Che si parli di Seltenheit o di rarità, il concetto è sempre lo stesso. Ma di certo Hans-Jörg Butt lo ha sentito scandito nella sua lingua madre, il tedesco, durante la sua intera carriera tra i pali. Che migliaia di volte amici, conoscenti e sconosciuti abbiano commentato, anche solo mentalmente il significato inglese del suo cognome è un'altra questione che non ci interessa trattare. Ciò che del resto lo ha reso raro non sono quelle quattro lettere, ma ciò che queste hanno significato per gli avversari. Perché quando hai davanti un portiere goleador, l'ossessione e di evitare il peggio del peggio è pressante, primordiale. Figurarsi con qualcuno che esce dal macrocosmo della rarità per staccarsi in un microcosmo ancor meno frequente. Capace di calciare con gli scarpini ai piedi mentre le mani sono coperte dai guantoni.
Dopo la prima volta, la Juventus non riuscì ad evitarlo. Quasi divenuta abitudinario al momento della terza. Sì, lo stesso portiere, con le quattro lettere nella schiena - di cui due uguali -, ha segnato tre volte alla Juventus. E se pensate che la rarità abbia già raggiunto record tali da coniare un termine da inserire nel vocabolario, beh, avete ragione. No, si scherza. Non siete proprio vicini alla verità. Unico, Butt: un portiere in grado di segnare tre volte alla Juventus con tre maglie diverse.
Non che Butt abbia sognato, segnando una serie solamente alla Juventus (cacofonico, vero?), ma la particolarità oltre la singolarità del dato è più specifica. Dei 37 goal segnati ai suoi colleghi portieri, capaci di pensare solo questioni negative, consci di aver subito rete da un loro simile, solamente tre sono arrivati in Champions League. Oddio, solamente. Già uno è un caso eccezionale, ma a livello numerico può essere una buona definizione. Vi diamo un indizio. Butt non ha mai giocato in Italia, avversario della Juventus solamente in Europa. Come dite voi in America, bingo? Bingo. Tre goal in Europa, tre goal alla Juventus.
DA PORTA A PORTA: PER TUTTA LA CARRIERA
Butt non è mai stato uno qualunque. Non ha deciso a metà della propria carriera da pro di voler tentare l'ebbrezza della rete. Sin dalla gioventù non voleva essere uno tra tanti, ma bensì unico tra la folla. Una schiera di portieri che giorno dopo giorno a inizio anni '90 sognavano di essere i nuovi Sepp Maier. Cavoli, essere un campione tra i pali è una gran cosa, ma entrare a far parte della classifica dei più grandi è questione spesso soggettiva e di ardua definizione. Meglio addentrarsi in un altro mondo, per lasciare le proprie mani sull'erba e il cemento fresco.
Prossima partita
Pochi, i portieri goleador. Due mani, dieci dita. Si contano così. Quando gioca per l'Oldenburg, club della sua città, ha già modo di tirare i rigori. Ha appena vent'anni, ma possiede una personalità che I suoi allenatori non possono ignorare. È freddo e preciso, glaciale gigante in porta. Ballerino, killer da fermo. Un mix letale che lo porta ai piani alti del calcio tedesco, all'Amburgo. Ragazzi, capisco esperienza e ruoli, ma vorrei stravolgere entrambi, grazie. Non ci mette molto a superare i designati colleghi calcianti.
GOALUsa mani e piedi per entrare nel tabellino in ogni modo. Tanto che in Europa comincia ad arrivare la storia di questo demone tedesco, mezzo portiere e mezzo attaccante. Quasi fossero bambini impauriti, i portieri della Champions, in cui sta approdando il suo club, chiedono aiuto a fato e destino. Ti prego, non a me. Fatalità, nel 4-4 di una Juve pregna ma vuota. Di Van der Sar, ad esempio.
UN-DUE: MALEDIZIONE BUTT
Capitolo uno, la fase a gironi che porta alle grandi orecchie. È il 2000 e ad Amburgo arriva, per nulla bardata, la Juventus. Tanto che la squadra di Carletto Ancelotti risulterà piena di spifferi, subendo quattro reti. Lo stesso vestito logoro sarà però indosso anche al signor Burgo. Un pareggio storico per numero di reti segnate. Per la consapevolezza della reale presenza di un cavaliere di 190 cm per 90, seriamente autorizzato dal suo regno ad agire per agguantare e non solo per arginare. Il primo goal alla Juventus, dal dischetto.
Butt si guadagna anche la convocazione nella Germania, e di certo non per quella volontà continua di battere i rigori. Per i CT della Germania è qualcosa che può funzionare, ma non sotto la loro direzione un fenomeno da circo, un freak verso cui non guardare. Sono parate e blocchi in uscita a convincere i selezionatori. È il dovere, seppur attorniato di piacere. Quello vero, però, è ogni settimana. Con il club. Stavolta il Bayer Leverkusen. Di nuovo la Juventus? Stavolta non sarà così. Fine. In effetti sarà diverso: per la signora il freddo si fa sentire, cacciata. Sara molto peggio.
Stavolta a difendere la Juventus è Gigi Buffon. A Parma e Carrara ha sentito di lui, l'ha visto in azione. La persona su cento a cui capita la 'disgrazia' Butt non può essere lui. Bisogna pensarla cosi: del resto altri 99, sicuramente, schivano rigore e pallone in rete. L'uno su 100 però è lui: seduto a terra, eliminato dalla Champions dopo un 3-1 che per il Bayer profuma di qualificazione e per la Juventus puzza di eliminazione.
