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Pioli HDGOAL

Stefano Pioli meriterebbe di rimanere al Milan?

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Il destino di Stefano Pioli è stato deciso, più o meno, ma quasi del tutto, al triplice fischio di Szymon Marciniak. In quel preciso istante, tutti, nessuno escluso, forse anche lo stesso Pioli, hanno pensato che quella consumata all'Olimpico di Roma sarebbe stata la sua ultima partita europea alla guida del Milan, al culmine della stagione che, più di tutte, ha messo in luce le contraddizioni della sua missione in rossonero.

Persino prima del Derby contro l'Inter che ha consegnato una città intera (i numeri dicono questo, ben al di là delle presenze in Piazza Duomo) all'altra parte di Milano, la consapevolezza diffusa era che l'allenatore del diciannovesimo Scudetto non avrebbe occupato il suo posto in panchina in futuro. E questo al netto delle voci che, da mesi, hanno provato ad accostare al Milan prima Antonio Conte, quindi altri profili.

Il Tricolore e la festa dell'Inter (sbattuta "in faccia", quest'ultima, in un piovoso lunedì sera milanese) hanno avuto semplicemente una funzione "nichilistica", e attiva, dando una "spallata" definitiva a un progetto che già nella stagione dell'eliminazione in semifinale di Champions League sembrava vacillante.

Ma dato che il calcio non è semplicemente traduzione sul campo delle idee, delle mosse e degli esperimenti di un allenatore, ci chiediamo, e vi chiediamo: Stefano Pioli meriterebbe di rimanere al Milan o la sua avventura in rossonero è ragionevolmente finita?

  • Pioli Sassuolo MilanGetty Images

    UNO SCUDETTO INATTESO

    Va fatta una premessa che in molti, adesso e con lo Scudetto dell'Inter "fresco fresco", mettono in secondo piano: Stefano Pioli è stato il Milan. Anzi, Stefano Pioli è stato il "milanismo". Questo non va rinnegato.

    E questo perché l'allenatore parmigiano ha incarnato alla perfezione l'ideale di "rinascita" che ha fatto seguito alla "Banter Era": anzi. Stefano Pioli è stata la vera fine della "Banter Era" dei rossoneri. Niente più "Haka" a San Siro, archiviate le "robe formali", Pioli ha prima restituito la Champions League al Milan, arrivando alle spalle dell'Inter di Antonio Conte, poi lavorato su concetti che a Milanello sembravano improbabili e improponibili.

    In anni in cui in rossonero si era soliti anteporre le sette Champions League vinte, pur con la sempre crescente distanza temporale dalla conquista delle stesse, alle analisi sui disastri sportivi portati a compimento da questo o l'altro allenatore, Pioli aveva rivoluzionato pure la comunicazione dell'ambiente: più umile, più concreta.

    Queste le basi della rimonta Scudetto del 2022: inattesa, sorprendente, contro un'Inter che, sì, in questo ha avuto ragione anche recentemente, era la più forte del campionato e che è stata messa in crisi psicologicamente da una squadra che no, non era "il Leicester italiano", ma che non era neanche stata allestita con l'obiettivo di vincere il Tricolore.

    Di quel titolo, Pioli è il volto ancor più di Zlatan Ibrahimovic, se vogliamo: il "Piolismo" (non nel gioco, quanto nell'immagine complessiva) esaltato da "Pioli's on fire", culmine della carriera di un allenatore che era stato più volte definito come "l'eterno incompiuto", sempre a un passo dal definitivo salto di qualità. Della finale consacrazione. Ci era riuscito.

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  • COSA SI È INCEPPATO DOPO LO SCUDETTO: IL MERCATO

    Se il mondo fosse finito con lo Scudetto del Milan, Stefano Pioli sarebbe stato consegnato alla storia dell'universo come uno dei più importanti allenatori tra quelli passati dalle parti di Milanello o di Casa Milan (in epoca più recente). Ciò, comunque, non è avvenuto.

    I festeggiamenti della conquista del Tricolore si sono ritorti contro la formazione rossonera in maniera assai bizzarra, ma in questo Pioli ha poche responsabilità: "Si è girato Giroud" e lo stesso "Pioli's on fire" oggi sono cori di scherno che vengono intonati dai tifosi interisti per sottolineare il bilancio nei Derby che, fino al primo della stagione con lo Scudetto sul petto, avevano sorriso al Milan.

    Persino dopo quel 3-2 firmato dallo stesso Olivier Giroud e Rafael Leao la formazione di Pioli sembrava avere il pieno controllo calcistico della città e, più in generale, del suo progetto sportivo: qualcosa, però, si era già inceppato.

