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Addio a Waldemar Victorino, 'El Piscador': da stella dell'Intercontinentale a meteora in Italia con il Cagliari

Nel calcio italiano degli anni Ottanta poteva accadere che anche una squadra che non rientrava fra le storiche grandi potesse assicurarsi due giocatori stranieri considerati in Sudamerica dei campioni.

Così nel 1982 il presidente del Cagliari, Alvaro Amarugi, imprenditore toscano, decide di rinforzare il suo club, reduce da una salvezza nella precedente stagione, con l'ingaggio di due pezzi da novanta del Sudamerica: l'attaccante uruguayano Waldemar Victorino e il fenomenale numero 10 peruviano Julio César Uribe, considerati fra i più forti calciatori del continente latinoamericano alle spalle dei mostri sacri Maradona, Zico e Junior.

Le due stelle vengono inserite in un gruppo squadra composto da giovani elementi di belle speranze affidato al tecnico Gustavo Giagnoni. Il Cagliari gode così di enormi accrediti fra gli addetti ai lavori. Molti pensano che i sardi possano addirittura ambire ad un piazzamento per le Coppe europee. Ma non sarà così.

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I rossoblù retrocederanno beffardamente in Serie B all'ultima giornata e se Uribe regalerà comunque ai tifosi sprazzi della sua classe, Victorino, soprannominato 'El Piscador' per le sue (presunte) qualità di rapinatore d'area di rigore mostrate fino a quel momento, che avevano fatto la fortuna del Nacional Montevideo e dell'Uruguay, dopo poche gare e tanti errori sarà messo ai margini e a fine anno rispedito in Sudamerica senza molti complimenti, tanto da essere ricordato ancora oggi in Sardegna come il bidone per antonomasia della storia del Cagliari.

DA ADDESTRATORE DI PASTORI TEDESCHI A CALCIATORE

Waldemar Barreto Victorino, questo il suo nome completo, nasce a Montevideo, la capitale dell'Uruguay, il 22 maggio 1962. Cresce in un ambiente umile: suo padre lavora duramente per soddisfare i bisogni della famiglia.

"Victorino è un ragazzo semplice, umile, che viene da una famiglia piuttosto povera - racconta in un'intervista dell'agosto 2020 a 'Tenfield.com' -, anche se mio padre ha lavorato costantemente e non mi è mai mancato il cibo o una casa".

Appena cresce e può dare una mano, anche Waldemar, conclusi presto gli studi, inizia a lavorare per aiutare in casa: inizialmente come lavavetri e addestratore di cani.

"Ho lavorato per molti anni, quasi nove, con i pastori tedeschi - svela a 'Tenfield.com' -, da quando erano cuccioli fino a quando non sono cresciuti, come addestratore sono anche andato a gareggiare, rappresentando l'Uruguay, in Brasile e in Cile, e fortunatamente abbiamo vinto un importante primo premio".
"È un lavoro in cui bisogna saperci fare, perché alla fine il pastore tedesco è la sintesi un po' di ogni cane: ha intelligenza, denti e bocca grande, una pelle spessa, forza nelle gambe e resistenza. Per questa miscela di qualità, il pastore tedesco viene utilizzato dalla polizia".
"Avevo un cane chiamato Bully da quando ero piccolo. Con lui abbiamo iniziato a gareggiare e mi ha fatto vincere molti concorsi. Ricordo che parlavo con lui come se fosse un bambino. E mi ha sempre ascoltato. L'unica cosa che manca al pastore tedesco è la parola. Non parla, abbaia. Ma se potesse parlare, sarebbe come un essere umano".

Oltre a quella per i cani, però, il giovane Victorino, come molti suoi connazionali, ha una grande passione, quella per il gioco del calcio, che inizia a praticare con gli amici e a livello amatoriale. Diventato changuero, lavoratore a chiamata nel Mercado Modelo di Montevideo, a 17 anni arriva per Waldemar la grande occasione con il Cerro (da non confondere con il Cerro Porteño), club di un barrio della capitale, che gli permette di debuttare nelle serie minori uruguayane, muovendo i primi passi nel Mondo del calcio.

LA SVOLTA NEL PROGRESO

Victorino era impiegato all'epoca da trequartista-rifinitore.

