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L'anno di Roberto Carlos in Italia: "distrutto da Hodgson", incompreso dall'Inter

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Lo sguardo sereno, un sorriso a trentadue denti, un orecchino in bella vista appeso al lobo sinistro. E un paio di parole, rigorosamente in portoghese, a predominare sulle altre: “felice” e “allegria”. I brasiliani, quelli che salutano con pollice e mignolo cercando di prendere solo il bello della vita, amano ripeterle spesso. E Roberto Carlos non fa eccezione. Il 27 agosto del 1995, del resto, non potrebbe essere più felice. Alla sua prima partita con l'Inter in Serie A, torneo che stoicamente resiste al primo posto nella classifica dei più belli del mondo, ha lasciato il segno. Una punizione maligna, una botta rasoterra, Mondini battuto, il neopromosso Vicenza superato per 1-0. San Siro in estasi per il nuovo arrivato.

“Ho segnato il mio primo goal a Milano e questo mi rende felice”, dice dopo la partita. E poi: “Ho regalato la maglia a Moratti, perché è una persona allegra e io sono come lui”. Tutto perfetto, all'apparenza. Ma in realtà non è una bella Inter. E non lo è da tempo. Quel pomeriggio di fine agosto si è imposta con tanta, tanta fatica. Ha rischiato di andare sotto e nel finale è stata graziata da un errore da due passi di “piedi a banana” Maurizio Rossi. Però ha vinto. Uno squarcio di luce a spezzare in due il cielo plumbeo che da parecchio soffoca la Milano nera e azzurra come una fitta coltre di pessimismo. E il merito è tutto di questo ragazzotto di 22 anni, brasiliano dello Stato di San Paolo, l'uomo nuovo del calcio sudamericano.

L'accoglienza dell'allenatore Ottavio Bianchi, in realtà, non è che sia delle migliori. Né verso di lui, né nei confronti di Javier Zanetti e Sebastian Rambert, coppia sbarcata a Milano dall'Argentina. Quando gli chiedono di questi volti nuovi arrivati dal Sudamerica, l'ex allenatore del Napoli di Maradona non va troppo per il sottile: “Non li conosco. Li ho visti qualche volta in tv, ma io la domenica lavoro in panchina, mica ho tempo di girare per visionare i giocatori”. Eppure Roberto Carlos un nome se l'è già fatto. Dopo gli esordi nel piccolo União São João ha fatto parte dello spaventoso Palmeiras di metà anni 90, quello irrorato dai denaro della Parmalat, con Edmundo, Rivaldo, Flavio Conceição, Mazinho, Evair, Zinho, Zago, Cesar Sampaio e compagna calciante.

Al Verdão, Roberto Carlos vince per due volte il campionato nazionale. A una forza fisica già impressionante abbina un sinistro di prim'ordine. Tanto che la Seleção lo convoca per la prima volta nel 1992, quando non ha ancora compiuto 19 anni. E lo porta alla Copa America dell'anno seguente, vinta dall'Argentina di Batistuta. Inevitabile che per uno così si aprano le porte dell'Europa. Lo vorrebbero in Premier League, ma l'Italia ha una corsia preferenziale. Parma e Parmalat, ricordate? Solo che Roberto Carlos non prende la via dell'Emilia: Scala ha già tre extracomunitari in rosa e lo spazio per un quarto non c'è. E così, al termine di una lunga trattativa con Callisto Tanzi se lo assicurano Massimo Moratti e l'Inter, più che disposti a sborsare 10 miliardi delle vecchie lire per portarlo a Milano.

Prima, però, c'è la Copa America. Trofeo che prende la via dell'Argentina, come detto. Ma in Ecuador Roberto Carlos, battuto ai rigori ai quarti assieme a tutto il Brasile dai futuri campioni, conferma tutto ciò che di buono si dice su di lui. Al termine della manifestazione, 'La Stampa' scrive che "è un esterno sinistro addirittura esplosivo: bene ha fatto l'Inter a scritturarlo. Con l'argentino Zanetti, costituirà una formidabile coppia d'incursori laterali”. E il diretto interessato si mostra ambizioso: “Voglio diventare il terzino sinistro più forte del mondo”.