    Eccoci al primo, vero, punto della nostra analisi sulla divisione delle responsabilità da attribuire al club e Pioli: il calciomercato da Campioni d'Italia.

    L'anno dello Scudetto aveva un po' ovattato i difetti di una rosa che nella stagione singola avrebbe potuto esaltarsi, come è realmente accaduto, ma che avrebbe potuto avere delle difficoltà a ripetersi: serviva un vice-Giroud e dalla società acquistano Divock Origi, svincolato. Bilancio della sua ultima stagione al Liverpool: 18 presenze, 6 goal. Resta in rosa Zlatan Ibrahimovic, ma il problema dell'attaccante rimane. Un po' una conseguenza, questa.

    Poi la difesa: dallo Schalke 04 arriva Malick Thiaw, e qui non si può dire nulla, effettivamente, considerando l'impatto avuto in stagione. Meno bene va sulla destra: Sergino Dest, in prestito dal Barcellona, è potenzialmente un buon rinforzo, ma non un upgrade rispetto ad Alessandro Florenzi o Davide Calabria.

    Sulla trequarti il Milan fa all-in su Chalres De Ketelaere e qui va aperta la "madre" di tutte le parentesi: il calcio non è solo schemi e programmazione. C'è una buona parte di fortuna che non va trascurata. Ai rossoneri era finita con lo Scudetto. Colpe di Pioli in tutto questo? Zero.

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  • Yacine Adli Henrikh Mkhitaryan AC Milan Inter 2023-24Getty

    UNA CITTÀ CONSEGNATA ALL'INTER

    Perché non affrontiamo più nello specifico il tema "stagione post-Scudetto"? Perché al di là del rendimento complessivo, un campionato dominato in quel modo dal Napoli rende difficile qualsiasi analisi specifica. Persino l'Inter di Simone Inzaghi uscirebbe malconcia da un dibattito sul cammino in Serie A nella stagione 2022/23, figuriamoci quella di Stefano Pioli, Campione d'Italia in carica.

    Semmai, l'analisi va affrontata da una prospettiva differente: il confronto con la stessa formazione nerazzurra in un'annata che ha riportato entrambe in semifinale di Champions League.

    Qui si potrebbe discutere della "rabbia" accumulata dall'Inter nel corso della stagione dello Scudetto rossonero, ma astratta com'è si finirebbe per attribuire a un umore il senso della flessione della squadra di Pioli. Va detto, invece, che dopo il 3-2 del settembre del 2022 l'allenatore parmigiano in primis ha perso i riferimenti nei Derby.

    In primis a Riyadh, in Supercoppa Italiana: una partita semplicemente dominata dai nerazzurri e che ha messo in luce tutte le lacune di una formazione che, praticamente con gli stessi effettivi (ad eccezione di Mike Maignan, infortunato), aveva rimontato quasi l'impossibile pochi mesi prima. Quindi, in campionato, di nuovo. Stessi errori difensivi, stesso copione. Cambia solo il risultato.

    In semifinale di Champions va peggio: non è tanto il 3-0 complessivo tra andata e ritorno, quanto la comunicazione di Stefano Pioli a far scricchiolare l'ideale "saldo" del suo Milan.

    "Fino al settimo minuto i nerazzurri non erano ancora entrati nella nostra area".

    Primo errore dialettico. La memoria social archivia, poi tira fuori di nuovo queste frasi quando a settembre i rossoneri cadono di nuovo nel Derby, questa volta con il risultato peggiore di 5-1.

    "Nei primi quattro minuti abbiamo tenuto palla solamente noi".

    Così è difficile uscirne. Si diceva della fortuna-sfortuna che nel calcio, a volte, diventa protagonista: pur con tutta la buona volontà del mondo, non si può sfuggire al caso. Questo ha voluto che il 22 aprile, a San Siro, il Milan fosse l'unico e ultimo ostacolo tra l'Inter e lo Scudetto. La vittoria del Tricolore dei nerazzurri "in faccia", nel Derby, non solo pesa più delle altre stracittadine perse consecutivamente, ma cancella in qualche modo, almeno per gli interisti, il ricordo della vittoria dei rossoneri contro il Sassuolo. Di Zlatan Ibrahimovic col sigaro in bocca e tutto il resto. Questo, sulla riconferma di Pioli, e viceversa sul suo esonero, pesa come un macigno.

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  • INFORTUNI E MILANISMO: UNA GESTIONE DIFFICILE

    Uno dei punti che più è stato criticato nel corso della gestione di Stefano Pioli è quello legato alla tenuta fisica dei giocatori.