"Ero giovane e mi piaceva molto bere qualche birra o andare a ballare - dice a 'Tenfield.com' -. Ma tutto è cambiato quando un amico ha fatto in modo che andassi ad allenarmi con il Progreso".

La svolta della sua carriera calcistica arriva nel 1974 all'età di 22 anni.

"Fino a quel momento avevo sempre giocato da trequartista, ma con me spostato nel ruolo di centravanti abbiamo battuto il Basáñez 2-0. In quella partita ho avuto la fortuna di segnare due goal, e Óscar Omar Míguez (campione del Mondo del 1950 con l'Uruguay nonché miglior cannoniere di sempre della Celeste nei Mondiali, ndr), amico dell'allenatore Julio Larrosa, gli disse: 'Dì al più piccolo di restare, so perché te lo dico'. Così dopo la partita sono venuti a parlarmi e ho accettato di giocare con il Progreso in cambio di una paga pari a quanto guadagnavo lavorando al Mercado Modelo. Lì è iniziata la mia carriera".
"Allenavo la finalizzazione e la tecnica tutta la settimana. In questo modo per me era tutto più facile. Andavo al Progreso mezz'ora prima, prendevo un pallone, iniziavo a padroneggiarlo, facevo con i miei compagni il lavoro indicato dal mister e dal preparatore atletico, e restavo da solo a lavorare alla rifinitura. E ho capito che funzionava. Alla fine del lavoro mi focalizzavo sull'area di rigore. Ogni volta a fine allenamento mi dedicavo alle velocità brevi: facevo scatti partendo da una posizione in piedi, da seduto, faccia in giù, faccia in su, a sinistra e a destra. E solo dopo aver fatto tutto questo andavo a farmi una doccia".

L'ingaggio di Victorino fa scoprire al calcio uruguayano un attaccante letale in area di rigore.

"Quell'anno mi laureai subito capocannoniere o vicecapocannoniere in Segunda División - racconta - ma il Progreso retrocesse in Tercera División".

STELLA MONDIALE CON IL NACIONAL E L'URUGUAY

Le sue performance realizzative portano Victorino al Rive Plate di Montevideo, in Primera División, nel 1975. Il classe 1952 continua a segnare tante reti, per lo più di rapina, e resta con i Darseneros fino al 1978.

Intanto il 9 giugno 1976 il Ct. della Celeste, José Maria Rodríguez, lo fa debuttare in Nazionale nella pesante sconfitta per 3-0 in amichevole contro l'Argentina. La carriera di Victorino appare dunque in grande ascesa ma nel 1977 il River Plate retrocede in Segunda División. Trascinata da Victorino, la squadra biancorossa fa però immediato ritorno in Primera División l'anno seguente.

L'attaccante, che nel frattempo è stato ribattezzato con il nomignolo di 'El Piscador', per la sua arte predatoria nell'area avversaria, compie allora il grande balzo: dopo aver declinato la proposta del Peñarol, accetta invece di trasferirsi nel 1979 al Nacional, la squadra per cui ha sempre fatto il tifo da bambino.

E il binomio fra 'El Piscador' ed 'El Decano' si rivela da subito vincente. Victorino vince infatti da subito il titolo di capocannoniere della Primera División uruguayana, e con 19 goal succede ad una leggenda del calcio orientale come Fernando Morena. Ma il meglio per l'attaccante, per citare Luciano Ligabue, deve ancora avvenire.

I suoi anni d'oro sono infatti il 1980 e il 1981, che lo vedranno trionfare da protagonista in ben quattro diverse competizioni (3 con il club, una in Nazionale). Nel 1980 il Nacional vince lo Scudetto precedendo in classifica i Wonderers, e successivamente la Copa Libertadores, superando nella doppia finale i brasiliani dell'Internacional de Porto Alegre.

Victorino è nuovamente il trascinatore della squadra: con 6 reti si laurea capocannoniere del torneo ed è un suo goal il 6 agosto 1980 a decidere la finale di ritorno allo Stadio Centenario, davanti a 65 mila spettatori in estasi, dopo lo 0-0 della partita di andata disputata all'Estadio Beira Rio di Porto Alegre. 'El Piscador' va a segno di testa in tuffo su cross dalla destra di Moreira.

