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Freddy Rincon ColombiaGetty Images

Freddy Rincón, il Gullit mancato del Napoli che in A ballò solo un anno

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Il volto si contrae in un'espressione corrucciata. La mente inizia già a correre per conto proprio, libera e lontana. La domanda non sgorga concretamente dalle labbra, ma si fa largo a gomitate nella testa: “Ma dove sono capitato?”. Sono trascorsi tre mesi e Freddy Rincón non l'ha ancora capito. È sbarcato in Serie A nell'entusiasmante contesto di un quasi trentenne digiuno di pallone europeo, ma il rapporto con il Napoli non sta funzionando. Proprio per nulla. E a complicare la situazione c'è quell'equivoco tattico così strano da comprendere: l'allenatore di quella squadra, Vincenzo Guerini, lo sta schierando nel ruolo di attaccante, ma lui l'attaccante non sa farlo, non lo ha mai fatto. È un centrocampista, una mezzala di inserimento. E in campo si nota.

È spaesato, Rincón. E la situazione del Napoli 1994/95, la sua unica stagione nel nostro campionato, non lo aiuta. Le amichevoli hanno regalato buoni segnali, proprio lui ha segnato in un 2-0 al Chelsea, ma il calcio d'agosto è il calcio d'agosto. Da settembre la musica cambia. Ai primi esami veri, i partenopei si squagliano come neve al sole. Superano la Reggiana all'ultimo minuto grazie a una prodezza di Benny Carbone, poi perdono a Cremona e con la Juventus. Un rocambolesco 3-3 a Genova contro il Genoa è il preludio al dramma sportivo. Un altro 3-3 in casa contro il Padova, cinque schiaffoni presi dalla Lazio champagne di Zeman e il destino di Guerini è segnato: esonero. Con la squadra, che l'anno precedente ha chiuso al sesto posto qualificandosi per la Coppa UEFA, in piena zona retrocessione.

Rincón è lì solo da pochi mesi, dall'estate post Mondiali a stelle e strisce. Il Napoli, in pieno declino tecnico ed economico dopo i bagordi dell'era Maradona, lo ha preso per dimenticare i tanti volti noti che se ne sono andati. Ciro Ferrara su tutti, volato alla Juventus per aprire un ciclo di trionfi. Ma non c'è più nemmeno Paolo Di Canio, ennesima figurina del Milan stellare di Berlusconi. E neanche Daniel Fonseca, passato alla Roma. Soprattutto non c'è più Marcello Lippi, il traghettatore verso l'Europa. Anche lui è stato sedotto dalla Juve, anche lui non ha saputo dire di no. Per contenere i costi, una società in pieno cambiamento dopo l'addio di Corrado Ferlaino ha puntato su Guerini. Arriva dalla B, dall'Ancona. Ed è uno umile: “Se fossimo ancora nell'era di Maradona sarebbe Trapattoni l'allenatore, mica io".

Dal Trap a Guerini. Da Diego, Careca e Alemão a Rincón. Lo chiamano il 'Coloso de Buenaventura', perché ha un fisico massiccio ed è alto un metro e novanta circa. Non si tratta di un oggetto sconosciuto. Anzi: in Colombia è venerato quasi come un dio del pallone. Non tanto per gli esordi al Santa Fe, con tanto di doppietta alla prima da professionista. Nemmeno per i titoli nazionali vinti con l'America de Cali. E neppure per le sue prestazioni nello spaventoso Palmeiras targato Parmalat di metà anni 90, quello di Rivaldo, Edmundo e Roberto Carlos.

In patria lo amano perché nel 1990 ha realizzato un goal storico. Proprio in Italia. La sua notte magica, in realtà un tardo pomeriggio, è andata in scena a San Siro il 19 giugno. Contro la Germania, vice campione in carica e futura trionfatrice sotto il cielo romano. Littbarski ha portato in vantaggio i tedeschi all'88', condannando la Colombia, alla sua seconda partecipazione a una fase finale dei Mondiali, a un rapido ritorno a casa. Ma al terzo minuto di recupero è apparso lui, Rincón. Ha ricevuto un lancio illuminante di Valderrama, si è presentato davanti a Illgner e gli ha fatto passare la palla sotto le gambe. Per la prima volta nella propria storia, la Colombia ha passato il turno. È un goal che ha fatto esclamare a un telecronista locale: “Dio è giusto, è così, è chiaro!”. E che, dopo più di 30 anni, ha ancora una valenza fortissima. Tanto che il figlio di Freddy, che quella sera non era neppure nato, un paio d'anni fa si è tatuato la sagoma esultante di papà su una gamba.

