"A cosa ti serve ballare?", gli chiedevano gli amici. "Non lo so, - rispondeva loro - non lo so di preciso. Di certo a voi non serve a niente non farlo". - Dialogo fra Vladimir Beara e gli amici, da 'Footballslavia' di Danilo Crepaldi
È considerato il portiere più forte che la Jugoslavia abbia mai avuto, nonché il migliore al Mondo dal Dopoguerra alla prima metà degli anni Sessanta del secolo scorso insieme al sovietico Lev Jascin. Vladimir Beara è stato una leggenda nel suo ruolo, per la classe e l'unicità del modo in cui lo interpretava.
Elastico e in possesso di notevole agilità, qualità che gli avevano lasciato in dote le lezioni di danza in età giovanile, aveva anche una sorprendente capacità nel bloccare il pallone e sapeva neutralizzare con parate plastiche anche le conclusioni più difficili. Per queste qualità sarà soprannominato 'Balerina sa celicnim sakama', ovvero 'Il Ballerino dalle mani d'acciaio'.
Non amava le barriere, e per questo sui calci di punizione non le metteva quasi mai. Sosteneva che non gli permettevano di vedere partire il pallone e che davano un riferimento a chi calciava. "Meglio senza", replicava a chi gli domandava il motivo. E non cambierà mai idea.
La carriera da professionista lo vedrà affermarsi con l'Hajduk di Spalato, con cui vincerà tre titoli jugoslavi, e poi trasferirsi alla titolata Stella Rossa di Belgrado, fra le polemiche dei suoi vecchi tifosi croati, che non gli perdoneranno mai il presunto 'tradimento', nonostante di fatto Beara non potesse sottrarsi al trasferimento. Nella capitale della Repubblica Socialista Federale arricchirà il suo palmarès con altri 4 Scudetti, 2 Coppe nazionali e una Mitropa Cup che in quegli anni valeva un po' come la Champions.
Per l'ostracismo dei tifosi croati, andrà a chiudere la carriera in Germania, giocando prima con l'Alemannia Aachen, poi con il Viktoria di Colonia. Ma le imprese più grandi le compie con la Nazionale jugoslavia, con cui conquista l'argento olimpico ad Helsinki nel 1952 dopo 'La partita del secolo' contro l'Unione Sovietica e precedentemente nel 1950 si era reso protagonista della celebre gara di Highbury contro l'Inghilterra. Beara prende parte inoltre a due Mondiali, giocando le edizioni del 1954 e del 1958, ed è convocato anche in quelli del 1950.
Appesi i guanti al chiodo, intraprenderà la carriera da allenatore, facendo esperienze in Germania, Jugoslavia e Austria, ma soprattutto guidando dal 1973 al 1975 la Nazionale del Camerun. Durante gli anni in Africa formerà e lancerà Thomas N'Kono, uno dei più grandi portieri che il continente nero abbia mai espresso, nonché grande idolo di Gigi Buffon.
DA BALLERINO A PORTIERE DELL'HAJDUK
Vladimir Beara nasce a Zelovo, cittadina in prossimità di Sinj, nell’attuale Croazia, il 2 novembre 1928, da genitori, papà Jakov e mamma Marija, di etnia serba. È ancora un neonato quando Alessandro I, sovrano del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni, assume su di sé pieni poteri e crea il Regno di Jugoslavia.
Trascorre quindi la sua infanzia e l'adolescenza in un'epoca storica caratterizzata invasioni, devastazioni e bombardamenti, che portano ad un ritorno agli Stati nazionali dal 1941 al 1945, finché con la conclusione della Seconda Guerra Mondiale nasce la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, guidata dal Maresciallo Tito. Nonostante il contesto non certo semplice, Vladimir manifesta proprio negli anni della gioventù una passione non comune, quella per la danza classica. Prende lezioni e sogna di esibirsi un giorno nel celebre 'Teatro Bolshoi' di Mosca.
Oltre alla danza, però, al giovane Beara piace anche il calcio. Va spesso allo stadio di Spalato per vedere l'Hajduk, anche se in quegli anni non vince un campionato da circa vent'anni. La sera, prima di addormentarsi, ascolta le storie dei goal segnati da Ljubo Bencic e Leo Lemesic. A Zelovo, la cittadina cui sono legate le sue origini, dove i vecchi lavorano il legno per trasformarlo in pipe, del resto, non c'è un'anima che non tifi Hajduk.