Il Nacional diventa così per la seconda volta nella sua storia campione del Sudamerica e si guadagna il diritto a giocarsi la Coppa Intercontinentale contro i campioni d'Europa del Nottingham Forest di Brian Clough.

Alla fine del 1980 Victorino è così terzo alle spalle di Maradona e Zico nella classifica del Pallone d'Oro sudamericano, premio assegnato all'epoca dalla rivista venezuelana 'El Mundo' e formalmente noto come Calciatore sudamericano dell'anno.

La consacrazione definitiva arriva per lui con la maglia dell'Uruguay. Un po' a sorpresa, infatti, la Celeste vince il Mundialito o Coppa d'Oro dei Campioni del Mondo, un torneo a inviti per Nazionali che si disputa proprio nella Banda Oriental per celebrare il cinquantennale dei primi Mondiali di calcio. Vengono invitate a partecipare tutte le Nazionali vincitrici di un Mondiale fino a quel momento: accettano tutte, compresa l'Italia, fatta eccezione per la sola Inghilterra, al cui posto è chiamata l'Olanda. Ma a trionfare è appunto l'Uruguay, trascinato dal suo centravanti Waldemar Victorino.

La Nazionale di casa è inserita nel Gruppo A con Italia e Olanda. 'El Piscador' dopo aver 'timbrato' il cartellino nel 2-0 dell'esordio sugli Arancioni, si ripete contro gli Azzurri, che guidati dal Ct. Enzo Bearzot e privi di Paolo Rossi e Bruno Giordano, squalificati per le vicende del Totonero, si presentano con una rosa sperimentale.

Il 3 gennaio 1981 l'Uruguay passa al 67' su calcio di rigore generoso assegnato dall'arbitro spagnolo Guruceta e trasformato da Morales, poi raddoppia all'81' con il suo numero 9: su cross dalla destra di Ramos, l'attaccante del Nacional controlla di petto mandando a vuoto Collovati e da posizione defilata sulla sinistra dell'area trafigge Bordon con un diagonale vincente. In un clima da 'corrida' favorito da un arbitraggio permissivo verso i sudamericani, l'Italia chiuderà in 9 quella gara per effetto delle espulsioni di Cabrini, venendo così eliminata.

Ma 'El Piscador' si ripete anche nella finalissima del 10 gennaio 1981. L'avversario stavolta è il Brasile di Telé Santana, orfano sì di Zico, ma che annovera in squadra campioni come Oscar, Cerezo, Socrates e Junior. Dopo un primo tempo equilibrato terminato senza goal, Barrios la sblocca a inizio ripresa. I verdeoro trovano tuttavia l'1-1 grazie a Socrates, che trasforma con freddezza un calcio di rigore, e spingono alla ricerca della vittoria.

Proprio quando sembra che la rete della Seleçao debba arrivare da un momento all'altro, però, a dieci minuti dalla fine, su centro ancora una volta dalla destra di Ramos, Victorino si lancia di testa in tuffo e sotto misura trova il 2-1 battendo João Leite. Per l'Uruguay è il trionfo che celebra l'attaccante del Nacional, vincitore anche del titolo di capocannoniere del Mundialito, come eroe nazionale.

'El Piscador' chiude con quella gara la sua avventura con la Nazionale uruguayana, con la quale può vantare un bilancio complessivo di 15 reti segnate in 30 presenze. Un mese più tardi, nella prima edizione della Coppa Intercontinentale che si disputa in gara secca, l'11 febbraio 1981 allo Stadio Nazionale di Tokyo il Nacional supera 1-0 i Tricky Trees ancora una volta grazie ad un goal del suo bomber: al 10' su una palla bassa messa in area dalla destra da Moreira, il numero 9 controlla e con una forte botta di destro insacca sotto la traversa.

Per 'El Decano' è la seconda affermazione come club più forte del Mondo. Il goal e la bella prestazione valgono invece a 'El Piscador' anche la Toyota messa in palio dallo sponsor per esser stato votato miglior giocatore della Coppa Intercontinentale del 1980. Victorino è considerato in quel momento uno degli attaccanti più forti del panorama mondiale e il suo nome entra per sempre indelebilmente nella storia del Nacional e del calcio mondiale.

