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Wolfsburg non è la città dei sogni, ma è quella in cui i sogni si realizzano. Chiedere per informazioni ad Andrea Barzagli. Uno che nella città industriale, famosa per poco altro se non lo stabilimento Volkswagen - vero vanto del centro della Bassa Sassonia - ci è stato due anni e mezzo. Non ha di certo scoperto una meta turistica e nemmeno un posto in cui la vita extra campo concede troppo, tanto che spesso i giocatori scelgono di abitare in altre città nelle vicinanze. Però in due anni e mezzo ha cambiato totalmente la propria carriera. Quello che nel 2008 sembrava un punto di arrivo, per lui si è trasformato in un punto di partenza. Grazie a un gruppo che ha scritto la storia nel 2009 vincendo la Bundesliga. Un gruppo del quale il Campione del Mondo ha fatto parte, da protagonista fino in fondo.
E pensare che tutto era iniziato per una scelta impopolare sotto il piano tecnico, giustificata anche da una ricca offerta economica. Nel 2008, due anni dopo aver fatto parte dei ventitré di Lippi che trionfarono a Berlino, Barzagli aveva sotto mano l’offerta della Fiorentina. Sarebbe stato un ritorno a casa, per lui nativo di Fiesole. Però c’erano di mezzo le ambizioni: i viola non lottavano per il titolo, il Wolfsburg veniva da un quinto posto e aveva ambizioni di Meisterschale. In più, un contratto ricco e un’offerta da 14 milioni di euro al Palermo. Cifre che lo stesso difensore riteneva ben più alte rispetto al proprio valore reale. Un’offerta irrinunciabile, per certi versi, che lo portò anche a contraddire Marcello Lippi: il Commissario Tecnico subentrato a Donadoni proprio in quell’estate non si disse d’accordo.
Col senno di poi, aveva ragione Barzagli. In Germania la sua vita cambia radicalmente, anche a livello di allenamento. Nuova mentalità, maggior continuità, in una lega nella quale i difensori spiccano più per individualità che per reparto. Sono però gli allenamenti il primo passo del classe 1981 verso il suo nuovo inizio. L’allora tecnico Felix Magath lo mise subito sotto torchio per fargli perdere massa grassa. Come? Tramite le punizioni. Tipo farlo correre per le colline con Alexander Madlung sulle spalle. Un titano di 193 cm per 90 kg da portare sulla schiena in salita come punizione per non essersi allenato bene.
“Mi allenavo al 70-80% e non la prendevo mai. Da lì ho cambiato modo di allenarmi, sempre al 100%. Magath mi insegnò tantissimo a livello di mentalità, gli devo molto”.
I risultati a livello fisico non potevano che essere evidenti e rispecchiarsi nelle prestazioni in campo. Al suo primo anno in Germania, Barzagli non salta nemmeno un minuto, neanche per infortunio o per squalifica: 34 partite su 34 da titolare e portate fino al 90’. Ci è andato vicino solo Marcel Schäfer, terzino sinistro che è rimasto dieci anni con i ‘Lupi’ e oggi lavora come direttore sportivo del club: 21 minuti meno di lui. Neanche Dzeko e Grafite, i membri coppia goal che arrivò a produrre un totale di 54 goal in quel magico 2008/09, erano considerati così insostituibili quanto lo era Barzagli. Vicino a lui ruotavano Madlung, Simunic, Ricardo Costa, a volte Zaccardo - che lo aveva seguito in Germania, con molto meno successo.
Chi non usciva mai era l’ex Palermo e Chievo. Nella cavalcata verso la vittoria, davanti al Bayern di Klinsmann - distrutto per 5-1 alla Volkswagen Arena nel match simbolo di quella stagione - il centrale toscano giocò un ruolo fondamentale. Portò il club al primo successo, un’impresa unica. Nessuno lo ha mai dimenticato, anche se non è rimasto un’icona del club come invece è capitato, ad esempio, a Grafite.
Getty ImagesEppure, nonostante i successi, l’Italia gli sembrava troppo distante. Aveva ‘lasciato’ la Nazionale il 6 settembre 2008 e la rivede soltanto quando torna in Italia per vestire la maglia della Juventus, quasi tre anni dopo. Le parole di Lippi riecheggiano e Barzagli in seguito si è detto consapevole che non essendo in un top club probabilmente dall’Italia sarebbe stato poco seguito: “il Wolfsburg non interessava a nessuno”, citando un’intervista a ‘La Stampa’. Anche per questo dopo due anni era tornata la voglia di tornare.
Di certo non era stato d’aiuto l’ottavo posto a cui si era fermata la squadra in campionato nel suo secondo anno. Un calo per la verità preventivatile dopo un’impresa della portata del titolo per una squadra abituata a stare a metà della classifica. Poi i cambiamenti in dirigenza e gli arrivi di Simon Kjaer e Arne Friedrich nell’estate 2010 gli hanno chiuso lo spazio. Barzagli chiede la cessione, viene trattenuto fino a gennaio a causa degli infortuni, finisce per andare via per 300mila euro. Lì inizia la sua storia con la Juventus. Quella che lo porta a diventare una leggenda in bianconero, a tornare in Nazionale, a vincere otto scudetti. Con il timbro indelebile sulla carriera di uno che nel 1983 aveva steso i bianconeri in finale di Champions League e di una città che sembrava un punto di arrivo, ma si è rivelata un nuovo inizio.