In quel contesto Vladimir impara ad amare la maglia biancazzurra e si presenta spesso con i suoi amici a seguire gli allenamenti dei suoi beniamini. Finché un giorno, all'età di 19 anni, la sua vita prende una svolta inaspettata. Il suo idolo è Frane Matosic, attaccante che nel 1942/43 aveva giocato in Serie A con il Bologna per poi tornare in patria nel Dopoguerra. Quel giorno del 1947, come sempre, Vladimir e gli amici si accomodano in tribuna per ammirarlo.
Ma ad un certo punto quelli dell'Hajduk decidono di esercitarsi sui calci di rigore e sorge un problema non da poco: non si sa bene perché, la squadra è in quel momento senza portieri. Come racconta Danilo Crepaldi in 'Footballslavia', vista la situazione uno dei dirigenti inizia a parlottare con l'allenatore e con la testa bassa si incammina verso la tribuna, chiedendo ai tifosi che assistono all'allenamento:
"C'è qualcuno che se la sente di andare in porta?".
Vladimir, che fino ad allora a calcio non aveva mai giocato ma aveva imparato a ballare, convinto che danzare con i piedi facesse danzare anche la mente, solleva la mano prima di tutti gli altri.
"Vengo io", dice con una sicurezza sorprendente.
Beara va in campo divertito e facendo strabuzzare gli occhi ai presenti, e in particolare ai tecnici della squadra croata, si esibisce fra i pali in una serie di interventi prodigiosi. Il resto accade tutto molto rapidamente: l'Hajduk gli offre un contratto da calciatore professionista e dopo alcuni mesi di apprendistato Vladimir diventail portiere titolare, scalzandoBranko Stintic. Nasce così la storia e la leggenda del 'Ballerino dalle mani d'acciaio'.
Gioca in squadra con il suo idolo Matosic e con Bernard Vukas, e resta all'Hajduk 8 anni, fino al novembre 1955, conquistando tre titoli di Jugoslavia e interrompendo il lungo digiuno del club croato. Il suo primo allenatore, Luka 'Barba' Kaliterna, suo primo tecnico all’Hajduk, lo sottopone ad allenamenti al limite della fantascienza per migliorarne ulteriormente le qualità di presa: lancia a Beara una pallina da baseball che lui deve cercare di bloccare
Sul piano dei risultati, dopo un terzo posto nel 1948/49, il primo trionfo, arrivato nel 1950, gli vale la convocazione nella Nazionale Jugoslava ai Mondiali del 1950 in Brasile. Il portiere croato si ripeterà nel 1952 e nel 1954/55, diventando un mito del club di Spalato, amatissimo dai tifosi.
LEGGENDA DELLA JUGOSLAVIA: L'ARGENTO OLIMPICO E I MONDIALI
Ai Mondiali del 1950 Beara è aggregato alla rosa della Nazionale Jugoslava come riserva del titolareSrdan Mrkusic, estremo difensore della Stella Rossa. I plavi si comportano bene, e ottengono 2 vittorie contro Svizzera (3-0) e Messico (4-1), perdendo poi la terza gara con il Brasile padrone di casa (2-0 per i verdeoro) e venendo così eliminati.
Mrkusic disputa un buon Mondiale ma nel giro di qualche mese Beara gli toglie il posto da titolare e induce il trentacinquenne collega a pensare agli studi e a laurearsi in Scienze Forestali. Vladimir, invece, alimenta il suo mito il 22 novembre del 1950. Una data che passerà alla storia per la sfida amichevole disputata ad Highbury, casa londinese dell'Arsenal, fra l'Inghilterra e la Jugoslavia.
Inutile dire che 'I Maestri' inglesi sono i grandi favoriti e dovrebbero sulla carta travolgere i plavi. Ma sulla loro strada trovano un Beara super, che li nega tanti goal agli inglesi e compie tanti interventi spettacolari: su tutti la respinta a mani aperte a tempo ormai scaduto su conclusione dell'ala Hancocks, salvataggio che consente agli jugoslavi di mantenere il risultato di parità sul 2-2 maturato fino a quel momento in campo.