L'apice vero, il punto più alto possibile, quella Colombia l'ha toccato tre anni più tardi. È andata sul campo dell'Argentina e l'ha massacrata sotto il peso di un goal dopo l'altro. Uno, due, tre, quattro, cinque. 5-0. Al Monumental di Buenos Aires. Rincón ne ha segnati un paio e al resto hanno pensato Asprilla (altra doppietta) e il “Tren” Valencia, visto qualche tempo dopo a Reggio Emilia. Alla fine hanno applaudito tutti. Anche i tifosi avversari. Anche Diego Armando Maradona, che prima della partita aveva pronunciato una frase rimasta nella storia: “Deve continuare tutto com'è: l'Argentina sta sopra, la Colombia sotto”.

Pelé è rimasto completamente spiazzato da quell'esibizione. E non solo da quella. Tanto da dire: “La Colombia è la mia favorita per i Mondiali”. Ma la sua profezia si è ben presto trasformata nel classico bacio della morte, perché negli Stati Uniti la macchina da guerra del Pacho Maturana è diventata un'Armata Brancaleone qualsiasi: sconfitta all'esordio contro la Romania, sconfitta contro i padroni di casa, inutile 2-0 contro la Svizzera. L'underdog più credibile si è schiantata al suolo ancor prima di provare a spiccare il volo. Anche Rincón ha deluso. E alla fine di quel Mondiale ha vissuto assieme a un'intera nazione il dramma vero, quello che ha fatto passare in secondo piano tutto il resto: l'uccisione di Andrés Escobar.

Il viaggio da dimenticare negli Stati Uniti non ha intaccato la fiducia del Napoli nei confronti di Rincón. La dirigenza lo ha visto all'opera, lo ha voluto e lo ha preso. Anche grazie alla collaborazione del Parma e allo sponsor Parmalat, che gestisce sia i ducali che il Palmeiras. Quando Freddy arriva in Italia, rimangono tutti a bocca aperta. “Sembra scolpito nel marmo, sul suo corpo si potrebbe studiare anatomia, tanto sono perfette le sue fasce muscolari”, si stupisce il medico sociale. Il Trap approva a 'La Stampa': “Mi piace, lo avevo seguito molto in passato. Se il Napoli, così rinnovato, ingranerà, lui sarà fondamentale. Troverà l'ambiente ideale”. E Guerini, l'allenatore, si spinge ancora più in là: “Vorrei che Freddy fosse il nostro Gullit”.

Il problema è che Rincón non è troppo d'accordo: “Io posso anche provare a fare il Gullit, faccio goal, ma non sono una punta di ruolo”. Eccolo qui, l'inghippo tattico. Guerini lo vede per quello che non è: un attaccante. E lo schiera di conseguenza, accanto al Condor Agostini e davanti a Benny Carbone. Freddy ci prova, si esibisce in qualche numero, all'esordio con la Reggiana sfiora per due volte la rete, ma non gira. Come tutto il Napoli. Che alla quinta giornata ha però l'occasione di svoltare. Al San Paolo arriva il derelitto Padova, zero punti e zero goal all'attivo in 360 minuti. Finisce con un impensabile 3-3 (da 3-1, e coi veneti in 9 contro 10), anche se Rincón lascia il proprio timbro con una doppietta. La sua prima in Serie A. Eccolo, pensano tutti. L'oggetto misterioso si sta finalmente palesando. Sensazioni parzialmente confermate una settimana più tardi con un assist per Pecchia in casa della Lazio. Che però, piccolo dettaglio, trionfa con un travolgente 5-1. Per Guerini è la fine: al suo posto arriva Vujadin Boskov.

