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Jorge Bolano ParmaGetty

Capelli e sfortuna: Jorge Bolaño, il guerriero del Parma dei campioni

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A quei capelli così particolari, a volte raccolti in un codino, roba da guerrigliero in un action di dubbio gusto, aveva dato da tempo una sfoltita. La battaglia è conclusa, anche se un tempo, in campo, Jorge Bolaño (scomparso all'età di 47 anni) di battaglia era solito darne parecchia. Perché lui era fatto così, era un generoso, uno che non concepiva l'idea di arrendersi prima del tempo. In patria è diventato leggenda (sì, leggenda), in Italia no. Ma a Parma, ripensando agli anni dei campioni e delle coppe e dei sogni Scudetto, un posticino nel cassetto dei ricordi è riservato anche a lui.

Eppure Bolaño non è mai stato un campione. Non ha mai fatto sognare nessuno che si sia seduto sulle tribune di uno stadio per osservare lui e la sua squadra. In Italia, almeno. E non si è contraddistinto nemmeno per qualche pazzia extracampo, come scappare sui tetti di Cali inseguito dai dirigenti del Parma e da un tizio con una pistola. Lo ha fatto un altro al posto suo, come no. Perché Jorge e Johnnier Montaño – colui che davvero scappò sui tetti colombiani, una scena a metà tra un thriller adrenalinico e una commedia – erano come il giorno e la notte, come la luce e il buio, come un angioletto e un diavoletto.

Fanno pure rima, Bolaño e Montaño. Hanno la stessa nazionalità, non la stessa provenienza: se Johnnier ha cominciato nell'América di Cali, Jorge si è fatto un nome nello Junior di Barranquilla. Arrivano in Emilia assieme, nell'estate del 1999 post sbornia da Coppa UEFA moscovita (l'ultima di un'italiana, anche se ricordarlo ogni santa volta potrebbe suonare un pochino ripetitivo e stucchevole). Ma uno ha 16 anni e una testa che se ne va un po' per conto suo. L'altro ne ha 22, è un centrocampista di sostanza e grinta, bassino (non arriva al metro e 70) e ringhiante. Come Edgar Davids, il suo modello. Anche se fuori dal campo rappresenta l'opposto di ogni stereotipo: “Mi piace dormire e... dormire, riposare sempre”, come dirà a 'Repubblica' nel 2003.

Bolaño è da tempo nel giro della Colombia. Dopo la prima convocazione, arrivata all'una di notte, “non sono riuscito a prendere sonno per l'emozione”. Nel corso degli anni non è mai diventato un titolare indiscutibile, però ha già partecipato a un Mondiale e a una Copa América. Nel 1999, in Paraguay, ha pure segnato una volta. Un anno prima aveva fatto parte della spedizione francese assieme al capellone Valderrama, al compianto Freddy Rincón e a Faustino Asprilla. Ecco, Asprilla. Jorge ha rivelato di aver scelto il Parma anche perché c'era lui in rosa. Anche se sul finire del millennio non era già più il Tino devastante di qualche anno prima, quella gazzella che quando partiva in velocità non la fermavi nemmeno liberando un leone dalla gabbia.

“Ho incontrato grandi compagni di squadra – ha raccontato in un'intervista a 'Il Posticipo' – che a livello mondiale erano già conosciuti: Buffon stava crescendo ma tutti già lo conoscevano. C'erano Thuram, Fabio Cannavaro, Crespo, Dino Baggio e Sensini. Quando sono arrivato in quello spogliatoio ero fiero di me. Sono stati tutti carini nei miei confronti, mi hanno aiutato molto. Non ho mai dimenticato quel momento. Ci sono stati momenti belli e momenti brutti nei miei anni in Italia, il giorno più è stato quello del mio arrivo a Parma: il più bello della mia vita”.

Forse non sanno, i campionissimi di quel Parma, che anche Bolaño si è già costruito una reputazione niente male. Non solo in Nazionale. Allo Junior è ricordato ancor oggi come uno dei giocatori più importanti della storia del club. Lo era stato anche papà Oscar, ex difensore, morto nel 2017. A Barranquilla Jorge ha vinto due campionati, ha giocato assieme a Valderrama. Ha raccontato che “la rete più importante della mia carriera l'ho segnata lì: era la prima”. Dello Junior è ancor oggi tifosissimo, tanto da difenderlo a suon di polemiche da qualche critica dei giornalisti colombiani.