IL PASSAGGIO AL CAGLIARI NEL 1982

L'eroe calcistico dell'Uruguay nel 1981, dopo 42 reti in 52 presenze con il Nacional, fa una scelta un po' strana, e al culmine della sua carriera calcistica, passa al Deportivo Cali in Colombia, accettando un'importante offerta economica. Anche qui continua a mantenere una media-goal considerevole, ma dopo pochi mesi fa ritorno al suo Nacional.

In Italia intanto, dopo la riapertura delle frontiere, è esteso a due il numero di stranieri tesserabili dai club della penisola. È in quel momento che il presidente del Cagliari Alvaro Amarugi, desideroso di regalare al Cagliari due acquisti di grido dopo la faticosa salvezza del 1981/82, decide di piazzare l'affondo per 'El Piscador', che aveva visto un anno e mezzo prima far molto male all'Italia.

Per assicurarsi il bomber che fino a quel momento aveva segnato in carriera 320 goal, e sarà chiamato a sostituire Selvaggi, ceduto al Torino, si scomoda addirittura Gigi Riva, che vola in Uruguay per chiudere l'affare e portarlo in Sardegna. Assieme all'attaccante arriva anche 'Il Diamante nero' Júlio Cesar Uribe, considerato il terzo più grande campione del Sudamerica dopo Maradona e Zico.

I due colpi del Cagliari trovano il consenso degli esperti. Anche il Commissario tecnico dell'Italia campione del Mondo, Enzo Bearzot, indica i rossoblù fra le possibili rivelazioni del torneo 1982/83.

E lo stesso Victorino, approdato in Sardegna, promette grandi cose.

"Ho 30 anni e sono molto contento di avere l'opportunità di giocare gli ultimi anni in una squadra italiana - dichiara 'El Piscador' il 23 luglio 1982 a 'La Stampa' -. È un po' il coronamento dei miei sogni. Sono un attaccante, ma devo dire che amo molto partecipare anche alla preparazione delle azioni offensive. So, però, che al Cagliari serve essnzialmente un uomo-goal, e cercherò di adeguarmi al gioco della squadra. Di reti ne ho segnate tante, 320 nel corso della mia carriera. Con 19 goal ho vinto la classifica dei cannonieri del mio Paese. Con il Cagliari spero di segnarne almeno 12, è nelle mie possibilità".
"In questi giorni mi sono allenato con la mia vecchia compagine del Nacional - assicura - e se Giagnoni me lo chiedesse, sarei pronto a scendere in campo anche subito".

Dopo pochi giorni, però, in Sardegna iniziano a sorgere i primi malumori per una campagna di trasferimento considerata non all'altezza. Il primo a sollevarli è proprio il tecnico Giagnoni, seguito dai tifosi rossoblù. A fronte degli arrivi suggestivi di Victorino e Uribe, infatti, pesano le tante cessioni che smantellano la squadra.

Oltre al bomber Selvaggi, ceduto al Torino dopo i Mondiali di Spagna '82, salutano il portiere Corti, i difensori Logozzo e Longobucco e la bandiera Brugnera. A centrocampo Bellini è venduto alla Fiorentina vicecampione d’Italia, e partono anche Goretti, Osellame e Ravot. I nuovi arrivi sono quelli dei centrocampisti Marchetti e Rovellini dalla Pro Patria, del difensore Bogoni dalla Sambenedettese e del portiere Malizia dal Perugia, oltre a quelli di due giovani, Sacchi e Mazzarri.

La squadra presenta delle innegabile carenze. Su Victorino però ci sono pochi dubbi.

"Con lui sono tranquillo - assicura Giagnoni il 26 luglio a 'La Stampa' -, è un uomo che i goal li ha sempre fatti e quindi sono sicuro che non deluderà. Certo, dovrà funzionare tutta la squadra perché un uomo da solo, per forte che sia, non può determinare granché. Ed il Cagliari si baserà proprio sul collettivo, sulla manovra di tutta la squadra".

Mentre il diretto interessato, dopo i primi goal nelle amichevoli estive, la spara grossa.

"Voglio portare il Cagliari fra le prime quattro squadre del campionato", afferma l'11 agosto.

IL FLOP EPOCALE IN SERIE A

L'esordio assoluto in Coppa Italia del primo uruguayano della storia del Cagliari è inquietante. Victorino fa il suo debutto assoluto nel calcio italiano il 18 agosto 1982 in trasferta contro la Reggiana. E la partita lo vede fallire malamente un calcio di rigore concesso dall'arbitro e calciato malamente.