Superati i venti goal in carriera e provata brevemente la prima e unica esperienza estera, difendendo i pali del Benfica prettamente in allenamento, Butt tornerà in patria per la grande occasione della carriera: il Bayern Monaco. I 34 anni nel passaporto non sono certo troppi, anzi. Potrà finalmente sbloccare l'armadietto dei trofei, con tre coppe, tra cui la Bundesliga, ad addobbarlo.
GettyNon inizia da titolare, Butt. Viene chiamato per dare una mano a Rensing. Jürgen Klinsmann, mister di quel Bayern, spera che il designato erede di Kahn possa capire dall'esperto portiere cosa significa difendere una porta. Cosa significa esserci da quindici anni. Le cose, per il numero uno, non vanno bene. Pecca di costanza e nel lungo periodo il secondo diventa primo. È da tempo che non tira i rigori, oltre tre anni. Si è fermato al gennaio 2006, quando ha deciso la gara di Bundesliga contro l'Eintracht.
Solamente nel marzo 2009 avrà di nuovo modo di sentire l'aria tremare sotto il suo cognome. Un canto di guerra, scandito da tamburi e corde vocali. Un grido che paralizzava il portiere avversario, nel tappeto verde tra una porta e l'altra. Al suono di 'Buuttt-Buuuttt' Hans correva dalla sua area difensiva a quella offensiva. Si stava per avvicinare il momento della battuta, 37 volte su 45 andata in fondo al sacco. Nel 4-0 del marzo 2009 contro il VfR Alen c'è anche la sua firma: sta difendendo per l'occasione i pali del Bayern Monaco II, in terza serie. Il 2008/2009 è per lui sia Bundesliga, sia seconda squadra. Un camaleonte che sa adattarsi ad entrambe le situazioni.
Poi, arriva Van Gaal. E il sergente olandese non è qualcuno che debba essere convinto. È già convinto: vuole Butt come portiere titolare e Rensing come riserva. Ci sarà lui in Champions, quando il Bayern pesca la Juventus nella fase a gironi. Buffon si ritrova ancora una volta davanti, stavolta in casa, l'orco del goal. Lo spauracchio dei portieri che portiere lo è.
TRIS DI RETI: JUVENTUS ELIMINATA
All'andata zero vincitori, zero vinti. La Juventus di Ferrara, ancora in fase di costruzione post distruzione, è appesa al filo della vittoria nell'ultimo turno della fase a gironi. La classifica recita Bordeaux 13, Juventus 8, Bayern Monaco 7, Maccabi Haifa 0. Israeliani eliminati, francesi qualificati. A Torino ci si gioca tutto: chi vince, passa. Chi perde retrocede. I bianconeri non sono ancora grandi, ma hanno fiducia. Quella che gli ospiti avranno cento volte di più: l'Italia ha sempre portato bene. E così sarà, anche questa volta. Il vantaggio bianconero viene spazzato via da Olic, da Butt. E dire che il Bayern si presenta a Torino senza Klose, Robben, Ribery e Toni. Eppure finisce per abbattere ambizioni e scolorire la maglia avversaria. Per 4-1.
Trezeguet ha portato la Juventus in avanti, ma al 30' lo svizzero Busacca indica il dischetto del rigore. Trema Buffon, mentre Butt corre sorridendo. Piazza il pallone, parte dalla lunetta, frena la rincorsa, spiazza il collega. Neanche si tuffa Gigi, testa bassa. Scatta verso l'altra parte del campo, Hans, praticamente senza neanche festeggiare. Del resto non si è dimenticato di quando, in passato, ha subito un goal una manciata di secondi dopo averlo realizzato: rete, festa, corsa lenta per tornare in porta, palla a centrocampo, gioia che si tramuta in delusione. Stavolta no: niente più reti a casa, solo predoni.
"Ho sempre un ordine: Butt è primo, Robben secondo, Schweinsteiger terzo. Se Butt è in buona forma, deve tirare il rigore" dirà Van Gaal al termine della gara. "Ho molta fiducia in lui. Se non l'avessi fatto, non avrebbe mai dovuto prendere il calcio di rigore".
Il 4-1 del Bayern Monaco elimina la Juventus dalla Champions, portandola alla retrocessione in Europa League. Per la seconda volta, Butt ha preso le ambizioni di Madama, le ha chiuse in una stanza buia e ha buttato la chiave. Quando ha segnato, nessuno è riuscito a fuggire al tetro destino che aveva costruito per lei.
"Il sapore del goal mi mancava: questo è stato importante, che serata" dirà Butt dopo la qualificazione e il 37esimo goal segnato, l'ultimo della sua carriera. "La Juventus mi porta bene, contro di lei ho debuttato in Champions, ai bianconeri ho fatto gli unici goal europei. Splendido".
Un mese più tardi tirerà un altro penalty, sbagliando però al cospetto di Heinz Müller del Mainz. Chiuderà così con 37 rigori segnati e 8 sbagliati. I tre contro la Juventus (gli unici europei) fanno parte della prima statistica, netta e distante da quella al polo opposto. Un dato che non ammette repliche, figlio della rarità, della Seltenheit. Due eliminazioni, il suono delle lettere assordante, l'attesa per coprire lo spazio tra un'area e l'altra. Rincorsa, frenata, goal. E ancora goal. Trentasette.