Thiago Silva gfxGoal/Getty

Il primo Thiago Silva: dall'incubo tubercolosi al boom col Fluminense

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Il ricordo triste si fa strada nella testa di Thiago Silva. Di nuovo. Come un mantra. Anche quando il contesto è talmente felice, e nell'ultimo decennio effettivamente lo è stato, che le cose brutte dovrebbero essere già state spazzate via da un pezzo. Ma Thiago quel ricordo triste non riesce proprio a cancellarlo. È sempre lì, come un velo scuro, a rammentargli che prima del sole c'era stata la tempesta, e la tempesta aveva rischiato di cambiare tutto. Per sempre.

L'ultima volta che Thiago Silva si è sentito in obbligo di sputar fuori dalla mente quel ricordo triste è stata a fine maggio 2021. Il centrale del Chelsea ha appena conquistato la Champions League. Dalla panchina, per colpa di quell'infortunio che lo ha messo ben presto fuori gioco in finale. Ma da protagonista. Alla faccia del Paris Saint-Germain che non ha creduto in lui, che lo ha considerato troppo anziano per meritarsi un rinnovo di contratto. Però non è nei confronti del PSG che il brasiliano ha speso parole di rivincita. Perché quell'esperienza in Francia l'ha inserita nello scaffale dei ricordi felici. Non è lì che ha lasciato scorrere le vere lacrime amare della propria vita.

“Uno dei momenti più difficili che abbia mai vissuto”, l'ha definito Thiago a Oporto. Con la mente che, di nuovo, tornava indietro di una quindicina d'anni. Al proprio inferno personale, vissuto in piccola parte proprio in quella città, in quello stadio, dove ora si godeva l'ebbrezza di conquistare l'Europa. Si era riscoperto malato. La tubercolosi aveva rischiato di spezzare in due la sua carriera. Ma anche, e soprattutto, la sua vita. Lo ha raccontato più volte, quasi per auto-ammonirsi, per non dimenticare. Per lasciare che quel tassello della propria esistenza, ormai divenuto granello di polvere, gli ricordi che cosa stava rischiando di perdere e che cos'avrebbe guadagnato negli anni a venire.

L'anno fatidico è il 2005. Thiago Silva è un signor nessuno. Le delusioni incassate in giovane età ne hanno già minato l'animo. Qualche anno prima il Fluminense, la sua squadra del cuore, l'ha scartato dalle giovanili senza troppi complimenti. E lo stesso è accaduto col Botafogo. E pure con il Flamengo. Un provino, un paio di allenamenti, il foglio di via rossonero. Per due volte. “Puoi andartene, non sei più forte dei ragazzi che abbiamo qui". Una sentenza. La tentazione di smettere è stata forte. Thiago si è dovuto rimboccare le maniche, prendere la rincorsa, ripartire dal basso. Dal Barcellona di Rio, non della Catalogna. E poi dall'RS Brasil, piccolo club del Rio Grande do Sul che oggi si chiama Pedrabranca.

A notarlo nel 2004 è stato lo Juventude, altro club gaúcho. Lo ha preso, lo ha definitivamente trasformato da centrocampista a centrale difensivo, ne ha fatto un perno. La sua carriera ha finalmente preso il volo. Tanto che il Porto, che ha appena alzato la Champions League, nel settembre del 2004 decide di portarlo in Europa in cambio di due milioni e mezzo di euro. In quello stesso stadio, il Do Dragão, 17 anni più tardi Thiago verserà lacrime di gioia. Ma quando approda in Portogallo, si appresta a vivere l'inizio di un incubo.

Thiago Silva non gioca mai con la prima squadra. Solo con il Porto B. “Avevamo già Ricardo Carvalho, Jorge Costa, Pedro Emanuel – ha ricordato l'ex Costinha a Goal – Per cui è stato mandato alla squadra B. Credo che all'epoca non fosse ancora pronto per giocare ad alti livelli”. Ma è fuori dal campo che iniziano a manifestarsi i primi sintomi di un malessere fisico. Il brasiliano accusa costanti dolori al petto, fatica a respirare. Si reca in ospedale, ma dalle diagnosi non emerge nulla di significativo.