La gara sarà poi sospesa perché i tifosi locali, imbufaliti contro l’arbitro proprio per aver assegnato il rigore al Cagliari, lanciano oggetti in campo colpendo e ferendo il direttore di gara che non potrà proseguire l'incontro. Il Cagliari vince così a tavolino 2-0 ma quel rigore è il funesto presaggio di una stagione da dimenticare per Victorino e per la stessa squadra rossoblù.

I sardi riescono comunque a superare il primo turno di Coppa e Victorino 'timbra' due volte il cartellino: 'El Piscador' realizza il goal decisivo nell'1-2 con il Monza e la prima rete su rigore nel 2-2 con il Palermo.

Ma in campionato la musica cambia drasticamente. La squadra rimedia sconfitte su sconfitte e finisce in fondo alla classifica dopo le prime 8 giornate. Victorino debutta in Serie A il 12 settembre 1982, quando i rossoblù, in maglia bianca, vengono battuti 1-3 a domicilio al Sant'Elia dalla Roma di Liedholm, che si laureerà poi campione d'Italia.

Il match lo vede subito fare tanti errori davanti alla porta, alcuni clamorosi. Un goal 'El Piscador' lo fa pure, ma di mano, e viene così ammonito dall'arbitro. Non propriamente l'esordio che lui e i tifosi speravano. Seguono altre 9 prestazioni incolore con una caterva infinita di errori, che inducono anche il paziente Giagnoni, nonostante le pressioni di Amarugi, a metterlo fuori dai titolari.

"Oh 'El Piscador' - gli urla qualche tifoso inferocito -, perché non vai a pescare allo Stagno di Santa Gilla?".
"Considerata la sua fama di goleador di rapina - scrive il giornalista Paolo Piras nel libro 'Bravi e Camboni' - risultò impressionante soprattutto il suo tempismo: ovunque ci fosse una palla vagante, un cross insidioso, una sbavatura propizia dell'avversario, ecco, lì, sicuro come l'algebra, Victorino non c'era. Sembrava nascondersi dietro i marcatori. Letteralmente. Giagnoni si metteva le mani sulla zazzera quando lo vedeva sbracciarsi in campo, segnalandosi da solo, in realtà in fuorigioco di un paio di metri buoni".

La società deve tornare sul mercato, acquistando in autunno l'esperto difensore Vavassori, il centrocampista Danilo Pileggi e il giovane attaccante esterno Fabio Poli. Con i nuovi innesti e Victorino indolente e relegato in panchina, il Cagliari risale la china e si rilancia alla grande. Le vittorie in casa e i pareggi in trasferta fanno viaggiare addirittura la squadra di Giagnoni a ritmo Scudetto.

All'inizio del 1983, con un goal di Poli, il Cagliari batte l'Ascoli al Sant'Elia e balza al 7° posto. Ma la sconfitta a Roma, alla prima di ritorno, interrompe la striscia positiva e porta i rossoblù ad un nuovo preoccupante rallentamento. Proprio il match dell'Olimpico è anche l'ultimo disputato da Victorino in Serie A, con l'uruguayano che prende il posto di Poli negli ultimi 7 minuti. Dopo 10 apparizioni senza lo stralcio di un goal, per l'attaccante arrivano solo tribune e panchine.

Giagnoni lo schiera ad aprile nelle due gare degli ottavi di Coppa Italia contro il Milan, che vince entrambe le sfide, e li concede un'ultima chance in un'amichevole infrasettimanale contro l'Iglesias. Ad un certo punto la palla sta entrando in rete, ma Victorino, ormai in rotta di collisione con l'allenatore, la spedisce alle stelle. L'atto di ribellione è anche il verdetto definitivo sul suo futuro.

Intanto in Serie A le vittorie su Catanzaro (fuori casa) e Verona (in casa) sembrano tener fuori i rossoblù da sorprese negative, con 4 punti di vantaggio sulla terzultima. Invece il Cagliari perde a Napoli e pareggia in casa con il Cesena, rimettendo tutto in discussione.