Il giorno seguente le prime pagine dei tabloid londinesi sono tutte dedicate al 'portiere ballerino', che in patria molti iniziano a chiamare anche 'Il Grande Beara'. Due anni dopo la partita di Highbury, è uno dei punti di forza della Jugoslavia olimpica che affronta le Olimpiadi calcistiche di Helsinki.
Con lui in squadra ci sono uno zoccolo duro di giocatori della Stella Rossa Belgrado, alcuni preziosi innesti da Partizan, Dinamo Zagabria e Hajduk, e un giocatore del Vojvodina di Novi Sad:un certo Vujadin Boskov, di cui si sentirà tanto parlare anche in Italia.
Travolta l'India ai sedicesimi (10-1) i plavi pescano l'Unione Sovietica agli ottavi. L'URSS, dopo anni di isolamento sportivo, era entrato a far parte dell'UEFA, della FIFA e del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, e teneva in modo particolare a quella partita, che interpreta con la volontà ferrea di punire 'i ribelli' jugoslavi di Tito, reo, per gli alti dirigenti del Partito Comunista sovietico, di aver intrapreso una strada politica 'indipendente' dalle direttive di Mosca e accusato di servilismo nei confronti dell'Imperialismo occidentale.
L' ordine perentorio dato da Stalin e Berija, il capo del famigerato NKV, che in seguito diventerà KGB, era quello di trionfare in tutte le competizioni, per dimostrare la superiorità dello sport socialista sovietico. Sta di fatto che il 20 luglio 1952 le due squadre scendono in campo l'un contro l'altra allo Stadio di Tampere.
Alla vigilia della partita i giocatori sovietici vengono caricati da pressioni molto forti. Inizialmente l'URSS prende il pallino del gioco e costringe Beara ad una prima grande parata su Bobrov nel primo quarto d'ora di gara. Poi la Jugoslavia reagisce e al 29' passa in vantaggio con un guizzo di Rajko Mitic, l'attaccante cui sarà dedicato lo Stadio della Stella Rossa.
L'URSS è sorpreso e viene travolto: prima Bobek, leggenda del Partizan Belgrado, firma il 2-0, poi allo scadere della prima frazione il suo compagno di squadra Branko Zebec cala addirittura il tris. 'La Partita del secolo', come la chiameranno i tifosi jugoslavi, sembra definitivamente chiusa a inizio ripresa, quando Ognijanov firma anche il goal del poker. 4-0 contro il potente URSS, che dato per spacciato, tuttavia grazie all'atletismo dei suoi giocatori è protagonista di un'entusiasmante rimonta.
Al 53' Bobrov, il centravanti sovietico, con una fiammata accorcia le distanze battendo Beara. Sei minuti dopo, però, ancora Zebec porta il risultato sull'1-5 per i plavi. Trofimov (77') e lo scatenato centravanti sovietico Bobrov con 2 goal in zona Cesarini che gli valgono il tris personale fissa il punteggio sul 5-4 per gli ospiti. Quasi allo scadere, Petrov va in goal e fissa il risultato finale dei tempi regolamentari sul 5-5. Si va ai supplementari ma il risultato non cambia, anche perché Beara è miracoloso su un tiro da distanza ravvicinata di Nikolaev.
In base al regolamento dell'epoca la partita deve essere ripetuta due giorni più tardi. Il Ct. sovietico Boris Arkadiev sottopone i suoi giocatori all'indomani della prima sfida ad allenamenti pesanti, inoltre cede alle pressioni di Mosca e toglie dall'undici titolare Marjutin, centrocampista dello Spartak prezioso per gli equilibri della squadra, e di inserire al suo posto il georgiano Cukaseli. Stalin, come se non bastasse, fa pervenire nel ritiro della squadra minacce pesanti in caso di mancata qualificazione ai quarti di finale.
In casa Jugoslavia, al contrario, le ore della vigilia scorrono all'insegna della grande tranquillità. Alle 19 del 22 luglio 1952 URSS e Jugoslavia scendono in campo a Tampere una seconda volta per decidere chi potrà proseguire il proprio sogno olimpico. I sovietici partono forte e al 6' Bobrov, autore di una splendida discesa personale, infila Beara.