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Roberto Carlos atterra a Milano a metà agosto. E meno di una settimana dopo debutta al Brianteo di Monza in amichevole. Finisce con un preoccupante 2-2 contro un avversario di Serie C, ma dopo un paio di minuti l'assist per il vantaggio di Ganz è proprio del brasiliano. Che però vede diminuire le attenzioni nei suoi confronti, perché processi e titoloni sono tutti per un'Inter che stenta terribilmente a ingranare. Non solo il pari in Brianza: la squadra di Bianchi si impone solo di misura a Venezia, perde con la neopromossa Udinese, viene fischiata dal pubblico di Livorno contro il PSV. Dopo lo 0-0 del Memorial Picchi contro gli olandesi, tramutato in vittoria ai rigori, anche Moratti sbotta:

“Il pubblico si merita di più. La sensazione è che siamo in ritardo. E arriverà anche il momento di essere più esigenti”.

Il primo mercato morattiano, dopo il passaggio di consegne della primavera precedente da Ernesto Pellegrini, è stato del resto piuttosto corposo. Sono arrivati Roberto Carlos, Zanetti e Rambert, i tre sudamericani che Bianchi non conosce. Ma anche Paul Ince, Benny Carbone, Maurizio Ganz, Totò Fresi. Non Roberto Baggio, sognato a lungo ma finito al Milan. E nemmeno Eric Cantona, rimasto al Manchester United. Ma le ambizioni, come sempre, sono alte. E altissimo è il rendimento del nuovo brasiliano, che segna al Vicenza, si ripete tre giorni più tardi a Venezia, in Coppa Italia, incastonando sotto l'incrocio il portentoso esterno sinistro della vittoria, e va in rete pure a Parma, alla seconda giornata di campionato, senza riuscire a evitare la rimonta ducale. Tre perle in tre partite di campionato. Bestiale.

I problemi, però, iniziano quasi subito. Per la squadra e per Roberto Carlos. In un paio di settimane, dal 10 al 24 settembre, la stagione nerazzurra va già a rotoli. La formazione di Bianchi perde al Tardini, pareggia a Piacenza e riperde a Napoli. E in mezzo si fa incredibilmente eliminare dalla Coppa UEFA per mano del piccolo Lugano. 1-1 all'andata, goal proprio di Roberto Carlos con l'ennesima sberla su punizione, e 0-1 a San Siro firmato Edo Carrasco. Nome che ancora oggi riecheggia sinistro nell'ambiente interista. Il portiere degli svizzeri, Philipp Walker, alla fine della partita di ritorno si esibisce in un sfogo divenuto storico:

“Vincere contro questi cafoni è il massimo. Sono miliardari e pensano di essere i migliori, ma anche noi siamo capaci di giocare”.

Dopo il ko in quella Napoli in cui è diventato re, Bianchi viene esonerato. Al suo posto arriva Roy Hodgson, prima in condivisione con la Nazionale svizzera e poi, da dicembre, in esclusiva. È la svolta, ma in negativo. Per Roberto Carlos cominciano i guai. Dopo Lugano si ripeterà anche contro il Torino, alla prima in panchina del traghettatore Luisito Suarez, ma qualcuno inizia a storcere il naso: ok, bravo, nella metà campo avversaria è un iradiddio, ma quando deve difendere, insomma...

Hodgson la pensa allo stesso modo. Immediatamente giudica Roberto Carlos tatticamente indisciplinato. Un terzino di spinta bravo solo ad offendere, ma allergico ai dettami tattici che il calcio italiano impone. A sinistra l'inglese ha già il cavallo Felice Centofanti, futuro inviato di 'Striscia la Notizia', che però racimola solo qualche spezzone. E nel mercato di novembre ottiene l'acquisto dal Vicenza, per un miliardo di lire, di Alessandro Pistone. L'altro protagonista, anche se secondario, della vicenda. Perché è proprio il suo arrivo a indurre il tecnico a cambiare: l'ex biancorosso nei quattro di difesa, il sudamericano qualche metro più avanti.