Resta un punto da fare nelle ultime 2 gare della stagione con Juventus (in casa) e ad Ascoli. Ma la Vecchia Signora vince in rimonta al Sant'Elia con Boniek e Platini e la sfida del Del Duca diventa uno spareggio. L'Ascoli di Mazzone trionfa 2-0 e il Cagliari di Giagnoni retrocede clamorosamente in Serie B.

Per Victorino, inevitabilmente sul banco degli imputati, il futuro è già segnato. L'attaccante uruguayano, senza ripensamenti, a 31 anni appena compiuti viene ceduto agli argentini del Newell's Old Boys nell'estate 1983 per 100 milioni di Lire, ponendo fine alla sua incolore avventura italiana con 10 presenze senza reti in Serie A e 7 presenze e 2 centri in Coppa Italia.

LE LEGGENDE SUL SUO CONTO

Sull'incredibile flop di Victorino circolano da subito le più incredibili leggende metropolitane. In Sardegna molti sostengono che il Nacional avesse mandato un fratello somigliante a Waldemar e non l'attaccante ammirato negli anni precedenti.

Secondo un'altra leggenda, 'El Piscador' sarebbe stato molto più vecchio di quanto c'era scritto sul suo passaporto. Ad avallare questa tesi anche lo stesso tecnico Giagnoni, che un giorno, lamentandosi con Amarugi, gli disse:

"Ma presidente, quando mai questo qui ha 30 anni? Ne dimostra molti di più".

Alcuni raccontano che la casa in cui abitava con la famiglia sarebbe stata distrutta da una tempesta quando Waldemar aveva 10 anni, e che il padre, analfabeta, che era solito segnare con una tacca sul muro i vari compleanni dei figli, una volta trasferitosi in una nuova casa avesse ripreso a ricontargli da zero.

Leggende, appunto, che vanno viste come tali. La verità è che probabilmente, dietro al flop dell'attaccante di Montevideo, c'erano problemi fisici mai conclamati, oltre ad un difficile adattamento al calcio italiano. Era innegabile, inoltre, che 'El Piscador' avesse ormai intrapreso la fase discendente della sua carriera.

GLI ULTIMI ANNI

Mandato via in fretta e furia dall'isola, Waldemar riparte dal calcio argentino. Gioca prima con il Newell's Old Boys, poi con il Colón, senza entusiasmare. Passa quindi nel 1986 all'Audax Octubrino, in Ecuador, e nel 1987 approda alla LDU de Portovejo, dove improvvisamente si ritrova, laureandosi capocannoniere del campionato ecuadoriano.

Gioca ancora con il Club Deportivo America, poi approda in Venezuela al Maritimo de Caracas, con cui torna a calcare anche i campi della Copa Libertadores, per poi chiudere la sua carriera in Perù, dove milita con lo Sport Boys e il Defensor Lima, quando ha ormai 37 anni.

ISPIRATORE DI HOLLY E BENJI

Non tutti sanno che Waldemar Victorino, con la sua prestazione nella finale di Coppa Intercontinentale nel febbraio del 1981, ha ispirato anche un certo Yoichi Takahashi, che presente il giorno sulle tribune dello Stadio Nazionale di Tokyo, qualche anno dopo creerà il manga "Captain Tsubasa", noto in Italia come "Holly e Benji".

Il personaggio inventato dell'attaccante uruguayano Ruben Pablo Victorino sarà infatti ritagliato su quello reale di Waldemar, l'uomo partita di quella finale di Intercontinentale e giocatore simbolo della Celeste.

DOPO IL RITIRO E LA MORTE

Dopo il ritiro, Waldemar Victorino ha fatto il procuratore e l'imprenditore, decidendo infine di ritirarsi a vivere sulla collina, dove aveva trascorso la gioventù con la sua famiglia.

Questo fino al 29 agosto 2023, quando è venuto a mancare all’età di 71 anni. Ricoverato dopo un tentativo di suicidio, è risultato vano ogni tentativo di salvarlo a causa delle gravi lesioni riportate.

Con lui se ne è andato non solo una leggenda del calcio uruguaiano, ma anche un giocatore che, nonostante a Cagliari sia ricordato come la meteora ‘per eccellenza’, ha saputo conquistarsi un posto nel cuore dei tifosi rossoblù.

Un personaggio figlio di un calcio che non c’è più: uno di quelli che ha lasciato in eredità una di quelle storie che ai giorni d’oggi non si raccontano più.

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