L'URSS pensa che sia tutto facile e commette un grave errore: le gambe dei giocatori di Arkadiev appaiono appesantite dai duri allenamenti, Cukaseli è un pesce fuor d'acqua nel centrocampo sovietico, mentre i plavi sembrano danzare in campo e al 19' Mitic firma il pareggio su assist di Zebec.
Un fallo di mani in area di Basaskin induce l'arbitro Ellis a concedere un calcio di rigore per la Jugoslavia, trasformato con freddezza da Bobek. I plavi completano l'opera al 54', con l'azione personale di Cajkovski che vale il 3-1. Beara blinda la sua porta e il 3-1 della Jugoslavia, che accede così ai quarti di finale delle Olimpiadi, passa alla storia.
Il cammino dei plavi prosegue con un altro 3-1 nei quarti di finale sulla Germania Ovest, che dà loro l'accesso alla finalissima, da giocare il 2 agosto 1952 allo Stadio Olimpico di Helsinki. L'avversario della Jugoslavia è niente meno che quella che diventerà l'Aranycsapat, ovvero 'La squadra d'oro', l'Ungheria di Ferenc Puskas. La corazzata magiara infrange i sogni olimpici di Beara e compagni, vincendo 2-0 con i goal nel finale di Puskas e Czibor.
La Jugoslavia deve 'accontentarsi' di una storica medaglia d'argento. Per Beara anche la soddisfazione di aver neutralizzato un rigore di Puskas nel primo tempo, un evento più unico che raro nella carriera di grandi successi del 'Colonnello'. Le prestazioni del portiere croato non passano inosservate e il il 21 ottobre 1953 è convocato a Wembley per Inghilterra-Resto d'Europa, partita organizzata per celebrare i 90 anni della “Football Association”. Ad inizio ripresa rileva l’austriaco Zeman e, dopo aver subito la rete del provvisorio 3-3 da Mullen, difende il nuovo vantaggio dei rappresentanti del vecchio Continente siglato al 63’ da Kubala, sino al 90’, quando un generoso rigore concesso ai padroni di casa e trasformato da Ramsey non sancisce il pareggio per 4-4. In quella gara è compagno di squadra di Giampiero Boniperti, autore di una doppietta.
Nel 1954 Beara disputa da titolare i suoi primi Mondiali in terra svizzera, facendo una gran bella figura. I plavi superano 1-0 la Francia all'esordio, poi impongono sorprendentemente il pareggio per 1-1 al Brasile. In questa gara passa alla storia la parata in uscita sui piedi di Baltazar, ma Vladimir è in stato di grazia e blocca praticamente tutto, tranne un missile di Didì che si insacca all'incrocio dei pali.
Il successivo 3-2 ai danni del Messico fa qualificare i plavi ai quarti di finale. Come in Finlandia, anche in Svizzera fra i sogni di gloria della Jugoslavia ci si frappone la Germania Occidentale di Fritz Walter ed Helmuth Rahn. Proprio quest'ultimo, dopo un autogoal di Horvat nei minuti iniziali, fissa nei minuti finali il punteggio sul 2-2. La Jugoslavia di Beara è fuori, anche se a testa alta.
Nel 1958, alla soglia dei 30 anni, il forte portiere croato disputa in Svezia il suo secondo Mondiale da titolare. Con 2 pareggi ed una vittoria sulla Francia, la Jugoslavia si qualifica ai quarti, dove pesca però, ancora una volta, la bestia nera Germania Ovest. E anche stavolta finirà allo stesso modo della precedente, con i tedeschi dell'Ovest che si impongono 1-0 sui plavi con goal nuovamente di Rahn. Il 'Portiere ballerino' chiuderà la sua avventura da portiere della Jugoslavia solo nel 1959, ormai trentenne, dopo aver collezionato 59 presenze e 77 goal subiti in 9 anni di militanza.
L'ultima partita con la Jugoslavia la gioca il 11 ottobre 1959 a Belgrado contro l'Ungheria, sostituito ad inizio ripresa da Milutin Soskic, estremo difensore del Partizan Belgrado. La gara termina 4-2 in favore dei magiari.
