzi: triplo salto indietro. Addirittura in C2, a Nola, in Campania. Giusto per farsi le ossa nei celeberrimi campi polverosi della terza e quarta serie. L'anno dopo Petrachi sale di categoria e va a Taranto, che è appena retrocesso dalla B e vi fa rapidamente ritorno al termine di un campionato trionfale. Ma senza l'ex leccese, che riempie di nuovo le valigie e approda ad Arezzo. Quindi il ritorno a casa, in Puglia. Non a Lecce: ad Andria, che a quei tempi fa ancora parte della provincia di Bari.

17 maggio 1992, la prima svolta. La piccola Fidelis batte per 2-0 il Perugia e vola in Serie B per la prima volta nella propria storia. Diventerà, anche se nessuno può ancora saperlo, un simbolo della cadetteria anni novanta. Ma stavolta in Serie B vola anche Petrachi, che con 32 presenze e 5 reti convince la dirigenza a tenerlo. L'anno dopo va altrettanto bene: i pugliesi si salvano e Gianluca si toglie persino lo sfizio di decidere, da ex, un derby contro il Lecce al Via del Mare. Azione personale partendo dal centro-sinistra, ingresso in area saltando un paio di avversari, destro vincente alle spalle del portiere Gatta. 1-0 Fidelis Andria. Un successo che, conti alla mano, si rivelerà fondamentale per la formazione di Giorgio Rumignani.

“Queste sono le rivincite più belle che un giocatore si possa prendere, e io me la sono presa – dice al termine della partita Petrachi, che peraltro un gol da ex in quel campionato lo realizza anche al Taranto – Dire che sono contento è poco: sono contentissimo”.

Estate 1993, la seconda svolta. Petrachi incontra Gian Piero Ventura. A Venezia, la piazza scelta dal futuro commissario tecnico della Nazionale italiana per dare il via alla propria carriera. Ufficialmente è il vice di Pietro Maroso, in assenza del patentino, ma nella realtà l'allenatore di quella squadra è lui. I lagunari chiudono sesti in B, mancando la promozione. Ma in Coppa Italia si tolgono la soddisfazione di eliminare la Juventus di Roby Baggio e Trapattoni con un 4-3 rimasto nella storia del club. C'è anche lo zampino di Petrachi, che si guadagna il rigore del momentaneo 3-2, poi trasformato da Sasà Campilongo.

Ventura e Petrachi, Petrachi e Ventura. Insieme a Venezia e poi, con ruoli diversi, nel Pisa dei miracoli e nel Torino. Un rapporto ventennale, apparentemente a prova di bomba. “Se Gianluca va alla Roma sono contento – diceva il tecnico nel 2019 – Gli faccio un grande in bocca al lupo. Resta un amico, un mio ex calciatore ed ex direttore sportivo”. Eppure, come confessato qualche anno fa dallo stesso Petrachi a 'Radio Sportiva', in quel lontano 1993 i due non partono esattamente con il piede giusto.

“Non sono state tutte rose e fiori. All'inizio non eravamo molto amici, ognuno aveva il proprio carattere. A Pisa ci siamo incontrati, abbiamo rischiato e da lì è ripartito il nostro rapporto e siamo diventati amici. Prima non lo eravamo”.

La conoscenza tra Petrachi e Ventura, che si ritroveranno in Toscana una quindicina d'anni più tardi, dura solo 12 mesi. Perché nel 1994 l'esterno leccese riceve la grande chiamata: quella del Torino. La Serie A, finalmente. A 25 anni compiuti. Il Toro lo scambia con tale Christian Vieri, che non è ancora il Bobone nazionale ma un centravantone grande, grosso e grezzo reduce da un prestito a Ravenna. 600 milioni più la metà di Petrachi e l'operazione è conclusa: Vieri si trasferisce in Veneto a titolo definitivo. Da non crederci, ripensandoci a distanza di quasi tre decenni, ma va così.

“Petrachi era forte, molto molto forte – ha ricordato Pasquale Luiso, il futuro “Toro di Sora”, all'epoca giovanissimo centravanti in cerca di spazio nella rosa granata – Gianluca era bravissimo nell'uno contro uno. Un esterno d’attacco che ti puntava e ti metteva in difficoltà. Aveva tecnica e forza fisica. Abbiamo tutt'ora un buon rapporto di amicizia, a volte ci scambiamo messaggi. E lui è sempre molto disponibile nei miei confronti”.

Tutto bello. Il problema è che il sospirato approdo in Serie A di Petrachi si trasforma in un incubo. Prima giornata, Torino-Inter. I nerazzurri passano per 2-0 grazie a Ruben Sosa e a Dennis Bergkamp, Gianluca gioca i 25 minuti finali senza lasciar traccia e l'allenatore Rosario Rampanti viene esonerato per far spazio a Lido Vieri. Nel caos generale, a pagare è proprio Petrachi. “Il miglior esterno della B”, suo malgrado, la B la ritrova praticamente subito. Dopo quell'unica presenza, durante il mercato autunnale del '94 emigra a Palermo.