Con l'ex doriano in panchina, il mondo di Rincón sembra cambiare. Quello tattico, almeno. Da attaccante, il colombiano arretra finalmente in mezzo al campo, tra la mediana e la trequarti, con licenza di inserirsi da dietro. Ha iniziato il campionato con la 10 sulle spalle, ora ha la 4. Però non è che la modifica sortisca poi tutti questi effetti dal punto di vista del rendimento. L'eroe di Italia '90 continua a non trovare la giusta posizione, fatica a incidere. Durante il mercato di riparazione di novembre, il Napoli lo tratta con Atletico Madrid e Benfica. Dopo un 1-1 in casa della Roma in cui ancora una volta il colombiano non ha brillato, Boskov ammette: “Devo recuperarlo psicologicamente”. Il nuovo presidente del Napoli, Ellenio Gallo, ci va giù pesante: “Lo ha preso Ferlaino mentre ero ammalato: io volevo Fernando Couto”.

“L'imbrocchimento di Rincón è uno dei misteri del calcio – scrive 'La Stampa' all'indomani dell'eliminazione dalla Coppa UEFA per mano dell'Eintracht Francoforte – L'involuzione del colombiano è più di origine psicologica che tecnica e atletica. Boskov gli aveva affidato il ruolo che predilige, quello di centrocampista offensivo, ma la sua fiducia non veniva ripagata”.

Si va avanti così, tra una prestazione opaca e una panchina. Fino alle prime settimane del 1995, quando Rincón ha un guizzo: segna tre volte consecutive, al Genoa, alla Reggiana e alla Cremonese, e si candida come uomo sorpresa per il finale di stagione. Finalmente non è più un fantasma: è di nuovo il “Corsaro Nero”, come lo ha ribattezzato Raffaele Auriemma al suo arrivo in Italia. Però il rapporto con una parte del tifo non si è ricucito. Alcuni sostenitori continuano a prenderlo di mira. E il 10 febbraio, un paio di giorni prima di giustiziare i grigiorossi, il calciatore prende la parola coi giornalisti. È sull'orlo delle lacrime, distrutto dentro. E costruisce, pezzo per pezzo, uno sfogo in piena regola:

"Mi sento prigioniero di questa città – le sue parole, riportate da 'Repubblica' – Non esco di casa, di Napoli non conosco nemmeno le strade. Quando posso, corro lontano. A Bari, o a Roma, a trascorrere il mio giorno libero. Qui non ne posso più, non vedo l'ora che finisca il campionato. Per strada mi insultano, mi dicono cose brutte, cattiverie... Ho avuto paura, certo. Per me è diventato un inferno, immaginatele voi le cose che mi dicono. So solo che le cattiverie sono tante. Che, fossi stato più giovane, sarei scappato subito da questa città... Nessuno mi ha aiutato. Ho combattuto da solo la mia battaglia. All'inizio, i compagni mi invitavano ad uscire con loro, io ho rifiutato spesso, per il mio carattere schivo. Poi nessuno l'ha fatto più. E la società: lasciamo stare... Ho sentito con le mie orecchie un dirigente che diceva di me: non è un giocatore di calcio. Gli altri non mi hanno mai aiutato. A Napoli non ho amici, ne ho conosciuto solo uno che sta al di fuori del calcio, si chiama Armandino e fa il tassista: mi ha fatto capire tante cose, se vado avanti lo devo anche a lui...".

Sa già, Rincón, che la sua avventura napoletana si chiuderà al termine della stagione. Quel che non sa è che la serata più esaltante di tutte, quella per cui è ricordato ancor oggi, ancora non è arrivata. 12 marzo '95, un mese dopo: si gioca Napoli-Lazio, posticipo serale. Segna Casiraghi, poi segna ancora Casiraghi. Alla fine del primo tempo il Napoli, in lotta per un posto UEFA, è sotto di due. Ma nella ripresa spunta l'uomo che non ti aspetti: l'1-2 e il 2-2 sono marchiati a fuoco da Freddy. E dopo un rigore sbagliato da Carbone arriva anche il 3-2 di Buso. Un'apoteosi. Il Napoli sogna l'Europa, la sfiora con le dita. Ma la testa di Marco Delvecchio supera in extremis la resistenza del Padova e lancia l'Inter in sesta posizione, lasciando gli azzurri fuori dalle coppe. Vi torneranno soltanto nel 2008.