“Ricordo che una volta Thiago era tornato in Brasile in ferie – ha ricordato a 'SporTv' la moglie Isabelle, che ai tempi era la sua fidanzata – Tossiva, tossiva. Mia madre gli disse di prendere una una medicina, lui rispose che l'aveva già presa, ma quella tosse non passava”.

Così, Thiago Silva continua a giocare. Ma non più in Portogallo. A prelevarlo è la Dinamo Mosca. In prestito, ma pagandogli interamente lo stipendio. Doppio rispetto a quello garantitogli dal Porto. Ma la Russia è un ambiente troppo ostile per uno come lui, abituato al clima di Rio de Janeiro e di Oporto e a una lingua familiare. E tutto inizia a precipitare.

“Non capivo nulla di quello che mi dicevano, parlavo a gesti – ha rivelato qualche anno fa a 'ESPN Brasil' – Una volta sono andato da una dentista, le ho detto che mi faceva male un dente, lei ha iniziato a fare il proprio lavoro. Quando mi sono alzato dalla sedia, ho passato la lingua e mi sono accorto che quel dente mi era stato tolto. Gran parte di quello che mi aveva detto non lo comprendevo, facevo solo di sì con la testa e mi sono ritrovato senza un dente”.

A complicare ulteriormente le cose ci sono quei dannati problemi respiratori che proprio non vogliono sparire. E che, anzi, sembrano aggravarsi ogni giorno che passa. Quando per l'ennesima volta si reca in ospedale per capire che cosa gli stia accadendo, la diagnosi è spietata: tubercolosi. Thiago Silva viene ricoverato a Mosca, in una stanzetta di 10 metri quadrati in cui quasi non riesce a camminare. Vi resterà per sei mesi, i più lunghi della sua vita.

“Mi mancava totalmente la forza. Entrava il medico e mi diceva: 'Thiago, vai a camminare un po' – ha detto anni fa a 'SportWeek' – ma io non ce la facevo. La malattia è contagiosa: mi hanno messo in isolamento, non potevo vedere nessuno e giocavo tutto il giorno con la Play, andavo su internet e non parlavo con nessuno".

I medici russi optano per un'operazione chirurgica immediata. E delicatissima. Hanno deciso di togliere un pezzo di polmone a Thiago Silva. Sarebbe la fine per la sua carriera. Ma la madre del calciatore, Angela, si oppone:

“Gli ho risposto di no, che nessuno avrebbe messo le mani sul corpo di mio figlio. Piuttosto saremmo tornati in Brasile, ma nessuno aveva il diritto di levargli un pezzo di polmone”.

L'uomo della provvidenza si chiama Ivo Wortmann. È brasiliano anche lui, ha già allenato Thiago Silva allo Juventude ed è appena stato messo sotto contratto dalla Dinamo Mosca. Quando si reca in ospedale per andare a far visita al giocatore, rimane scioccato.

“Appena l'ho visto, sono rimasto sconvolto – ha detto a 'Bleacher Report' – Ho fatto fatica a riconoscerlo. Era tutto deformato, sembrava gonfio, aveva preso dai 10 ai 12 chili. Avrei scoperto in seguito che era a causa delle medicine che stava prendendo. Ero davvero preoccupato per lui”.

Così, Wortmann decide di agire. Va dai medici ed è perentorio: questa operazione non si deve fare. Assieme all'agente di Thiago Silva, Paulo Tonietto, contatta Jorge Mendes, il quale a sua volta trova uno specialista in Portogallo. Inizia un trattamento aggressivo per curare la tubercolosi. Ma Thiago ha dalla sua la forza di volontà. Vuole vincere la battaglia, vuole tornare a giocare a calcio. E ci riesce. Dopo quasi un anno lontano dai campi, viene dichiarato guarito.