    Alla fine del 2023, la lista dei calciatori infortunati aumenta e non diminuisce. Contro il Napoli, al Maradona, ad esempio, si fanno male Simon Kjaer e Pierre Kalulu (e Marco Pellegrino, ma quest'ultimo non muscolare). A Lecce, invece, Rafael Leao e Davide Calabria. Non è stato un tema nuovo dalle parti di Milanello, comunque. Nella stagione dello Scudetto, ad esempio, si contano 49 infortuni tra quelli traumatici e muscolari.

    A più riprese, è stato rimproverato a Pioli di non aver preso una decisione ferma sul suo staff: in un certo senso, la questione dei problemi fisici, però, è ben più sfumata di quella che riguarda il suo rapporto con l'ambiente e il milanismo.

    "Non in tanti sono stati milanisti quest'anno".

    E sassolino tolto, prima del Derby che avrebbe consegnato lo Scudetto all'Inter. Pioli rimarrà sempre l'allenatore del diciannovesimo titolo del Milan, questo sì, ma anche quello che ha cucito la seconda stella sulla maglia nerazzurra.

    Il rapporto con l'ambiente si è inceppato proprio con le sconfitte contro i cugini e a causa di alcune uscite pubbliche non proprio digerite: quest'ultima sul milanismo la più forte.

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  • Stefano Pioli MilanGOAL

    UN PROGETTO ALTALENANTE

    Poi, però, va detto anche che Pioli si è trovato in mezzo a un progetto che ha più volte cambiato direzione, basti pensare alla rivoluzione dirigenziale avvenuta nell'estate del 2023, quando a saltare furono Paolo Maldini e Frederic Massara. Con la conseguente permanenza dello stesso allenatore parmigiano, stando a quanto racconterebbero alcune indiscrezioni e ricostruzioni diffuse nel corso dei mesi.

    Quest'incertezza di fondo nel progetto del Milan, comunque, è stato lo sfondo di un percorso che difficilmente, dopo lo Scudetto, avrebbe potuto consegnare costanza e coerenza con quanto visto prima.

    Oltre alle costanti voci sui suoi successori alle quali Pioli ha dovuto far fronte (come quelle su Conte che non avrebbero arrecato fastidio, ma "solo un po' di noia"), persino la figura ingombrante di Zlatan Ibrahimovic, prima supporto fondamentale e punto di riferimento, poi "collaboratore esterno" in momenti difficili, ha sortito l'effetto di una delegittimazione del ruolo di Pioli, a volte.

    Come a settembre, alla vigilia dell'esordio in Champions League contro il Newcastle e soprattutto dopo il 5-1 subito nel Derby contro l'Inter. Il perché di quell'evento rimarrà un mistero, ma non si può certo dire che sia stata un'immagine immune alle ricostruzioni fantasiose e alle polemiche.

    In ultimo, va citato il percorso europeo del Milan di Pioli: tolta la stagione del ritorno in Champions League, culminata con l'ultimo posto nel girone con Liverpool, Atletico Madrid e Porto, la semifinale conquistata e poi persa contro l'Inter rimane un buon risultato. Certo, sì, se non ci fosse stata la questione Derby.

    Più importante e pesante, invece, è stato il cammino di quella che può essere la sua ultima annata in rossonero. Fallito l'accesso agli ottavi di Champions, il Milan è stato considerato una delle favorite alla vittoria in Europa League. L'eliminazione per mano della Roma di Daniele De Rossi è, questa sì, una macchia importante che fa riferimento al campo, direttamente, prima ancora che al rapporto con l'altra squadra (come fu nel caso della semifinale con l'Inter).

  • PIOLI MERITA DI RESTARE AL MILAN?

    Ma, ricostruite le ultime vicende legate a Pioli, rimane intatta la domanda sulla sua permanenza al Milan. Perché non tutte dell'allenatore parmigiano sono le responsabilità di un progetto che sembrava poter decollare e che, poi, è quasi naufragato.

    Quasi, comunque: i rossoneri concluderanno il campionato al secondo posto e, tolta la questione Europa, Pioli si è trovato a lavorare in più circostanze in un contesto che deve chiarire in maniera pratica una volta per tutte le sue intenzioni e ambizioni, a partire dalla proprietà (al netto delle dichiarazioni, s'intende).

    La sensazione, comunque, è che la piazza rossonera sia talmente satura da non perdonare più nulla all'allenatore del diciannovesimo Scudetto, e questo vale ben più di qualsiasi altra analisi su ciò che è stato e che si è susseguito al Milan. In una parte di San Siro che, al momento, sembra una "pentola a pressione" (e non solo per il trionfo dell'Inter), immaginare una permanenza di Stefano Pioli appare praticamente impossibile, al di là della questione dei meriti (che ci sarebbero pure) e delle giustificazioni. Il calcio segue le sue regole e Pioli, questo no, non può più far affidamento neanche alla memoria storica. Pur provandoci.

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