Rincón chiude con ventotto presenze e sette reti la propria annata in chiaroscuro. Non è un campione e l'ha dimostrato. Però non è neppure un bidone. Tanto che la tappa successiva si chiama... Real Madrid. Lo vuole Jorge Valdano, l'allenatore. Gioca in Champions League, pure a Torino contro la Juventus, ma non c'è verso di sfondare. Anche perché quello è il peggior Real degli ultimi trent'anni, settimo in campionato e addirittura fuori dalle coppe. I problemi, per Freddy, nascono praticamente subito. Perché una frangia della tifoseria non lo vuole. E non guarda tanto le sue capacità in campo, quanto il colore della pelle. E se si considera il fatto che con lo spogliatoio il colombiano proprio non lega, il quadro è completo.

“Avrei dovuto essere bianco – ha detto nel 2020 a 'Gol Caracol' –Non ho vissuto il razzismo nel quotidiano, ma dentro il Real Madrid sì. Con Valdano la situazione era difficile, la pressione su di lui era tanta. Nello spogliatoio il clima era pesante, c'erano molte individualità, molto orgoglio, sei nella squadra più grande del mondo e può capitare. Però era bello essere lì, ho trovato buoni amici”.

Il vero problema di Rincón, oltre al rapido esonero di Valdano, è che è inviso ai piani alti. E in particolare a Lorenzo Sanz, vicepresidente che dal novembre del 1995 assumerà la presidenza del Real e che di lui dice subito: "Prenderlo è stato un errore". Racconterà in seguito Freddy:“Mi disse che, se fosse diventato presidente, il primo ad andarsene sarei stato io”. La minaccia si trasforma in realtà. Non subito: nell'estate del '96. Di nuovo a San Paolo, prima al Palmeiras e poi al Corinthians. Dove l'ex azzurro arretra ulteriormente la propria posizione in campo, finendo per fare il mediano a tutti gli effetti. La curiosità è che, quando qualche anno dopo viaggerà in Brasile alla ricerca di talenti, Sanz rimarrà impressionato non da un nuovo gioiello in erba, ma dalle prestazioni di tale... Rincón.

Freddy aspetta, aspetta, aspetta. E alla fine consuma freddamente la propria personale vendetta. Nel 2000, proprio Real Madrid e Corinthians sono inseriti nello stesso girone dell'edizione pilota del Mondiale per Club, che si disputa in Brasile. Lo scontro diretto è già finito 2-2. All'ultima giornata vincono entrambe, ma il Timão vola in finale grazie alla miglior differenza reti, +4 contro +3. E chi è che segna la rete determinante per la classifica finale? Rincón, all'Al Nassr. “Era destino che eliminassi il Madrid. Lì mi hanno trattato molto male”, dice dopo la partita.

Rincón lascia il calcio una prima volta nel 2001, col Cruzeiro, torna tre anni più tardi per dare una mano al Corinthians, poi molla definitivamente. Inizia ad allenare, guida qualche club minore del panorama brasiliano, va a fare il secondo di Luxemburgo all'Atletico Mineiro. In pochi anni si fa notare anche per qualche episodio extracampo: per due volte viene arrestato per presunto riciclaggio di denaro, prima di essere assolto.

Intanto fa pure l'opinionista in tv, sia in Brasile che in Colombia. Negli ultimi anni si è contraddistinto per una sorta di guerra a distanza con James Rodriguez.“Avrei voluto avere metà, o anche solo il 20%, delle opportunità che lui ha avuto al Real Madrid”, punge.Oppure: “Gli mancano il sacrificio e una serie di altre cose per poterlo chiamare campione”. Durante la Copa America, in cui James non c'era, ha accusato un giornalista colombiano, Oscar Renteria: “Sembra che tu abbia una maglietta con la sua foto. Non fai che parlare di lui”. E via così. Da lui partono spesso schegge, frecce, dardi. Con le labbra, stavolta. Dopo averli scagliati solo a tratti con i piedi. Il tutto fino alla tragica scomparsa a soli 55 anni, in seguito alle gravi ferite riportate in un incidente automobilistico. Ci mancherà.

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