IL PASSAGGIO ALLA STELLA ROSSA E L'APPRODO IN GERMANIA
A livello di club la sua carriera è segnata nel 1955 dal trasferimento alla Stella Rossa Belgrado, in sostituzione ancora una volta di Mrkusic, che ha già superato i 40 anni. Il primo anno fa da riserva a Mrkusic e contribuisce marginalmente alla conquista del titolo jugoslavo, ma il secondo scalza il suo rivale e diventa il titolare indiscusso, conquistando altre tre volte il titolo jugoslavo da protagonista (1956/57, 1957/58, 1959/60) e 2 volte la Coppa Nazionale (1957/58 e 1958/59). L'anno d'oro è il 1958, quando Beara, con la vittoria anche della Mitropa Cup, coglie un bellissimo 'Treble'.
Le polemiche generate dal suo trasferimento a Belgrado, portano Beara a guardarsi intorno per il suo futuro calcistico. Il sogno è l'Italia, ma la Federcalcio jugoslava non gli concede il nulla osta per approdare in Serie A. Solo nel 1962, dopo aver compiuto 32 anni, arriva l'atteso documento e il portiere sceglie di approdare in Germania Ovest, dove milita prima nell'Alemannia Aachen, successivamente nel Viktoria di Colonia, club con il quale il mitico portiere jugoslavo chiude nel 1965, a 36 anni, la sua leggendaria carriera.
Nel 1963, quando Lev Jascin riceverà 'Il Pallone d'Oro', dichiarerà:
"Voi premiate me, ma se c'è un portiere da premiare, questo è Vladimir Beara, il miglior portiere al Mondo" .
BEARA ALLENATORE: MAESTRO DI N'KONO AL CAMERUN
Appesi i guanti al chiodo, Vladimir Beara intraprende la carriera da tecnico. Inizia la sua seconda vita sportiva proprio in Germania Federale, dopo aver frequentato un corso da allenatore all'Università dello Sport di Colonia. Allena il Friburgo FC e poi diventa un tecnico giramondo, facendo esperienze in Germania Ovest, Olanda e Austria.
In mezzo una nuova esperienza, da vice-allenatore, all'Hajduk, come secondo di Slavko Lustica dal 1970 al 1972. La squadra croata vince l'edizione 1970/71 del campionato jugoslavo, titolo che mancava nella bacheca del club dal 1955, quando proprio Beara l'aveva guidato al terzo trionfo nel giro di pochi anni.
Ma 'Il Portiere ballerino' legherà il suo nome anche al Continente africano, visto che, conclusa l'esperienza con l'Hajduk, dal 1973 al 1975 veste i panni di Commissario tecnico del Camerun. Qui si ritrova fra le mani un diamante grezzo, un certo Thomas N'Kono, allena il giovane estremo difensore e gli insegna tutti i segreti che un grande portiere deve avere.
N'Kono impara dal suo maestro e diventerà uno dei più grandi portieri di sempre del calcio africano, tanto da rappresentare l'idolo assoluto di Gianluigi Buffon. Beara allenerà fino al 1987, per poi lasciare il Mondo del calcio.
È morto l'11 agosto 2014, a tre mesi dal compimento degli 86 anni, dopo aver assistito alla tragedia della Guerra civile nei Balcani. Proprio per questioni etniche (le origini serbe dei suoi genitori) non gli è stata concessa la sepoltura nella sua Spalato, come lui avrebbe voluto. Lui che tanto aveva fatto per l'Hajduk, da giocatore prima e da tecnico poi.
Ma la leggenda del 'Portiere ballerino' e le sue parate restano immortali, come l'importanza da lui avuta nella storia del calcio jugoslavo e Mondiale. Quando era all'apice della popolarità, a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, nell'ex Jugoslavia circolava una nota barzelletta indicatrice della sua grandezza.
"Un bambino si presenta da Tito e gli chiede due autografi. Il maresciallo tira fuori la penna dalla tasca e subito glieli firma, orgoglioso, sorridente. Ma la curiosità è forte e vuole capire perché due autografi e domanda: 'Perché proprio due autografi?'. Allora il piccolo risponde: 'Perché per due tuoi autografi me ne danno uno di Beara' ".