“Il modulo del Torino non era il massimo per le mie caratteristiche – si è giustificato qualche anno fa – Io ero un giocatore da 4-4-2, ma il Toro giocava con un 3-5-2. Aveva poco senso. Ho esordito contro l'Inter da seconda punta, ma non era il mio ruolo. Avendo un carattere impulsivo, ho deciso di tornare in B per giocare col Palermo. Mi dispiace che i tifosi del Torino non mi abbiano visto giocare ad alti livelli”.

A Palermo fa in tempo a realizzare un'altra rete da ex al Lecce, che nella metà degli anni novanta sta vivendo un continuo e allucinante saliscendi tra A, B e C. A ottobre i rosanero espugnano il Via del Mare con un 7-1 rimasto nella storia, peggior sconfitta di sempre del club giallorosso. Il momentaneo 5-1 è proprio di Petrachi: altra azione personale, altro pallone insaccato nella porta leccese, altra esultanza. Tra gli applausi del pubblico di casa.

Altro giro, altra corsa. Lo recluta la Cremonese di Gigi Simoni, che gli offre la possibilità di giocare la sua prima vera stagione in A, ma finisce male: penultimo posto e inevitabile retrocessione in B. Dove Petrachi rimane per due anni sfortunatissimi: il primo ancora a Cremona, il secondo all'Ancona. Due retrocessioni su due, in totale tre di fila. Ed è lì, quando appare destinata all'anonimato, che la sua carriera ha un guizzo inaspettato: gli arriva un'offerta del Perugia, ancora in A, e Gianluca dice sì. È la squadra di Hide Nakata, il primo giapponese del calcio italiano, ma anche di Milan Rapaic e Christian Bucchi. In panchina Ilario Castagner. E nel febbraio del 2000 è proprio Petrachi, in maniera del tutto indiretta, a segnare il destino del tecnico veneto da parte del presidente Gaucci.

“La nostra rottura nasce nell'intervallo di una partita con la Lazio, perdevamo 2-0 e lui manda un dirigente a dirmi che dovevo sostituire Rapaic e Petrachi. Io dico di no e motivo la mia scelta, erano i giocatori con maggiore classe che potevano permetterci di rientrare in partita. Il dirigente insiste e così io mi dimetto”.

Senza Castagner e con Vujadin Boskov, l'ex grigiorosso colleziona 28 presenze e segna 5 volte un un paio di mesi tra marzo e maggio '99, tra cui una rete di testa alla Roma e una doppietta decisiva sul campo dell'Udinese. Alla fine è salvezza, anche se col brivido. E con lo storico e burrascoso addio del tecnico serbo, che molla tutto appena dopo la fine dell'ultima partita, persa contro il Milan nel giorno dello Scudetto zaccheroniano.

Molla tutto anche Petrachi, ma non subito. Prima gioca un paio di turni di Intertoto col Perugia, punendo il Trabzonspor in una gara poi persa a tavolino a causa delle intemperanze del pubblico umbro. E poi, in quella stessa estate del 2000, ecco la chiamata che non ti aspetti: Nottingham Forest, Inghilterra. Gianluca accetta e decide di mollare tutto per andarsene in Premier League. Diventa il secondo dei cinque italiani della storia del Forest dopo Andrea Silenzi. Un anno dopo ne seguirà le orme Salvatore Matrecano, quindi Federico Macheda e Nicolao Dumitru.

Il problema è sostanzialmente uno: a Nottingham, Petrachi si sente tremendamente fuori posto. Non è più il Forest di Brian Clough&Peter Taylor, quello che dalla seconda serie inglese arrivava a dominare l'Europa e il Mondo. È una squadra mediocre, che non a caso chiude ultima. E a complicare ulteriormente una situazione ci si mette un'ernia inguinale mal curata che, di fatto, a soli 30 anni avvia il declino della carriera di Petrachi. E che lo piazza dritto nel mirino dell'ambiente.

“Mi ero infortunato e pensavano stessi bluffando – ha raccontato poco tempo fa al 'Corriere dello Sport' – Mi chiamavano 'italiano mafioso'. C'era razzismo. Parlare italiano era un fatto d’orgoglio per me”.

Abbandonato anche il Forest, i guai fisici non lasciano più scampo a Petrachi. Che inizia a sentirsi sempre meno calciatore e sempre più dirigente. Rientra al Perugia, ma con Serse Cosmi e la sua banda di semisconosciuti - Vryzas, Liverani eccetera - gioca pochino. E così torna a casa: al Taranto, reduce dalla finale playoff di C persa contro il Catania, dove nel 2003 decide di chiudere con il calcio giocato. Di lì a poco inizierà il suo secondo percorso professionale: da Team Manager all'Ancona dei 46 giocatori alle esperienze da direttore sportivo al Pisa, al Torino e alla Roma. Ma questa è un'altra storia.

Pubblicità