“Se avessi accettato di sottopormi a quell'operazione, non avrei mai più giocato a calcio. Ma in quel momento sono entrate nella mia vita persone molto importanti, come Ivo Wortmann. Nelle mie preghiere penso sempre a lui. È stato una persona speciale per me. Non so come sia possibile che sia venuto nella mia stessa squadra, in Russia, dopo avermi già allenato allo Juventude. È stato un angelo nella mia vita”.

Quando Wortmann, nel dicembre del 2005, torna in Brasile per guidare il Fluminense, porta alla dirigenza una richiesta ben precisa: con me voglio anche Thiago Silva. E il matrimonio si fa. Il calciatore miracolato riparte da Rio, dalla sua squadra del cuore. Dal club che una volta gli aveva sbarrato le porte in faccia e ora è pronto a donargli una seconda chance.

“Era come se avessi firmato il mio primo contratto – ha raccontato Thiago Silva a 'Globoesporte' – Provavo un sentimento di orgoglio ancora maggiore per il fatto di essere un tifoso tricolor”.

Thiago Silva Fluminense 01/07/17

Wortmann non se ne pentirà. E il Fluminense nemmeno. Perché con l'iconica maglia bianca, verde e granata Thiago diventa O Monstro, il mostro. Un fenomeno di stile, eleganza, chiusure difensive, leadership. Il suo numero 3 è associato immediatamente a lui. La tifoseria inizia ad apprezzarlo, quindi ad amarlo, infine ad adorarlo. “É o melhor zagueiro do Brasil”, cantano al Maracanã. È il miglior difensore del Brasile. Ed è vero.

Il Flu del 2006, a dire il vero, non se la cava benissimo. In quella folle lavatrice che è il giro degli allenatori nel calcio brasiliano, Wortmann resiste appena tre mesi e viene esonerato già a febbraio, durante lo Statale di Rio. Alla fine sulla panchina tricolor si alterneranno cinque tecnici (!). Con Thiago Silva al centro della difesa e Marcelo a sinistra, più gli ex veneziani Dejan Petkovic e Tuta in attacco, la squadra a un certo punto vola in testa alla classifica del campionato nazionale, ma alla fine si salva soltanto alla penultima giornata.

Ma l'anno successivo è un trionfo. Guidato nella seconda parte della stagione dall'ex giallorosso Renato Portaluppi, il Fluminense chiude al terzo posto in campionato e soprattutto conquista per la prima volta la Copa do Brasil. Thiago è un perno, ha qualcosa in più rispetto a tutti. E finisce dritto nella Top 11 del Brasileirão. In Europa tornano timidamente a notarlo. La strepitosa cavalcata in Copa Libertadores dell'anno seguente, nella quale il Fluminense si inerpica fino alla finale, poi persa ai rigori contro gli ecuadoriani della LDU Quito, lo mette ulteriormente in luce. Trattenerlo, ora, è diventato impossibile.

“Guerriero della difesa tricolor/grinta, abilità e vigore/Thiago Silva è un re/mai dimenticherò/il mito che la torcida ha consacrato”.

Il coro, in quei tre anni, risuona al Maracanã praticamente in ogni partita. Anche nel pomeriggio dell'addio, nel dicembre del 2008, un 1-1 con nulla in palio contro l'Ipatinga. Allo stadio sono accorsi in 50000. Sono tutti lì per TS3. Sanno già che se ne andrà al Milan, sanno benissimo che diventerà un top a livello mondiale. Lì nessuno ha mai nutrito alcun dubbio. Thiago Silva alza il braccio per ringraziare, piange, giura che un giorno tornerà e intanto torna a pensare a quei momenti tristi che ormai sembrano così lontani. Ma che in realtà ancora gli appartengono, marchiati a fuoco come una seconda pelle.

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