Però, volente o nolente, Bolaño la reputazione se la costruisce in Italia. Non a Perugia, dove viene prestato un paio di mesi senza lasciar traccia, ma in quel Parma stellare che, via via, perderà tutti i propri pezzi da novanta. Gigi Buffon andrà alla Juventus, Lilian Thuram idem. E poi Fabio Cannavaro all'Inter. E poi tutto il resto. Jorge no, lui resta e, tutto sommato, si fa apprezzare per quello stile combattivo che lo caratterizza. Anche se gioca pochino, anche se un posto fisso tra i titolari non se lo prende praticamente mai, anche se le stelle, prima e dopo la diaspora del 2001 e 2002, sono sempre altre.

“Jorge era un giocatore molto intelligente e molto tecnico – ha detto qualche anno fa Roberto Sensini a 'El Heraldo' – Era un buon giocatore. All'inizio ha faticato a trovare posto in squadra, però in seguito si è guadagnato il proprio spazio. Sapeva correre bene in campo. Io l'ho aiutato, ma lui era un gran professionista”.

Certo, il rapporto con la porta avversaria non è particolarmente florido. Quella rete messa a segno con lo Junior a metà anni novanta non trova eredi. Dal 1999, anno del suo arrivo in Italia, al 2007, Bolaño non segna mai. Neppure una volta. Zero centri in Serie A, nessuna esultanza per una prodezza sua e non di qualche compagno. Alzerà le braccia al cielo solo due volte, col Modena in Serie B, annata 2007/08. Prima il 12 febbraio 2008, contro il Chievo. Poi quattro giorni più tardi, contro l'Albinoleffe. Ma gli emiliani escono sconfitti rispettivamente per 2-1 in casa e per 3-1 a Bergamo. Così come il Cile aveva eliminato la sua Colombia dalla Copa América '99 in occasione dell'unico goal coi cafeteros. Per un pizzico di buona sorte, ripassare più avanti.

La fortuna – unita a parecchia bravura – riappare magicamente al momento di alzare qualche coppa. La Supercoppa Italiana del 1999, intanto. Il Parma si impone per 2-1 sul Milan campione d'Italia. A San Siro, e dopo essere passato in svantaggio. Bolaño festeggia dall'esterno, non è neanche in panchina ma intanto torna a fare la conoscenza dei trofei dopo quelli vinti con lo Junior. Non c'è tre anni più tardi contro la Juventus, la serata del tiro sghembo dell'altro Junior, l'ex terzino sinistro, una ciabattata valsa l'ultimo trofeo della storia emiliana fino a oggi. E non c'era stato nemmeno un anno prima contro la Fiorentina di Nuno Gomes, trionfatrice dell'edizione 2000/01. Almeno in quel caso, si era risparmiato la delusione di doversi infilare al collo la medaglia dei perdenti.

Ma il mondo di Bolaño non è racchiuso unicamente nell'ovattata provincia emiliana. Nel 2002 il Parma lo presta alla Sampdoria, ma l'avventura nasce e muore nello stesso momento a causa della rottura del crociato del ginocchio destro. Morale della favola: ma la stella colombiana non mette mai piede in campo, il Doria prende Sandro Cois al suo posto e torna in A dopo qualche anno di purgatorio.

Andrà meglio a Lecce, seconda parte del 2003/04. Delio Rossi gli dà fiducia e viene ripagato in pieno, conquistando la salvezza da neopromossa e prendendosi la soddisfazione di battere a domicilio la Magna Juve, il leggendario 3-4 che rappresenta il pomeriggio di gloria assoluta di Axel Konan. Bolaño, per la cronaca, è in campo per tutti i 90 minuti in quella gara del Delle Alpi. Anche se è un pochino acciaccato. Rossi apprezza, tanto da provare a portarlo con sé alla Lazio, come rivelato in seguito dal colombiano.

Ci sarà spazio per un'altra impresa, addirittura superiore a quella di Lecce. C'è anche Bolaño nel Parma 2006/07, quello che a un certo punto dell'annata pare destinato a un crollo verticale verso la Serie B. Pare, già. Perché a gennaio arrivano i nostri, nelle figure di Pepito Rossi in campo e Claudio Ranieri in panchina, e la musica cambia. E anche se Jorge gioca il giusto, in un angolino di cuore crociato lo spazio per lui non manca. Non è un caso.

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