Il 3 dicembre, a dire il vero, i due giocano contemporaneamente dall'inizio contro la Cremonese, ma l'ex vicentino adattato a destra e Carlos a sinistra. Un mese dopo, nella prima uscita nerazzurra del 1996, Hodgson cambia: a Bari Roberto Carlos fa l'esterno alto e Pistone il terzino. L'Inter naufraga sotto i colpi dei pugliesi (4-1), anche se il momentaneo 0-1 è proprio del brasiliano (di destro!). Ma l'esperimento di Hodgson non funziona. Roberto Carlos, in quella posizione, non può proprio starci. Si sente un leone in gabbia, bloccato in un fazzoletto verde senza poter sprigionare la propria potenza in campo aperto. Si adatta, a volte è tra i migliori in campo, ma lo fa controvoglia. Fino alla fine della stagione andrà a segno solo un'altra volta, il 24 marzo, ancora su punizione, aiutando l'Inter a espugnare Udine.

“All'Inter mi hanno messo a giocare anche in attacco – ha ricordato Roberto Carlos alla FIFA qualche tempo fa – Nelle prime partite ho segnato molto, così mi hanno spostato più avanti. E lì soffrivo parecchio. Ho parlato col presidente per dirgli che non potevo giocare lì: io dovevo fare il terzino”.

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Gli attriti non mancano. Anche pubblici. Roberto Carlos lascia l'Italia prima di Natale “perché sono stanco, gioco male e penso a Giovanna, la mia seconda figlia nata a San Paolo un mese fa”. Senza di lui, i compagni travolgono per 4-0 il Cagliari. A febbraio viene convocato dalla Seleção Olimpica e salta altre tre partite. Man mano che la stagione sta lentamente scivolando verso la conclusione, il terzino sinistro col sogno di diventare “il più forte del mondo” inizia mentalmente a preparare le valigie. Il più forte del mondo, pensa, è meglio diventarlo da un'altra parte.

“È stato lui a volersene andare – ha raccontato Pistone – La società ha deciso di lasciarlo andare, non è giusto e nemmeno sensato trattenere un giocatore che non vuole rimanere. Roberto Carlos era un fenomeno, ma la società ha preso quella scelta".

L'ultima recita è quanto di più lontano ci possa essere dall'allegria sbandierata all'inizio della stagione. Stadio Olimpico, 12 maggio '96, Roma-Inter. È praticamente uno spareggio per andare in Coppa UEFA. Lo vincono i giallorossi di Carlo Mazzone, all'ultima in panchina prima di lasciare il testimone a Carlos Bianchi: 1-0, rigore vincente di Gigi Di Biagio. Roberto Carlos gioca dall'inizio, ancora una volta a centrocampo davanti a Pistone. Ma la sua gara dura solo 68 minuti: dopo un fallo di Ince su Totti si scatena un parapiglia in cui il protagonista è proprio lui, tenuto a forza da Pagliuca. Risultato: l'arbitro Cesari estrae il cartellino rosso verso il brasiliano e verso il giallorosso Statuto.

È l'ultima apparizione di Roberto Carlos con la maglia dell'Inter. I nerazzurri chiudono a un anonimo settimo posto, staccati di 19 punti dal Milan campione e fuori anche dalla Coppa UEFA. Vi rientreranno solo grazie al trionfo in Champions League della Juventus, che libererà un ulteriore slot per le italiane. E nella stagione successiva arriveranno fino in fondo, perdendo ai calci di rigore contro lo Schalke 04 nella notte della celebre lite tra Javier Zanetti e Roy Hodgson.

Il 21 maggio del '97, mentre San Siro assiste attonito e impotente alla festa dei tedeschi, Roberto Carlos, naturalmente, non c'è. E con ogni probabilità non sta nemmeno guardando la partita in televisione. Deciso più che mai a disintossicarsi dall'Inter, da Hodgson, dalla presenza ingombrante di Pistone. E felice a Madrid, al Real. Un trasferimento consumatosi nell'estate precedente, al termine dell'unica stagione in Italia. L'allenatore è Fabio Capello, appena arrivato dal Milan. Appena gli giunge la notizia che l'Inter ha messo Roberto Carlos sul mercato, quasi cade dalla sedia.

“Appena arrivato a Madrid mi chiamò un procuratore per dirmi che l’Inter voleva cedere Roberto Carlos – ha raccontato l'ex allenatore a 'Fox Sports' – Non ci credevo. Mi feci mandare un fax per avere l'ufficialità della sua cessione. Chiamai subito il presidente per dirgli che il giorno dopo doveva precipitarsi per chiudere l’affare. Credo sia stato l’acquisto più veloce di sempre''.

Il resto è storia. A Madrid, Roberto Carlos vince di tutto e di più. Quattro volte il campionato spagnolo, tre la Champions League. Più i Mondiali del 2002. Più il secondo posto nella classifica del Pallone d'Oro nello stesso anno. Un palmarès bulimico. I rimpianti interisti, in pratica, nascono nello stesso momento in cui il brasiliano firma il contratto che lo lega al Real. E aumentano di anno in anno, di stagione in stagione, complice la maledizione del terzino sinistro che si protrarrà per un decennio buono. E Roberto Carlos non fa nulla per alleviarli, quei rimpianti.

“La permanenza di Hodgson all’Inter mi ha distrutto – ha detto nel 2017 a 'Planet Football' – Mi ha fatto giocare a centrocampo e dovevo considerare che c’era la possibilità che questo potesse rovinare la mia carriera internazionale. Sarebbe ingiusto dire che non avevo un buon rapporto con Hodgson, è solo che non capiva molto di calcio. Capello era diverso e sono andato al Real per lui”.

Quando si ascolta l'altra campana, ovvero zio Roy, l'opinione che ne esce è diametralmente opposta. Lo scorso ottobre 'The Italian Football Podcast' ha avuto ospite proprio lui, Hodgson. E tra gli argomenti trattati, naturalmente, c'era anche l'incredibile vicenda Roberto Carlos. L'ex allenatore nerazzurro si è difeso come ha potuto, con veemenza ma, forse, con poca convinzione.

“La convinzione secondo cui Roberto Carlos con me giocasse fuori posizione è una sciocchezza. Ha giocato da terzino più con me che con qualunque altro allenatore […] Era un terzino offensivo, si trovava a proprio agio più avanti. Non avevamo un cattivo rapporto. Però quando è andato via, ovviamente, è scoppiato l'inferno. Lo abbiamo lasciato andare perché il nuovo amministratore delegato dell'Inter voleva ridurre le spese e iniettare un po' di soldi nelle casse del club. Roberto Carlos era tra i cedibili, e così è stato ceduto”.

Breve salto in avanti di qualche anno. 21 marzo 1999. Il disoccupato Hodgson è al Delle Alpi di Torino per seguire Juventus-Roma e viene raggiunto dall'inviato di 'Telenova', che gli piazza un paio di cuffie in testa per comunicare con lo studio. Dove è presente Maurizio Mosca. Che prende la parola e, senza peli sulla lingua, lo definisce “la prima rovina dell'Inter”, chiedendogli “perché abbia fatto mandare via Roberto Carlos”. Hodgson sorride, non risponde, si toglie le cuffie e se ne va. Tornerà all'Inter meno di due mesi dopo, per chiudere (male) la disastrosa e celeberrima stagione dei quattro allenatori. Sei partite, due vittorie, quattro sconfitte, lo spareggio per l'Intertoto perso contro il Bologna. Proprio mentre Roberto Carlos ha concretizzato altrove il proprio proposito: è diventato davvero il terzino più forte del mondo.

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